martedì 7 dicembre 2010

La Villa Bellini di Catania, uno zombie senz'anima




Dopo la riapertura ed il ‘restauro’



La Villa Bellini senza anima, è uno "zombie"



Tornato al pubblico con gran clamore, il giardino che fu dei catanesi ha perduto
la sua anima autentica – Segni inevitabili del cambiamento, pochissime migliorìe -



Non abbiamo sinora affrontato l’argomento della riapertura, il 23 settembre u.s. dopo un restauro durato tre anni abbondanti, del giardino pubblico catanese intitolato a Vincenzo Bellini, per far diminuire l’orgia di verbosismi, similari a bolle di sapone, che un atto il quale dovrebbe essere, e non è stato, di ordinarietà, ha generato. La politica-spettacolo imperante negli ultimi lustri, ha purtroppo captato proseliti ovunque, e nella nostra città in gran copia. Parimenti, non ci addentreremo sulle, fondate quanto si vogliano, polemiche sui costi del riordino della Villa, alimentate –crediamo con più di una giustificazione- dal noto Comitato per la salvaguardia della Villa, spontanea associazione di cittadini sòrta a suo tempo per vigilare sui lavori, ed alla quale va riconosciuto il merito di essersi opposta a scelte affatto scriteriate, come quella ventilata anni fa di trasformare il piazzale centrale in un inutile lago. Altresì concordiamo col Comitato nella interpretazione errata fornita financo dagli esperti in giardini pubblici del competente Ministero, laddove la visione conservativa del restauro della Villa è stata assolutamente stravolta da interventi che non hanno lasciato, se non in grandi linee, l’impianto originario ottocentesco e novecentesco, inserendo nella struttura del giardino elementi nuovi che ne stravolgono la fisonomìa. E ciò basti a dar l’idea.
Intendiamo qui intrattenerci, dopo alcuni sopralluoghi effettuati, intorno a quel che era, e si sottolinea era, per noi che serbiamo il culto della memoria, personale e collettiva, ricordo sempre vivo di tempi d’infanzia, lo stato della Villa a fronte dell’attuale, sotto gli occhi di tutti. Inevitabile precisarne le differenze, anche se è nota la labile capacità mnemonica del cittadino comune, del catanese in particolare, sfaldata con il tempo (per fortuna le fotografie ed i filmati aiutano a non dimenticare). Neppure è necessario indulgere in quel languore da "laudatores temporis acti" che è stato pure rimproverato, da parte di certi Soloni pavoneggiatisi, a suon di libri sontuosi, quali oracoli delfici del triangolato sapere, i quali vestendo calzoni mascolini invece che muliebri gonnelle, e ben lungi dall’aver avuto i natali sotto le lave punzecchianti della città dell’elefante, filosofeggiano da profani ed hanno sfregiato, credendo magari di rendere un servizio, quel tempio collettivo all’aperto, che era il giardino Bellini, già ritrovo di misteriose delizie del principe di Biscari; principe settecentesco egli sì munifico amatore di Sapienza, adepto della Luce, il quale è oggi, ne siamo per diversi segni più che certi, ben lontano nel suo afflato di anima infusa nel Libro Sacro, da codesti e codeste figure le quali ventilano di echeggiare, tra simboli e mistagogìe, la sua illuminata opera. Chi può comprendere, evangelicamente, comprenda.
La Villa tornata a disposizione de’ catanesi, è sin dall’ingresso di via Etnea, orba dei cigni, già del resto spariti poiché dilaniati dai cani randagi (non è questa una giustificazione sufficiente: i randagi ci sono sempre stati…), nella sua vasca centrale –dal fondo grigio, prima era azzurro-: sostituiti chissà perché da animalacci neri in ferro (o plastica?), pòsti all’interno della vasca. L’orologio, acquistato durante la sindacatura di Papale dalla Svizzera ed orgoglio per la sua precisione, è mònco delle cifre, sostituite da palmette insignificanti. Poco male, si dirà. Il piazzale centrale (slargo ove si son sempre tenute le manifestazioni pubbliche: a noi piace appellarlo XXVIII ottobre, come a’ tempi del Fascismo, quando si teneva la cerimonia della leva del regime) è come prima, privo tuttavia all’angolo di N-O della gradevole e bella, nonché utilissima, piccola ‘bambinopoli’ che l’allora Sindaco, oggi senatore, Enzo Bianco aveva fatto impiantare in loco, per la gioja e il diletto dei bambini, i quali non hanno entro il giardino centrale della città nessun luogo di divertimento (non consideriamo quelle stupidissime, nonché pericolose, attrezzature ginniche impiantate dal lato di piazza Roma, adatte agli adulti, fruite per disperazione da alcuni piccoli ma estremamente pericolose per loro, come si può verificare). Fino al 2007, anno della chiusura, oltre alla bambinopoli del piazzale, c’era la vecchietta col trenino della collinetta sud, sul cui trabiccolo tutti salimmo da infanti, nonché altri giochi (il cavalluccio, la scimmia parlante) vicini: e sotto accanto alle statue di Lazzaro, altra giostra, piccola ma utile: sparita ogni traccia di giochi per i bimbi. La Villa, ci si faceva notare da parte di uno dei Vigili Urbani di guardia in loco, era per i bambini e dei bambini: almeno un tempo, ora non più.
Proseguendo, immettendosi nel viale degli uomini illustri (busti per l’ennesima volta restaurati), notansi bacchette di ferro senza nessun senso se non quello di creare, a detta degli installatori, il clima del giardino settecentesco: così la scala (ritrovata, affermano sempre costoro…è uno dei motivi dell’immissione di quattrini della UE che ha aggravato il costo…) la quale collega, attraverso un passaggio fra il suddetto viale, sotto la statua di Androne, al chiosco della musica, e un angolo pitturato in nero il quale non solo è stato già bruttato dalle scritte dei vandali, e preso inevitabilmente per orinatojo, ma –lo abbiamo fotografato, chiunque lo può verificare- dopo le prime piogge autunnali, nel tetto superiore (appena costruito…sarà fatto di cartongesso? Con il denaro speso…) proprio sotto la statua di Androne, è già comparsa una enorme macchia di acqua, che ha creato la muffa. Insomma, si vede che codesti ‘muratori’ non erano neppure degni di adoprare la cazzuola ed entrare in un tempio, se non hanno saputo fare ad arte i loro lavori… Li si cacci con ignominia dal novero degli apprendisti allora, e li si bruci fra le colonne (ideali), se pure la muffa spunta in costruzioni da poco ultimate!
Nel viale degli illustri, erano le panchine di bronzo pressofuso: sono sparite (dove son finite? Pensar male si fa peccato, ma si indovina…) sostituite da altre con struttura metallica e piani e spalliere in legno, il quale ci si augura –ma non si spera- che non marcisca presto, sì da essere sostituito con conseguente costo a carico della collettività. Opera invece da lodare è il ricollocamento, al fine del viale ed in cima alle scale di collegamento fra sopra ed il piazzale, della poliedrica meridiana solare del Sartorius e Peters, ottocentesca, contornata –questa la gradevole novità- da ordini circolari di marmo bianco, per creare effetti astronomici, e d’altro genere. Scendendo nel vialetto dietro il piazzale, il gruppo tristatuale con vasca in pietra lavica di Giulio Moschetti, tritoni su pesci, appare –ma è artatamente mascherato- rimaneggiato alquanto; ricordiamo benissimo che una delle teste dei putti laterali fu rubata circa cinque anni fa, ora pare questi ultimi siano stati rifatti completamente. L’occhio attento e mèmore lo può verificare. Mentre è da plaudire la scelta di collocare a N-O, in un piccolo spazio a prato verde (prima era, senza nome, nel viale degli uomini illustri) il busto marmoreo di Pietro Platania, insigne musicista e grande contrappuntista del XIX secolo, autore di musica sacra e dello Spartaco, pochissimo ricordato ed a cui la città dovrebbe più grata memoria serbare. La collinetta nord, ove un tempo era il chiosco cinese in legno (bruciato, da chi? Ce ne occupammo su queste pagine a suo tempo), che si dice debba esser ricostruito, è brulla e spoglia, nonché persino priva dei sedili in pietra che prima la ornavano. Inoltre, per il decoro comune come per la sicurezza dei Vigili, è in istato semplicemente vergognoso l’interno della garitta affacciata su piazza Roma, luogo di stazionamento dei VV.UU. di guardia e sede del centro telecamere: non è stata pitturata (esternamente sì!), ed i soffitti cadono letteralmente a pezzi… provare a vedere per credere (dopo tutti i milioni di euro spesi)…
Tornando infine al suddetto viale degli illustri, ivi è l’opera più evidente nella sua sconcezza (non abbiamo esitato a definirla una porcata, e qui lo si ribadisce), del cosiddetto restauro: laddove un enorme ‘buco’ circolare, ai dì nostri di bimbi, quel che era nel Settecento il labirinto di Biscari con le sue otto porticine, chiudeva in uno spazio curioso la volpe argentata, circondata da una ringhiera verde (e soprastata da una rete a maglie che impediva di cadervi sotto), essere che noi si osservava con misteriosa curiosità, noto anche per la sua puzza: ivi è nuovamente un buco circolare, nera ringhiera attorno, che racchiude… un cilindro in pietrisco il quale ha nella sua sommità una finta vasca, con acqua circolante in perpetuo, la quale ha attorno… degli uccelli finti, in ferro (o plastica), e neri, neri, neri… L’apoteosi della pacchianeria, del cattivo gusto e della oscenità estetica. Non arriviamo a rimpiangere le voliere che fino agli anni Sessanta (non ci sono più, erano tre) chiudevano in enormi gabbie canori uccelletti; neppure i pavoni che erano in libertà; anche se pensiamo con nostalgia, per averli veduti quasi in una magica ottica, alle scimmie che erano nella gabbia a sud sotto il piazzale (le rammentiamo coi deretani sempre rosseggianti, e avidi di caramelle; i più anziani precisano di "Gino d’’a Villa", un celebre primate), al pellicano triste che solo stazionava in altra gabbia vicina; alle paperelle, c’erano fino a tre anni fa uniche rimaste, della vasca in lava di piazza Roma; rimpiangiamo sì invece il vecchio elefante, dono del circo Togni, il quale era la gioja di tutti perché gettava in alto la paglia e spruzzava l’acqua, con la gloriosa proboscide. Questa era la Villa Bellini, il giardino dei catanesi, grandi e piccini: quando l’amministrazione comunale (vogliamo citarne i nomi? La Ferita, Papale, Micale, Marcoccio, gli assessori Filina Gemmellaro, Alfio Giuffrida, Italia Feltri, il povero Guarnaccia… veri amanti del bene pubblico, e della Villa in particolare) era autenticamente in sintonia colla città reale (non falsa e snaturata nella sua etincità e nel suo essere, come accade oggi), non lontana e tirannica; e quando i catanesi veraci –non ce ne sono quasi più, quelli che restano si accorgono di essere isolati- si interessavano, magari gridando, magari imponendosi còlla forza, ma per il bene collettivo; mentre oggi poco è il riscontro e bassa l’indignazione per aver avuto discerpato il cuore verde della Villa.
Il segno finale, utilissimo nella sua funzione ma significativo per il grado di percezione plastica del decadimento sociologico della società tutta, è la sorveglianza 24 ore su 24 che alla Villa è stata messa in rete, attraverso un circuito nutrito di telecamere di sorveglianza (la centrale operativa, guidata dai VV.UU., è nella guardiola di piazza Roma): ogni movimento di quel che accade all’interno del giardino è filmato e conservato (sarebbe bene sapere per quanto tempo, se si effettuano copie di backup dei video, se essi sono immessi in banche dati, e quali: su tali aspetti, non risulta esservi stata nessuna opera di trasparenza verso il pubblico). Molti han plaudito all’iniziativa, come deterrente per maniaci pedofili e guardoni: lo è certamente (anche se i due, uno o tre Vigili di sorveglianza, non hanno nel concreto la possibilità di intervenire de facto, ed a volte anche evitano, in casi di trasgressioni), ma si pensi a chi, e citiamo il Verga che in fine Ottocento andava alla Villa ad assistere ai concerti coll’amante del tempo, la Dina di Sordevolo: se fosse stato filmato, ed il video conservato per i decenni successivi, vi sarebbe mai andato? Ed il Biscari od i successori e le amanti, avrebbero mai gradito l’occhio onnipresente del ‘grande fratello’ in quel luogo di mistero per eccellenza, ove tra palme e fiori si rubavano i baci, con una innocenza ora perpetuamente violata? Tristemente, una delle scorse mattine, scorgevamo nel transitare in loco le oramai rarissime coppie di ragazzetti, intenti alle effusioni solite: non sanno, o se ne infischiano ed anzi magari ne godono, di essere perpetuamente filmati (magari fra trent’anni, se diverranno famosi, i loro video da adolescenti saranno ripescati per, chi sa, ricattarli od utilizzarli per immaginabili fini… forse il nostro è scenario fantasioso, ma nella società odierna non si può più essere certi delle limitazioni un tempo statuite…).
In fine, dopo la normale curiosità dei primi giorni, la Villa Bellini, lungi dal tornare ad essere, come pomposamente strombettavano i politici, il giardino di delizie dei catanesi, è entrata in pieno XXI secolo estinguendo la sua anima autentica. E’ uno "zombie", un morto vivente: un autentico ectoplasma incarnato. Non possiamo adesso dirlo ai nostri bimbi, ai piccoli, allorché ivi li facciam correre, ignari. Lo spiegheremo poi, quando saranno grandi, quel che han perduto, quel che in noi rimane: quel che (è un sogno? Forse, ma non si può impedire…) potrebbe tornare, come allora, nelle luci immòte dell’arcobaleno.



Bar.Sea.



Nelle foto: l'orrenda fontana con i cigni neri finti... nel luogo ove un tempo c'era la volpe argentata...ed il vano sottostante la statua di Androne, ove si immette la 'nuova' scala, col soffitto di cartongesso già invaso dalle infiltrazioni di acqua...(scattata il 20 ottobre 2010)!


(Pubblicato su Sicilia Sera n°334 del 5 dicembre 2010)

Mentre la Sicilia muore... la Regione langue


Il tempo è quasi scaduto per le riforme


Sicilia moribonda, e la Regione langue


Le intenzioni laudevoli del Presidente Lombardo si scontrano violentemente con il quadro disastroso della situazione descritto da Lo Bello leader di Confindustria Sicilia – Ora o mai più -


Da queste colonne, sin dalla fine del 2009 che vide la svolta del governo regionale presieduto da Raffaele Lombardo in senso riformista, prima emarginando vasti settori di quella maggioranza, il PDL, che l’aveva sostenuto alle elezioni del 2008, poi esautorandolo di fatto col governo ‘tecnico’ il quale, da settembre, ha il sostegno esplicito del centrosinistra (ossia PD ed alleati), abbiamo osservato, commentando con simpatia il percorso politico –ed anche personale- del Presidente. Anche perché egli è stato, e lo abbiamo constatato, il primo e l’unico a parlare, a rivendicare verbalmente sia il concetto storico politico dell’autonomìa dell’isola dallo stato centrale unitario (la cui indissolubilità nessuno, neppure Lombardo, ha mai messo in discussione: a differenza dei leghisti al nord…), sia la mentalità in certo senso unica dei siciliani i quali, dall’indotto al coltissimo, posseggono nel DNA il senso della propria identità nazionale sicula. Bisogna dargli atto, e la storia lo ricorderà, di codesto grande merito, di questa apertura mentale senza dubbio coraggiosa, che nessuno dei predecessori, nei 64 anni di Statuto speciale, ha mai avuto (egli stesso eccettua Silvio Milazzo, e l’esperimento breve e fallimentare del 1958 dell’USPS).
Questo è un dato di fatto. Purtroppo, è stato, lo scriviamo con tristezza dato che il tempo rappresentato dai grani della clessidra è giunto al fine, vano eloquio ancorché nobilissimo, non tradottosi in realtà tangibili. E che ciò sia, lo afferma senza mezzi termini la compagine imprenditoriale la quale, con sfumature varie, si era espressa in modo favorevole alla svolta riformista ed autonomistica di Raffaele Lombardo, ovvero Confindustria Sicilia. L’intervista infatti che il suo Presidente, Ivan Lo Bello, ha rilasciato al quotidiano del Direttore Mario Ciancio lo scorso 12 ottobre, è eloquente nel fotografare con drammatica evidenza, il disastro della economìa, e della classe politica al governo, siciliana, asseverando che si è affatto fuori da ogni logica di investimenti, assenti, nell’isola e che così continuando (per tutto il Sud Italia, aggiungiamo noi), è stabilito verso l’abisso il destino della Sicilia.
Tali i passaggi cruciali: "La situazione economica della nostra regione è drammatica. Certo non per responsabilità di questi ultimi due anni, ma per situazioni che vanno accumulandosi da tanto tempo, troppo tempo. Oggi, purtroppo, siamo arrivati ad un punto di non ritorno e non è più possibile perdere tempo e nemmeno prendere tempo. Bisogna fare scelte precise, con coraggio, con lucidità e con chiarezza. Ma ora…C'è il crollo delle entrate fiscali, che rappresentano sino ad oggi il 65% dei bilancio della Regione, cui dovremo sommare l'anno prossimo anche la decurtazione dei trasferimenti di risorse per effetto della Finanziaria di Tremonti. Si tratta di un combinato che può avere per la Sicilia effetti letali, è sotto gli occhi di tutti, così come è chiaro che per fronteggiare l'emergenza non basta il blocco della spesa. Oggi per evitare di finire nel precipizio, bisogna agire con maggiore determinazione per puntare a risanare il bilancio, cominciando ad eliminare le tante spese legate ancora ad un sistema parassitario, a snellire quella rete clientelare che continua a costare ai siciliani un occhio della testa…un Pil negativo, da cui con questa situazione politica, e con le incertezze che si stanno evidenziando, difficilmente si riuscirà a riprendersi senza un'azione forte, perché saremo a lungo ancora con questa crisi alle prese con consumi in calo e, soprattutto, investimenti inesistenti…Sapete che che cosa sta accadendo in Europa? Che ci sono rappresentanti di grandi imprese che vanno in giro, cercano nei vari paesi le migliori condizioni per capire se conviene investire lì o altrove. E i paesi e le Regioni fanno ponti d'oro per cercare di attrarre gli investitori. Dalla Sicilia stanno scappando, è la triste e dura verità….si decida una volta per tutte. Si dica sì a questo, no a quello, definitivamente. Perché per gli investitori la situazione più stressante, che li fa scappare alla fine via, è quella dell'incertezza. E parliamo di investimenti pubblici e privati".
E’ un q uadro impietoso, desolante, drammatico: di chi vede la ‘crozza’ appunto sopra il ferro del cannone: è questa la Sicilia del nostro futuro, dei nostri figli, dopo tante illusioni perdute? Pare proprio di sì. Gli investitori stranieri non solo scappano, come dice Lo Bello, per le assurdità della burocrazia regionale e per il dichiarato fallimento di essa –come si è letto dalle affermazioni dell’Assessore Armao, che ha negoziato il prestito per le spese correnti, e certamente ciò non prevede idee di sviluppo, poiché chi deve limitarsi a reperire il ‘pane quotidiano’ non ha la possibilità di progettare una crescita sociale collettiva- ma cercano, e trovano, mercati favorevoli. E’ delle settimane scorse l’affitto (quasi una vendita) ultratrentennale del porto industriale del Pireo in Atene al governo cinese, che ivi importerà (i traffici merci dalla Cina sono per l’ottanta per cento via mare) le mercanzie ivi, quindi attraverso le efficienti reti ferroviarie balcaniche, distribuirle in Europa. E qui ancor si discetta, ma la casa automobilistica smentisce, di eventuale acquisto dello stabilimento quasi ex Fiat di Termini, da parte di Toyota Mentre le piccole realtà imprenditoriali (esempio il tessile, fallimento dell’impresa camiciaria Castello ubicata a Brolo, acquisita con diversa strategìa da Spatafora, anch’essa in crisi) languono e se non fossero agganciate a piccoli e grandi potentati politici, sarebbero strangolate, il governo regionale deve negare i fondi a 140 comuni che rischiano il dissesto finanziario; mentre è quasi inverno, e si spera nell’ajuto della Madonna Odigitria protettrice della Sicilia, perché a Giampilieri (ed in altre simili realtà), poiché nulla o quasi è stato messo in sicurezza, non crolli ex novo la montagna di fango, seppellendo vite innocenti la cui sola ‘colpa’ è quella di essere atavicamente legate alla terra nativa. Sia chiaro, le responsabilità sono decennali e di tutti: anche e soprattutto di quel centrodestra , o PDL, che oggi guerreggia con Lombardo per puri scopi di potere, infischiandosene del bene comune, o fondando partitelli specchio per le allodole (vedi Forza Sud di Micciché, il cui comportamento è meglio non definire…); mentre da parte dei maggiorenti del PD, v’ha l’aire di un clima da caduta degli dèi laddove sino all’ultimo giorno, si rimane per motivi oscuri, ma a molti noti, bellamente incollati alla poltrona. Ed il clientelismo da parte dei sindacati, delle corporazioni, dei raccomandati dai politici, impera sovrano, con l’illegalità evidentissima, il commercio dilagante degli stupefacenti, il mercato nero, che è ben più grave di quel "ribellatevi al male" che un Pontefice come Benedetto XVI, evidentemente disinformato dai medesimi Vescovi di Sicilia, ha avuto la tristezza di predicare settimane fa, nella sua visita in Palermo. Egli non sa che è ben difficile vivere onestamente in Sicilia, e che il suo invito alla ribellione, sovente vuol dire morire (sia moralmente che, a volte, pure fisicamente). Avrebbe fatto meglio, lo scriviamo col massimo rispetto per la sacra pantofola dell’Altare di Pietro, a predicare un brano delle virtù francescane o, meglio ancora, dei Benedettini che tanto egli ama.
Non è necessario citare la sociologìa di Alberoni su innamoramento e amore, per constatare che ove la fiamma del sentimento, ed è così per l’autonomismo sicilianista di Raffaele Lombardo, non sia ravvivata da atti concreti, spengesi inevitabilmente nella trista polvere del tempo. Il chiasso dei peones e di coloro che fan parte della corte, non servono in questi casi che a sanzionare il fallimento. Lo si ribadisce: Raffaele Lombardo è uomo di coraggio, ma il tempo è pressoché finito: o si sceglie ora, con gesti impositivi che non possono più essere quelli finora registrati (sanità e gestione rifiuti han generato apprezzamenti ma anche vasti malumori), bensì di rilevanza concreta (esempio: abolizione d’autorità di tutti i passaggi burocratici per gli investimenti delle imprese di qualsivoglia importanza in Sicilia, detassazione assoluta degli utili per i primi tre anni dall’investimento, come accadde nella Romania post comunista; e per i cittadini comuni, riappropriazione delle accise petrolifere delle grandi compagnie sulla Benzina, e redistribuzione di quei 30 miliardi di euro l’anno, di cui lo stesso Lombardo in una non lontana intervista a La7 disse di non voler pretendere la restituzione dallo Stato, e la pretenda ora, ai cittadini medesimi, attraverso bonus benzina agevolati a tutti i residenti in Sicilia) e rivoluzionari. Altrimenti, sarà come una bella e non dimenticata melodia napoletana (a volte la canzone classica ajuta a capire più di mille discorsi) cantata da Sergio Bruni e presentata al Festival di Piedigrotta del 1964, "Sì turnata": "sì tu, sì tu, ccò è stisse capìlle, ccò è stisse buscìe, ssì ttu, si tu: \ sì turnata, nun mmè vasà, dàmmece ‘a mano, facimme finta, còmme si fosse mò, ca ‘nce ‘ncuntrasse". E se Heidegger ammoniva qualche decennio fa che "ormai solo un dio ci può salvare", a noi non resta che laicamente fidare in quella Natura onnigena la quale, in tante epoche, ha purificato l’aria dalle mefitiche essenze, ridonando dopo molte e reiterate sofferenze, l’azzurra Luce.


Francesco Giordano

giovedì 11 novembre 2010

La Destra a Taormina, tra Berlusconi, Storace, e... quel che resta di una certa idea


A Taormina la festa nazionale del movimento storaciano


Quella certa idea di Destra, che circola in Italia…


Coronata dall’intervento di Berlusconi, la manifestazione è stata specchio di intendimenti
e lettura di realtà per il piccolo movimento – Prossima presenza in Parlamento -

Si è svolta nelle settimane scorse, entro la bella e scenografica cornice della cittadina turistica di Taormina, la festa nazionale de "La Destra", il partito politico nato dalla scissione, nel 2007, della allora Alleanza Nazionale, capeggiato da Francesco Storace già Ministro della Sanità e Presidente della Regione Lazio, Teodoro Buiontempo e Nello Musumeci, tutti ex deputati nazionali o europei. Abbiamo partecipato alla tre giorni di manifestazioni, intorno alla metà di settembre, per alcune ragioni: la vicinanza geografica, la bellezza del luogo e la volontà di render contezza, a noi ed al lettore, su quella certa idea di ‘destra’ italiana, che ancor circola, nel confusionario e magmatico panorama politico nazionale. La presenza centrale, sabato pomeriggio del 18 settembre, alle assise del piccolo movimento (il quale nelle elezioni nazionali del 2008, in base alla legge sullo ‘sbarramento’ del 5%, non ha superato tale limite e non ha rappresentanti in Parlamento), del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, ha conferito alla manifestazione importanza che altrimenti sarebbe stata confinata a dibattiti interni, interessanti solo i simpatizzanti e gli addetti ai lavori. Vero è che, nel suo discorso al palazzo dei Congressi, in una Taormina assolutamente blindata (i disagi per i turisti, a cui dopo un certo orario è stato impedito di circolare e persino di immettersi per porta Catania, a causa delle auto blu della imponente scorta del Premier), ove le misure di sicurezza, per noi che abbiamo avuto accesso al luogo della riunione, sono state più apparenti che reali (nessuno, tanto per fornire esempio concreto di come sia diversa la propaganda dalla TV alla realtà, sia tra i giornalisti che fra i simpatizzanti de La Destra all’interno del Palacongressi, è stato perquisito, né vi erano mezzi e uomini per farlo, sicché se qualcuno, come è già accaduto, avesse voluto attentare alla vita del Presidente, sarebbe senza dubbio stato immediatamente arrestato, ma avrebbe potuto raggiungere il proprio delittuoso scopo…), Berlusconi ha ricantilenato le trite e stratrite autolodi del proprio governo, oramai usuale ritornello, e nessun accenno ha neppure ventilato al fatto che egli si sia trovato in una terra, la Sicilia, densa di innumerevoli problemi di vario genere (sicché il luogo, Taormina o Cortina d’Ampezzo, nella sua visione poteva essere intercambiabile); vero è altresì che unico accenno al frangente particolare è stato il fatto di aver promesso, indirettamente e con una ellissi di termini, la poltrona di parlamentare (e di essere ivi "per un dovere e per riparare ad un torto", quel "veto" che il tanto vituperato Presidente della Camera Fini impose nel 2008 alla candidatura nel PDL dei vertici de La Destra) a Storace, Buontempo ed a Nello Musumeci (di cui, studiatamente, ha vezzeggiato l’oratoria…), nella cornice di una festa, appellata dagli organizzatori "Italia in Movimento", svoltasi fra la Villa comunale ed appunto il palacongressi, ove abbondarono il verbosismo dialettico, e concentrazioni di evidente sentore pre elettorale. Dappoiché, tale era anche in quel contesto l’impressione oramai diffusa sebbene i politicanti si affrettino a smentirla, nonostante le presenze anche di governo e strategicamente studiate (in quel contesto, ma a margine di esso, mentre dava del "violento" a La Russa, l’ineffabile Sottosegretario con delega al CIPE Gianfranco Micciché, di cui il lettore è pregato di rammentare la frequentazione, giovanile ed adulta, pur per soli fini
personali quindi non certo un reato, con l’uso di droghe, annunciava la nascita del fantasmagorico ‘partito del popolo siciliano’, legato a Berlusconi ma anche, e vedremo che cosa sarà, interessato ad un certo allucinogeno Sud, di cui egli narra dalle pagine del suo blog…) si avvicina la scadenza elettorale per il Parlamento nazionale prima del suo termine naturale –alcuni affermano anche di quello regionale siciliano- , pertanto gli interventi, in appositi dibattiti ai quali, beninteso, intervennero non oltre una cinquantina di persone, tutte facenti parte del ‘giro interno’ della militanza politica de La Destra sicula e nazionale, dibattiti animati da note ed a volte sfinite voci della politica locale, da Enzo Trantino ad Enzo Bianco, da Burtone a Lino Lenza, pure coadiuvati dal presidente siculo di Confindustra Lo Bello ed a quello della Camera di Commercio catanese Agen (la cui presenza ivi ci pàrse più rappresentativa che altro), lasciarono il tempo che trovarono, cicalandosi addosso in un concione che in altri tempi si sarebbe definito, con espressione tratta da un celebre romanzo vittoriano, ‘la fiera delle vanità’.
Per quel che concerne l’aspetto estetico, se così può definirsi, della manifestazione, che vedemmo sia in fieri che in progressione, constò di alcuni, pochi, gazebo di carattere dimostrativo: e se brillò per presenze quello gastronomico di un noto punto di ristoro catanese, i cui arancini consolarono di molto taluni, altri s’evidenziarono per l’assoluta loro inanità e pochezza, eccettuato il narcisismo: la piccolissima esposizione libraria metteva infatti in bella mostra il libro del ras locale, mentre del tanto –a parole, non certo nei fatti- compianto Giorgio Almirante, a cui i capi de La Destra affermano di ricondurre il proprio cammino politico, era presente un volume-intervista alla sua seconda moglie, la tanto nota ‘vedova’ detta donna Assunta, quasi celebrata in cartapecora come icona vivente di un uomo, il quale chi lo conobbe e udì non ebbe, per sua fortuna, mai bisogno di interpreti, men che meno di donne per cotal ruolo. Purtroppo in questo contesto non possiamo esimerci da una certa memoria storica, provenendo –chi scrive- da area missina, come un tempo era uso dirsi, in epoca appunto almirantiana: e dobbiamo affermare pertanto la distanza siderale di cotal piccolo movimento (seppure dato, dai molto discutibili sondaggi, in crescita dall’uno al due e mezzo per cento su scala nazionale) dal quel che fu l’MSI di quel tempo. Con moti di tenerezza infatti incontrammo al palacongressi, presente all’ascolto di Berlusconi, l’anziano Benito Paolone, già fra i capi storici del partito a Catania, da tempo fuori dall’agone della militanza, che tanto più rammenta un’epoca, quanto oggi il suo disconoscimento. Certo non vedemmo l’altra, forse più grande, figura del Movimento Sociale etneo ed isolano, quel Vito Cusimano di Camporotondo, la cui passione rara rimane nel ricordo indelebile, accanto all’Almirante che nelle sicule piazze arringava la folla con irripetbile verve, mentre al chiuso delle riunioni ci appellava ‘camerati’ e senza tentennamenti s’alzava la mano nel saluto romano; Almirante che nella "Autobiografia di un fucilatore", libro culto per una generazione (ovviamente ignoto a La Destra, nel luogo taorminese) scriveva: "non sono mai stato disponibile e non lo sarò mai, qualunque cosa accada e mi accada, per coniugare il verbo rinnegare" (pag.139). Si badi che i quel frangente parlava Almirante delle proprie responsabilità politiche nella RSI, pur predicando, si era negli anni Settanta, la pacificazione nazionale e la concordia di là, egli lo ripeté sempre, delle fruste categorie di destra-sinistra identificate a torto come fascismo-antifascismo. Tutto finito nel dimenticatojo, purtroppo per loro, da parte dei capataz de La Destra (tranne alcuni pur timidi accenni di Teodoro Buontempo, l’unico che serba una certa sincerità ideale nella vita privata ed in quella pubblica, le fondamentali filiere ove si scevera l’uomo, o la donna, di carattere e di spirito, di concezione assoluta…), un movimento politico che ha nella indubbia sincerità dei militanti e delle militanti (molti erano in camicia nera… quasi nostalgici di un passato che, se è logico non potrà più esservi, appare indegno, almeno quello missino, scancellare ex abrupto, magari inveendo contro coloro che almeno più coerentemente e senza ipocrisie, svolsero la medesima operazione) il suo forse unico punto di forza, e nella chiara visione a-fascista dei suoi leader tracciato il proprio cammino. L’inneggiare quasi come fosse un ‘messìa laico’ a Silvio Berlusconi –il quale per il vero, non lo incontravamo da vicino da qualche anno, è sempre più somigliante ai suoi personaggi televisivi- spiega molto più di dottrine elucubrate, la assoluta sete di potere di codesti uomini, la loro avidità di denaro mascherata dietro il desiderio di rappresentare quel che nei fatti, nella loro attività pubblica come in quella privata, smentiscono ogni dì, ossia ciò che colui il quale fu assolutamente vietato sia nominare che in ogni modo ricordare, ovvero Benito Mussolini fondatore del Fascismo e Duce d’Italia (nonché, in virtù della verità storica, beneficatore della Patria come responsabile della sua disfatta nella disastrosa e mai dimenticata seconda guerra mondiale… di cui invero pagò di persona còlla vita, sua e della famiglia, il prezzo) , ribadiva sovente"andare verso il popolo". E’ questo popolo italiano, che era presenza tangibile e palpabile nel MSI di Almirante, vanìto nei fatti ed anche nelle parole de La Destra; è la "concezione religiosa, in cui l’uomo è veduto nel suo immanente rapporto con una legge superiore, con una Volontà obiettiva che trascende l’individuo particolare e lo eleva a membro consapevole di una società spirituale" (voce Fascismo, idee fondamentali, par.5), che mòstrasi del tutto assente in costoro; è l’idea che "tutto sarà nello Stato e niente fuori dello Stato, perché oggi non si concepisce un individuo fuori dello Stato se non sia l’individuo selvaggio che non può rivendicare per sé che la solitudine e la sabbia del deserto" (Mussolini Discorsi, 1928 vol.6 pag.173); a codeste concezioni si è sostituito, ed è una scelta legittima dal loro punto di vista, fors’anche comprensibile nella visione dei "ludi politicanti" del XXI secolo, il ‘verbo’ berlusconiano, il quale ha comunque il merito di affermare "una visione religiosa della Libertà" (parole del Presidente a Taormina), definizione echeggiante certi aspetti latomistici di cui ultimamente si disvelano i contorni attuali, riferiti al capo del governo ed a suoi presunti amici fraterni (del che nulla s’ha pertanto a lui da rimproverare, anzi… mentre in certi ambienti detti ‘di destra’ queste amicizie sono duramente contestate e violentemente avversate…), nonché una interpretazione della vita più simile a quella dei personaggi del Satyricon di Petronio, che alle alte idealità di Julius Evola, altro filosofo dell’idea imperiale della Nazione, evidentemente sconosciuto o dimenticato nell’ambiente de "la Destra". Insomma uno dei tanti partitelli che ha perduto, laddove mai avesse avuto intenzione di averla, prima del suo sorgere la propria identità, il quale finalmente ha trovato un ‘ducetto’ ed una sponda. Nulla di grave, è la politica italiana d’oggidì. E di tutti i tempi, forse: così nel ‘Dizionario antiballistico’ di Pitigrilli, si riporta il pensiero del grande Helvétius: "Gli uomini non sono affatto cattivi, ma sottomessi ai loro interessi: gli strilli dei moralisti non cambieranno mai questa molla dell’universo morale".


Bar.Sea.

(Pubblicato su Sicilia Sera n°333 del 3 novembre 2010)

La Regione Siciliana attui un rapido programma per il lavoro


Una soluzione al passo con i tempi


Piano regionale per risolvere il dramma del lavoro in Sicilia


Il governo Lombardo attui tempestivamente le attività necessarie di sorveglianza e supervisione
al fine di ‘obbligare’ i privati ad assorbire i disoccupati- Etica contro clientelismo -



Qualche settimana fa, andando a trovare una tipica famiglia della ‘middle class’ americana –il padre in sedia a rotelle e disoccupato, la madre tornata per necessità a lavorare, i figli adolescenti-, il Presidente degli USA Barack Obama, nel giardino della casa che lo ospitava, ha scandito innanzi ai microfoni una tremenda verità, che in genere (particolarmente in Italia, men che meno in Sicilia) i politici d’Europa stentano ad ammettere, o negano: "vivere alla Casa Bianca è come stare dentro una bolla di sapone, non si riesce a comprendere i veri problemi della gente". Qualcuno potrà pensare che tali affermazioni son frutto della propaganda per le imminenti elezioni di ‘midtime’, epperò scattano una veritiera istantanea della situazione di lontananza siderale fra il politico (il Presidente americano è la massima espressione del ruolo) e la gente. E’ un grave problema, il quale tuttavolta nel mondo anglosassone è meglio sentito con desiderio di affrontarlo: lo sanno bene in Gran Bretagna, ove da anni l’attuale Premier ha scelto, pur scortato similarmente, di recarsi quotidianamente al lavoro in bicicletta, onde porgere un segnale visibile della propria presenza tra il suo popolo. Da noi, è emblematico –come si è notato in questa estate di veleni e polemiche, infine stigmatizzate dal Presidente della Repubblica nella dichiarazione del 14 settembre a Salerno- come la grande garanzia di democraticità della Costituzione del 1948 e la conseguente eguaglianza sancita dalla carta, siano col passare dei decenni (anche e forse soprattutto in virtù delle ultime riforme della legge elettorale che hanno scisso definitivamente l’elettore dall’eletto, ormai nominato dai partiti) disgregatesi nella formazione di una élite, detta anche da qualche interessato la casta, per cui sin dagli anni Ottanta politici illuminati (da Enrico Berlinguer a Giorgio Almirante, senza dimenticare la lezione ed il sacrificio di Aldo Moro e la dirittura di Amintore Fanfani) han messo in chiaro la cosiddetta "questione morale".
La quale, e nel nostro meridione e in Sicilia precipuamente, si riduce ad un solo grande, immenso dilemma: il problema del lavoro. Assistiamo infatti, dal cambiamento della maggioranza avvenuto a dicembre 2009 da parte del governo regionale, ad una volontà da parte dell’esecutivo guidato da Raffaele Lombardo di avviare una concreta attività riformista: osteggiata, grandemente combattuta anche con armi di infamia e di cattiveria senza pari, da parte degli ex alleati (del PDL). Prescindendo da quel che è il risultato delle trattative e del nuovo governo di queste settimane, possiamo affermare che riuscita nelle linee essenziali appare la riforma del risparmio nella Sanità siciliana, avviata dall’Assessore Russo; mentre per le modifiche nel settore rifiuti, dovremo attendere ancora qualche tempo. IL Presidente Lombardo, in numerose sue interviste nonché in interventi spontanei sul suo blog, ove tra l’altro è a volte accusato di tacciare di "questuanti" coloro che, come ad ogni importante uomo politico, gli si rivolgono per chiedere aiuti (sarebbe utile a questo riguardo che si spiegasse che fa bene il Presidente a tacciare in tal guisa coloro che hanno già un reddito, e pretendono di essere agevolati: a fronte non solo di un principio di eguaglianza che egli intende promuovere, ma anche, e crediamo sia nel suo pensiero, di molti altri che non dispongono di nessun cespite che non sia la buona volontà e l’onestà per mettersi a lavorare al servizio della propria famiglia, e della comunità siciliana), ha spesso negli ultimi tempi stigmatizzato il grave problema del lavoro, precisando che da parte della Regione si devono attuare tutti gli strumenti per fare in modo che il rinnovato flusso di emigranti, specie giovani e qualificati, dalla Sicilia verso il nord e l’estero, sia non solo interrotto ma invertito. Come alla fine dell’Ottocento infatti, nei versi di Mario Rapisardi: "Eppure essi abbandonano il natio paradiso, \ il ciel chiaro, i pescosi lidi, la terra antica \ dell’aurea libertà, \ perché tu, cielo azzurro, non hai per loro un riso, \ perché voi, pingui campi, non crescete una spica, \ per chi il sudor vi dà" (in Emigranti, dalla raccolta "Giustizia").
Dalla svolta del suo governo, da parte nostra abbiamo deciso di dare credito all’uomo Lombardo ed alle sue scelte. Ma è ora il tempo di imprimere una volontà decisionista massiccia, imponente, al fine di scavare non solamente un solco con le inveterate, spesso incancrenite, abitudini del passato, ma anche di lasciare il segno per il futuro, con atti concreti e non chiacchiere. E se per un verso, sempre udendo le affermazioni di Raffaele Lombardo, la Regione non può più fare assunzioni (così i comuni e le altre P.A.), venendo meno a quella funzione di ammortizzatore sociale che per decenni ha assolto, appare indispensabile –nella inderogabile e decisiva riforma della mastodontica burocrazia regionale- che essa si impegni con i privati e con gli enti partecipati, in quello che intendiamo come un grande piano regionale per il Lavoro, il quale sia strutturato almeno per il prossimo decennio, con i partiti della coalizione che sostengono il governo regionale, il quale abbia la forza etica (laddove codesta alberga nel cuore di chi è preposto al timone del governo: l’Etica di Aristotile e del Voltaire, la cui Legge è nel cuore, il cui Dio è nei cieli), da parte dell’ente pubblico regione Sicilia, di ‘imporre’ ai privati la assunzione di personale, nelle varie specialità del settore. Ci spieghiamo meglio, in breve.
Il deputato regionale del PD Nino Di Guardo, la cui trasparenza politica ci pare al di sopra delle parti, ha in una recente intervista rammentato, come poco prima aveva detto il medesimo Presidente Lombardo (mentre non notammo lo stesso fervore né nei deputati regionali del PDL, né nella UDC, sensibilità al problema espressero i deputati detti ‘finiani’ ed alcune frange degli storaciani de La Destra, da non confondere con AS di N.Musumeci), dei 40 mila lavoratori dell’edilizia che i fondi FAS, allorché e se arriveranno, potranno finanziare attraverso l’apertura di molti cantieri, nell’isola. Precisando che l’elenco di cotali lavoratori, trasmesso dalla Regione attraverso i centri per l’impiego delle città provinciali ai Comuni, è in questi ultimi, almeno in alcuni, arenatosi fra le spire della burocrazia ovvero nelle fanghiglie degli amministratori locali che per pura nemicizia verso Raffaele Lombardo, ma danneggiando molti poveri cristi, hanno intenzione di soffocare tale proposito concreto (così ci risulta da informazioni assunte, in particolare a Messina), è bene aggiungere che non tutti i disoccupati in Sicilia, aventi diritto ed in cerca di un impiego, sono carpentieri, muratori od edili, né intendono diventarlo. Occorre quindi una visione d’insieme che esca dalle logiche del corporativismo oramai frusto, e veda complessivamente il problema. Sempre in una intervista di fine agosto, dal Presidente Lombardo abbiamo saputo che i suoi due figli sono in Roma, uno iscritto alla LUISS e l’altro medico: ove accada che tornino a dedicarsi ad attività lavorative nella regione nativa, saranno senza dubbio di esempio ai molti coetanei che desiderano impegnarsi per il riscatto etico della propria Patria sicula. Concretamente: mentre vediamo il Presidente con giustezza, giorni fa, inaugurare una nuova tratta della Ferrovia Circumetnea, che è ente partecipato dalla Regione ma di nomina governativa, rammentiamo che mesi fa nella trasmissione Report fu sollevato il caso delle nomine con determina del Commissario della FCE Tafuri, senza alcuna graduatoria né concorso, di personale in quell’ente: il Presidente Lombardo se ne adontò, ma poi la realtà del silenzio tornava a prevalere. Emblematico il caso dell’Aeroporto di Comiso (ove ci risulta Amministrtatore Delegato Pietro Ivan Maravigna, già per molti anni consigliere comunale di Catania nonché alto dirigente della Polizia, persona nota per le sue battaglie in difesa dei diritti umani): quali criteri, ora che la vertenza per il suo sviluppo è stata sbloccata, la Regione intende adottare per eventualmente verificare con trasparenza, in un ruolo che non può essere che di supervisione, sulle assunzioni del personale in base a principii di trasparenza, di credibilità pubblica e di assoluta correttezza, lasciando alle spalle il clientelismo e l’anticostituzionale scelta degli "amici degli amici", a cui i principii e la volontà del Presidente Lombardo si oppongono, negli ultimi tempi, con invidiabile fermezza? Medesimamente la riforma del Consorzio Autostrade di Sicilia dovrà avere un similare sviluppo; così come dopo la soluzione della vendita della Tirrenia ai privati ("La flotta che fu dei Florio, e che dovrà tornare nella sua sede centrale a Palermo", ha precisato con giusta enfasi storica Lombardo), intende la Regione Siciliana, in virtù della sua quota di proprietà, intervenire per fare adottare agli investitori privati dei criteri di scelta del personale, di là dagli schemi del clientelismo e del politicume? Proprio per queste ragioni, come tutti sanno, i giovani qualificati –e che non hanno ‘sostegni’ ed amicizie nel mondo della politica- scelgono di emigrare fuori dalla propria terra, dove viene gradito il talento più che la cosiddetta ‘segnalazione’.
Il piano regionale strutturato per il Lavoro che intendiamo, dovrebbe articolarsi verso l’agricoltura, ove alle aziende private attraverso i centri regionali per l’impiego verrebbero sottoposti degli elenchi di lavoratori da cui attingere; nel settore dei Beni Culturali e del Turismo, ove innanzi alla sovrabbondante ricchezza di monumenti laici e religiosi, la più gran parte chiusi od in stato di abbandono e misconosciuti (quelli religiosi non sono della Chiesa, molti, ma del Fondo edifici di Culto del Ministero dell’Interno: con la cessione in atto di molti beni dallo Stato alla Regione, si intravvede una soluzione), sarebbe indispensabile –anche attraverso le Soprintendenze- che la Regione provvedesse all’espletamento, passando per la filiera degli enti privati constatati i problemi finanziari, e dopo che la medesima Regione avrà ‘subappaltato’ i monumenti agli investitori che li gestiranno, di un onesto elenco di lavoratori disponibili (da reclutarsi, dopo la modifica mentale necessaria… bisognerebbe infatti spiegare ai precari della scuola che è meglio avere cinquecento euro quale custode di una vecchia chiesa, che milleduecento euro da maestra in una scuola statale che è praticamente fallita, e non li potrà mai più assumere!) a custodire, ed i più preparati ad illustrare, tali beni architettonici. Questo già avviene in molti luoghi, attraverso cooperative private (magari in silenzio finanziate dagli enti pubblici): sono i criteri del reclutamento, che vanno del tutto ridisegnati, come sa una comune cittadina che, chiedendo se può lavorare in quel settore, oggi si vede cacciare in malo modo se non è ‘segnalata’ dal politico di turno o, alla meglio, le è offerto un lavoro gratis, senza ricompensa.
Questa è la realtà, che i nostri politici regionali sanno bene, anche se alcuni fingono di ignorarla. In Gran Bretagna (ah perfida Albione di un tempo, come sei ancor maestra di Civiltà e di Luce dai Tre punti dell’Etica sublime!) nei recenti giorni della crisi finanziaria, le aziende sostituiscono i fiori veri con quelli finti, la tovaglia di stoffa con quella di carta: il risparmio (da noi usa dire razionalizzazione) è per tutti, dal dirigente all’usciere: ed i prezzi al consumo diminuiscono. Qui è all’incontrario, e chi si azzarda a tentare tale manovra, è quasi linciato. Pure, occorre insistere. Gutta cavat lapidem, è assioma autentico ed alfine foriero di intemerata giustizia.

Bar.Sea.

(pubblicato su Sicilia Sera n°333 del 3 novembre 2010)

venerdì 15 ottobre 2010

Premiazione concorso letterario premio Antonio Corsaro


Premiazione concorso letterario premio Antonio Corsaro


Con il Patrocinio dell'A.I.C.S.Comitato Provinciale di Catania Settore Cultura
L'Associazione Akkuaria promuove il
PREMIO ANTONIO CORSARO 2010

La cerimonia di premiazione si svolgerà sabato 6 novembre c.a. ore 11 presso l'Aula Magna dell'Orto Botanico
in via Via A. Longo, 19 Catania.

Parleranno della figura di Antonio Corsaro:
Vera Ambra, Presidente Associazione Akkuaria
Francesco Giordano, giornalista
Nino Amico, operatore culturale

Cremazione: ora in Sicilia è legge


Importante provvedimento approvato dall’ARS

La cremazione ora è legge in Sicilia

Disponibili 500 mila Euro per la costruzione di impianti di incinerazione – Il governo
regionale sceglie la strada del progresso, valorizzando la scelta cremazionista -

Finalmente anche la nostra Regione Sicilia ha una legge che disciplina la cremazione dei cadaveri, adeguandosi così alla normativa nazionale. E’ infatti dal DPR 285 del 1990 (Presidente Cossiga) che lo Stato disciplina le norme secondo cui il cittadino che intende scegliere la cremazione delle proprie spoglie mortali, invece che la classica tumulazione, può avvalersi di impianti a regola d’arte quali i crematori pubblici, nonché lasciare la volontà che i parenti od i collaterali discendenti possano disporre come meglio si vuole dei resti. E’ una scelta di civiltà, di progresso e di antica tradizione, la quale ha da circa un centennio nell’Italia del nord retroterra adeguato ed ampio consenso. La Toscana in particolare ha da molti anni regolamentato, anche prima delle disposizioni nazionali, la scelta della incinerazione non solamente utilissima dal punto di vista igienico, ma anche altamente etica e dignitosa del rispetto della persona. Seppure con un ritardo di vent’anni, l’Assemblea Regionale Siciliana nella seduta finale di chiusura estiva, il 5 agosto, su proposta del deputato del PD e già Sindaco di Misterbianco Nino Di Guardo, concordemente ed all’unanimità, ha approvato la legge 468 “Disposizioni in materia di cremazione delle salme e della conservazione, affidamento e/o dispersione delle ceneri”. E’ un provvedimento importante che supera le divisioni normali fra schieramenti politici (dònde la giusta soddisfazione del promotore) e che il Presidente Lombardo e l’Assessore alla Sanità Russo hanno fortemente voluto e varato, con uno stanziamento di cinquecento mila Euro. Prima di esaminarlo in dettaglio, ci si consenta una precisazione: la mentalità sicula deve cambiare e rimodernarsi nel solco della Tradizione anche in questo, ovvero riprendere l’antichissima usanza della incinerazione dei cadaveri degli antenati, onorando i Mani (si pensi a tutte le grandiose scene dell’Iliade e dell’Odissèa, per non citare Pindemonte con i suoi Sepolcri, artatamente imitati dal pur notevole poema del Foscolo), la quale nella Sicilia ellenica e punica –sia sufficiente, per chi non vi è ancor stato, una visita ai Musei archeologici di Siracusa, di Mozia e di Camarina: ivi le urne\anfore ove generazioni di morti si serbavano, sono esposte e si spiega che si tenevano in casa, esattamente come la legge oggi prevede- era ampiamente diffusa, prima che con l’avvento del Cristianesimo ed una pur non inaccettabile interpretazione della conservazione dei cadaveri in vista della resurrezione dei corpi e delle anime come invocato dalla dottrina cristiana, quasi imponesse la sepoltura mediante inumazione (era già pratica egiziana invero, di millenni precedente la predicazione di Gesù, ma per altre ragioni). Per fortuna anche la Chiesa Cattolica, mentre nel passato, e non senza ragione, bollava la cremazione quale segno tangibile della ribellione al suo magistero (nell’Italia post risorgimentale era vero, e furono molti che scelsero di farsi cremare in opposizione, larvata od aperta, ai dogmi della fede: uno di costoro fu il grande scrittore Luigi Pirandello), e vi era tutta una corrente di pensiero che invocava la cremazione quale scelta di libertà a fronte di un certo oscurantismo clericale (visione in parte estrema, non sopita neppure oggi, specie nelle Americhe), dall’avvento del mirifico Papa Giovanni XXIII ha compreso l’inanità del bando alla cremazione, il cui veto è infatti caduto con i documenti del Concilio Vaticano II, nel 1963; per cui l’attuale Catechismo recita che “la Chiesa non si oppone alla cremazione”, purché essa non sia manifestazione di rifiuto nella credenza della resurrezione. E’ quindi da eradicare il luogo comune della persistenza fisica del corpo dopo che l’anima, o pnéuma secondo la corretta dizione greca (nonché gnostica, filosofica) lo ha tristemente abbandonato. Quel che era non sarà mai più, secondo la interpretazione leopardiana: quel che era, tornerà nella Luce del Risorto, secondo chi ha od anela alla fede dei padri.
La Legge regionale, in dieci articoli, è pertanto fondamentale sin nei suoi assunti: “1. La Regione, ai sensi degli articoli 2 e 19 della Costituzione, sostiene il diritto di ciascun individuo di disporre delle proprie spoglie mortali. 2. La presente legge disciplina la cremazione, la conservazione delle ceneri derivanti dalla cremazione dei defunti, l'affidamento delle medesime e la loro dispersione, nel rispetto dei principi sanciti dalla normativa statale e secondo le modalità stabilite dalla medesima.
3. La Regione valorizza la scelta della cremazione per ragioni igienico-sanitarie e in quanto
pratica funeraria di minor impatto sull'ambiente, salvaguardando la dignità di ogni persona, la sua
libertà di scelta, le sue convinzioni religiose e culturali, il suo diritto a una corretta e adeguata
informazione. 4. La Regione garantisce, attraverso una adeguata formazione, la professionalità del personale addetto ai crematori”. Importante il terzo comma di codesto articolo, il quale pone la valorizzazione della cremazione quale volontà precipua del governo regionale, il quale è evidentemente sin dal suo vertice non solo ben conscio della grande dignità di essa, ma anche della notevole ed intramontabile Tradizione di Luce e di Carità che tale scelta comporta. Si prosegue con le modalità di cremazione del cadavere, studiate in modo che le ceneri siano perfettamente riconoscibili mediante l’apposizione di “sistemi identificativi non termodeperibili” che evitino spiacevoli, e già accaduti in altri luoghi, casi di confusione. Ma è l’articolo 3 che merita particolare plauso, verificando che il governo regionale –così glissando sulle sterili ed a volte tristi e capziose polemiche sollevate ad arte anche da una certa parte interessata di ambienti settàri- è altamente sensibile alle situazioni familiari private di ciascuno: l’affidamento delle ceneri del defunto, come disposto dal medesimo o dai familiari, può essere svolto consegnando l’urna contenente i resti non solo al coniuge, ai parenti diretti od affini, ma anche nelle mani “del convivente, in quanto non vi siano o non si oppongano altri aventi titolo” (comma 2). Se si pensa che, tanto per dare il quadro della attuale situazione, ai funerali dei Carabinieri morti nell’attentato di Nassirya in Iraq nel 2003 alla convivente di un militare è stato impedito di assistere ai funerali di Stato perché non legalmente sposata, è un grande segno concreto che la nostra regione manifesta, di illuminatismo contro la tenebrosità di certi atteggiamenti fanatici i quali sono del tutto inaccettabili.
Importante pure la disposizione che le ceneri possono essere disperse, ove non si voglia conservarle, in apposite aree create entro il perimetro dei cimiteri (denominate campi della memoria), ovvero in natura ed in spazi privati (non però entro i centri abitati). Si prevede inoltre un piano regionale di coordinamento che istituisca per ogni Comune, o meglio consorzio di comuni, degli impianti di cremazione per far fronte alle prevedibili e crescenti esigenze dei cittadini. Anche questa è una volontà meritevole.
Appare infatti assolutamente vergognoso che cinque milioni e mezzo di siciliani, tra cui molti che desidererebbero effettuare codesta scelta, debbano avere la infima possibilità dell’unico impianto crematorio regionale, quello di Palermo (il quale peraltro ci si dice funziona a singhiozzo): laddove urgente è l’esigenza della costruzione di moderni ed efficienti apparecchi. Invero a Catania il Consiglio Comunale anni fa approvò una delibera per l’istituzione del crematorio civico: ma tutto finì in mera volontà d’intenti, come era prevedibile. Adesso non sarà più così, od almeno ne abbiamo maggiori speranze. L’articolo 5, in virtù di un corretto “senso comunitario della morte”, istituisce delle banche dati informatiche ove gli incinerati potranno, od i discendenti qualora vogliano, inserire le proprie note biografiche, tali da non farne disperdere perlomeno il ricordo. E’ una scelta diremmo all’avanguardia del progresso civile ed in linea con le grandi nazioni del nord Europa, che anch’essa merita il plauso di tutti coloro che hanno a cuore la tradizione coniugata con la modernità intelligente. Si pensi che ciascuno di noi ove lo voglia potrà inserire la propria biografia, e le immagini, nel computer il quale custodirà per i nipoti e pronipoti tali informazioni. Come avremmo gradito che dei nostri bis e trisnonni ci fosse stato ciò concesso, invece di scartabellare vecchie carte ed ìre in cerca di ingialliti fotogrammi o disegni…!
E’ infine prevista l’incinerazione gratuita, a cura dei comuni di ultima residenza, per gli indigenti accertati, il piano di informazione ai cittadini su costi e modalità, l’erezione di “luoghi di commiato” entro i cimiteri ove chi vuole (e non desidera funerali in Chiesa, o dopo di questi) può far svolgere brevi e sobrie cerimonie di addio al defunto, nonché l’articolazione dello stanziamento finanziario pel triennio 2010-12 in 440 mila euro per la costruzione degli impianti di cremazione, e 60 mila euro per la pubblicità. Resta inteso che gli impianti debbono sorgere all’interno dei cimiteri. Forse tale somma per la costruzione dei crematori non è del tutto sufficiente, ma da parte nostra auspichiamo l’intervento, anche pubblicitario, di investitori privati. Ed a tal riguardo: esiste da decenni in Italia la SOCREM, società privata che dietro iscrizione si occupa della cremazione dei cadaveri (implicitamente citata nella suddetta legge, quale eventuale affidataria di servizi): le strutture della quale, se al nord Italia hanno da tempo una lunga efficienza, non ci pare in Sicilia negli ultimi tempi abbiano brillato per trasparenza e diffusione. Quindi auspicabile altresì sarebbe l’apertura del mercato della libera morte, ci si passi la metafora, ove numerosi operatori privati offrano al cittadino di codesti servizi: dappoiché i regimi di monopolio nel XXI secolo sono affatto anacronistici, e non sarebbe giusto che la legge testé approvata, anche involontariamente, ne agevolasse uno od altro. Pertanto verificheremo la strategìa pubblicitaria che la Regione sceglierà per tale scelta di miglioramento della società, oramai irreversibile.
“In quell’ultimo momento, soprattutto, \ quando sentirò di sfuggire a me stesso… in tutte quelle ore buie, \ donami, mio Dio, di comprendere \ che sei tu (ammesso che la mia fede sia così grande)\ che separi dolorosamente le fibre del mio essere \ per penetrare fino al midollo della mia sostanza \ e trascinarmi in te” (P.Teilhard de Chardin, All’ultimo momento da Le Milieu divin, Paris 1957). Le sapienti parole dello scienziato gesuita forse ci consentono meglio di comprendere tale incredibile mistero, innanzi al quale è necessario il silenzio, nella consapevolezza che “come è in alto così in basso, per la bellezza della Cosa Una” (tavola Smeraldina): ma già lo si ripete nel Padre Nostro: “sicut in caelo et in terra”.

Bar.Sea.

Pubblicato su Sicilia Sera n°332 del 5 ottobre 2010

lunedì 20 settembre 2010

Mostra e Seminario su Colera e rivoluzioni in Sicilia all'Archivio Storico Comunale di Catania, 25-26 settembre 2010




Nell'ambito delle Giornate Europee del Patrimonio 2010 "Italia tesoro d'Europa" a cui partecipa il Comune di Catania, l'Archivio Storico Comunale di Catania organizza una mostra ed un seminario su "Colera e Rivoluzioni in Sicilia: due sciagure dentro e fuori i monasteri nelle lettere dei Verga (1854-1866)".E' una laudevole iniziativa di cui è artefice primiera la Dott.ssa Marcella Minissale, direttrice dell'Archivio, affiancata dai solerti collaboratori. Inaugurerà l'Assessore alla Cultura Marella Ferrera.


Con questi eventi la Luce intramontabile della Cultura splenderà sempre oscurando le tenebre dell'ignoranza.


Qui riportiamo la locandina dell'evento.


Relatori:Prof. Antonio Di Silvestro, della Facoltà di Lettere dell'Università di Catania, sul tema "Momenti e temi della religiosità della famiglia Verga"


Dott. Francesco Giordano, giornalista pubblicista studioso di storia patria, sul tema: "Aspetti politico sociali del colera del 1837"


Dott. Giovanni Verga, giornalista pubblicista, pronipote dello scrittore


Leggerà alcuni brani delle lettere in esposizione l' attrice Agata Tarso, della compagnia "Amici del Teatro" di Nicolosi.




Ulteriori informazioni sull'iniziativa possono essere ottenute al seguente indirizzo:www.comune.catania.it/informazioni/news/cultura/musei/archivio-storico/default.aspx?news=16097, ove è la scheda storico tecnica della mostra.

lunedì 2 agosto 2010

Salvatore Gristina, da otto anni Metropolita di Catania


Da otto anni regge la diocesi etnea


Salvatore Gristina, un Vescovo di valore

Dotto e fermo nella applicazione della dottrina, fedele al Concilio, applica i precetti dell’umiltà e della carità – Un Arcivescovo verso il popolo -


Dominus regit me, et nihil mihi déerit", ‘il Signore mi governa, e nulla mi mancherà’: il meraviglioso inizio del Salmo 22 può a nostro parere essere un ottimo augurio, per gli otto anni che in questi dì si compiono, dacché alla guida dell’Arcidiocesi di Catania è Monsignor Salvatore Gristina, Vescovo Titolare di Musti in Numidia e dal prestigioso passato nella diplomazia vaticana, autorevole coadiutore della Diocesi di Palermo, nonché Vescovo di Acireale. Il pastore delle anime di Catania, lo rammentiamo, nominato dal Santo Padre Giovanni Paolo II il 7 giugno 2002, si insediò nell’agosto di quell’anno, accolto dalla festante popolazione. Succedeva a Luigi Bommarito, che sin dal 1988 aveva con mano sapiente guidato il Vescovato di Euplo e di Leone il taumaturgo: uomo estremamente comunicativo, impresse il suo stile peculiare ed al passo con i tempi che mutavano. Con lui la diocesi di Catania conobbe rinnovato vigore, e fu elevata a Metropolìa.
Mutatis mutandis, come è naturale nell’ordine dei fatti umani, che tuttavia hanno il beneplacito dello Spirito Santo, in questi otto anni di governo dell’Eccellenza l’Arcivescovo Gristina, si è assistiti ad un tono di rettorìa della diocesi differente dalle precedenti abitudini, con alcune, importanti, peculiarità. E’ innegabile nel popolo minuto adagiarsi ad inutili paragoni: certo è che Mons. Gristina, palermitano di Sciara (ove nacque nel giugno del 1946), uomo estremamente còlto, sobrio, che non ama apparire e mostrarsi sovente ma nella sostanza definire il "de sensu rerum", ha voluto e continua a desiderare di lanciare, alle masse dei fedeli come ai più fini orecchi, un messaggio sottile e preciso, importante e non scevro da profonde sollecitazioni. Egli –lo si nota dalle prediche- a volte sfiora argomenti fondamentali, in altri casi li scevera con vasta mèsse di argomentazioni eloquenti e brillanti, tanto da non far dimenticare, a coloro che hanno il dono della memoria e porte aperte ai carismi della spiritualità, il crisma della sua ordinazione sacerdotale.
Egli è stato infatti consacrato sacerdote il 17 maggio 1970 (simbolismo dènso di significati: il diciassette, giorno della stella, ed il mese mariano di maggio, "in spe resurrectionis") in Roma dalle venerabili mani di quell’illuminato Pontefice che fu Papa Paolo VI: egli, lo schiuditore del Concilio che copia di umanità fraterna ha prodotto nella Chiesa e fuori dalla Chiesa, così esprimevasi a riguardo della fede: "La fede, si dice, non è il dogma verbalmente considerato; questo consiste in formule fisse che tentano di definire e di racchiudere verità immense, ineffabili e inesauribili. E sta bene: anche San Tommaso c’insegna che l’atto di fede non termina alle formule che la espongono, ma alla realtà a cui esse si riferiscono; non senza però una visione integrale di questa dottrina… per rendersi conto dell’essenziale importanza che il Concilio, coerente con la tradizione dottrinale della Chiesa, attribuisce alla fede, alla vera fede, quella che ha per sorgente Cristo e per canale il magistero della Chiesa" (8 marzo 1967, in Oss.Rom.). Sotto l’augusta guida di cotal dottissimo Papa, il nostro Arcivescovo non poteva che essere anch’egli sapientemente illuminato dal cammino della Vera Fede e –come egli medesimo ha affermato nel giugno scorso, durante l’allocuzione finale del Corpus Domini, in piazza del Duomo- disposto ogni giorno ad insegnarla e spargerla, come i cinque pani e due pesci dell’evangelica novella, ai cari suoi fedeli catanesi. In verità in quella occasione, come in altre, il Vescovo Salvatore ha mostrato l’umiltà tutta cristiana di sentirsi in ambasce, quasi in difficoltà, nello spezzare il pane della mensa santa: ma dalle pagine del Sacro Libro egli coglie, precisamente nella lavanda dei piedi che come altri quadri, è uno dei simboli più forti del ministero di Cristo, la forza della umiltà e della coerenza, nella fraterna comunione dei consacrati in Gesù e del popolo. Verso il cui popolo, molti in questi otto anni (il cui numero è precisamente quello delle evangeliche beatitudini: nulla accade per caso, nelle superiori volontà…) sono stati gli affettuosi, paterni accenti dell’Arcivescovo: egli è uno di loro, e specialmente dei più bisognosi, dei più sofferenti, dei diseredati, di coloro che hanno bisogno –come insegnò il Beato Papa Giovanni- di "qualche lacrima da asciugare". Lo abbiamo veduto e udito, possiamo testimoniarlo: egli non si sottrae financo a ruoli che potrebbero non competergli (un giorno di anni fa, innanzi Sant’Agata la Vetere, primiera cattedrale, lo osservammo scendere dall’auto blu e spostare, come un qualunque perpetuo, i pesanti vasi di fiori onde permettere più largo spazio innanzi al sagrato…) e neppure risparmia parole dure e chiare a chi quasi le sollecita (in un recente incontro coi giovani imprenditori del Kiwanis, ad una dissertazione sul lavoro, chiedeva: "Tra di voi c’è qualcuno che non lavora? Ed allora", con un sorriso sornione, "come potete comprendere i problemi di chi il lavoro non l’ha?", facendo rimanere basito l’uditorio: ma compiendo il precetto divino). Interpreta la missione commessagli con santa umiltà e divina carità. Comprensivo con tutti: anche nel caso della applicazione del Motu Proprio del Sovrano Pontefice Benedetto XVI, che apertamente lascia la libertà accanto alle funzioni secondo il rito nelle lingue nazionali, di celebrare la S.Messa seguendo il Messale in lingua latina preconciliare, Monsignor Gristina ha accolto con fraterna benevolenza la richiesta di molti fedeli, e consentito che anche a Catania, come in molte altre diocesi, un sacerdote preparato ed entusiasta della dottrina tradizionale come di quella conciliare, pòssa officiare il sacro rito in un tempio di secoli càrco ove le lodi di Dio siano intonate con magniloquenza. E del resto egli medesimo non è estraneo a parteciparne i sentimenti: lo vedemmo alla chiusura del mese mariano in S.Maria dell’Aiuto, intonare con perfezione e saggezza il "Pange lingua". Un Arcivescovo a nostro parere completo, dunque: fermo nel messaggio di Luce che scaturisce come gemma preziosa dal Concilio Vaticano II, vicino alle molte forme della incrollabile Tradizione della Chiesa, che ne formano un prisma unico ed inscindibile. E’ un uomo di valore, che l’Altissimo lo serbi con felicità alla catinense diocesi per lungo tempo ancora. Con la chiusa del citato Salmo 22, "Et ut inhàbitem in domo Domini in longitùdinem diérum", ‘affinché per lunghi giorni io abiti nella casa del Signore’.

Bar.Sea. (Francesco Giordano)
Pubblicato su Sicilia Sera n° 331 del 1 agosto 2010

Raffaele Lombardo: è tempo delle scelte


Le analisi che propongono significati


Timoleonte o ‘Ntoni Malavoglia: la scelta di Raffaele Lombardo


Carattere ferreo, il Presidente della Regione ha inteso avviare un percorso
di orgogliosa identità autonomistica – Col concorso di molti: ma il tempo stringe -


Il discorso che il Presidente della regione Sicilia Raffaele Lombardo, ha pronunziato nell’assise del Parlamento siculo il 13 aprile u.s. (per chi sa del significato de’ Tarocchi, il tredici è numero di morte, ma anche di rinascita), rappresenta invero un autentico spartiacque per la politica regionale. Mai in sessantaquattro anni, dacché la maestà del Re ‘maggiolino’ Umberto II, dopo la lotta per l’indipendenza sicula culminata còlla infausta battaglia di Randazzo del 1945, e l’onda popolare trionfante del MIS, concesse lo Statuto che proclamava, finalmente dopo secoli, l’autonomìa nazionale del popolo siciliano (facendo seguito alla Costituzione ‘inglese’ del 1812 ed a quella ‘francese’ del 1848), un Presidente di regione si spinse a tal punto da non solo difendere il suo operato ed attaccare i propri nemici –atti del resto comprensibili-, ma anche, e ci pare il dato trascurato dai più, identificare le proprie sorti con quelle medesime della gente che, volente o nolente, egli rappresenta. Sòrta di ‘cesarismo’ regionale: dimostrazione di potenza secondo gli avversari, o piena consapevolezza delle proprie forze e del particolare frangente politico e sociale nel quale si vive? La certezza è che Raffaele Lombardo, di cui da queste colonne circa un settennio fa precisammo che è uomo di carattere (anche per i baffi… dato da non trascurare…), ha tracciato un solco profondo fra sé, la sua figura ed il suo partito, attuale e nascente in altre forme, e le vecchie logiche di potere, da lui stigmatizzate con particolare coloritura dei "pupi dei pupi dei pupi": metafora precipuamente chiara ai siciliani, affondante le radici in un linguaggio simbolico immediatamente comprensibile a tutti.
Vero è che il Presidente Lombardo, come ha detto, si confronta de visu con chiunque: impenetrabile può apparire, a chi d’improvviso intenda contattare lui od i maggiorenti del suo partito. Ma come dell’oro il fuoco scopre le impure masse, svelatasi la Luce autentica dietro il volto atteggiato al sorriso, così l’interlocutore, ove abbia la necessaria capacità, può scorgere oltre il velo ed i segni, l’autentico pensiero di quest’uomo affatto necessario, alla Sicilia del secolo XXI. Egli ha evidentemente chiaro il frangente cruciale della attuale fase politica nazionale ed internazionale: il futuro è nel federalismo delle ‘piccole patrie’ e, se il Presidente baffuto e dall’eloquio affabulante e modulato nei toni, rammentante il prorompente Giovanni Grasso, il più grande attore tragico italiano del XX secolo del teatro di prosa, vuole essere già da oggi e nel futuro, il padre vero’ della Sicilia risorta al concetto antico e nuovo della autonomìa –che, per coloro i quali lo sanno intendere e, meglio, gestire, diventa indipendenza de facto se non de jure, dallo stato centrale- deve agire nel modo che ha dimostrato nel rispondere, con veemenza e passione, ad un attacco invero assurdo e vile, posto in essere da settori che sarà compito della Magistratura accertare quali siano. Ed ove allignino delle ombre, ma assolutamente accertate, sul suo personale operato, si potrà ridiscutere. E’ comunque un fatto distruttivo della personalità di chiunque, come si è notato in altri casi, ricevere accuse ‘sì gravi come quelle di concorso esterno in associazione mafiosa, senza aver neppure, sino a quel giorno, ricevuto un avviso di garanzia. Gli avversari potranno discettare all’infinito: ma questi son fatti, e vanno accolti per ciò che significano.
Riguardo ai due anni trascorsi al governo della Sicilia, da molte parti giungono, e raccogliamo, voci di critiche e dissenso all’operato della giunta presieduta da Lombardo: per molti le scaturigini sono livori e rancori che hanno riscontri personali: l’opera di risparmio del governo ha ‘tagliato’ fondi nel modo più deciso, ad associazioni varie, mietendo ‘vittime’ laddove aveva prima interessati sostenitori. E’ comunque scandaloso, come apparve dalla stampa, che taluni funzionari regionali vadano in pensione con appannaggi favolosi, i cui proventi sarebbe bene destinare ad opere di utilità e giustizia sociale (qui il governo regionale deve per forza agire per sanare codesta piaga). Però Raffaele Lombardo bene ha fatto a sgomberare l’orizzonte dai falsi amici, dai finti sostenitori (ed anche dai finti, e ce ne sono, sicilianisti) che, laddove privati delle prebende, si tramutano da colombe in jene, da sodali in fierissimi nemici. Gente che si vende per denaro e non ha niuna idea che quella di Mammòna, è affatto meglio gettarla nella Geènna infernale.
A questo proposito, importantissima apparve l’affermazione che il Presidente nonché capo dell’MPA fece l’undici aprile, nell’intervento suo conclusivo di un convegno su "Giovani donne e autonomia" tenutosi all’albergo catanese Excelsior: "chiunque percepisca la sua quota, da amministratore, deve versarla nelle casse del partito", ha egli còlla solita enfasi dichiarato. E’ una visione riorganizzativa del suo movimento che rammenta i primi tempi, quelli detti ‘eroici’, dei partiti di massa, popolari, come la nascita della DC, od anche altri e piccoli movimenti fideistici il cui unico obiettivo è l’ideale, a cui primariamente si sacrificano tempo ("dovete venire in sede il sabato pomeriggio", egli ha detto ai dirigenti) e denaro: anzi il pubblico denaro percepito dagli appannaggi, che deve confluire nella cassa comune. Non forse codesta affermazione avrà fatto felici alcuni, ma l’opinione di Raffaele Lombardo, in quel consesso testè citato, fu chiara: "chi ci sta, bene, chi non ci sta, può andare alla porta". Non appaiono codeste le parole di un uomo accomodante, bensì decise di piglio e di tenore. Tuttavolta, dal mutamento dell’indirizzo politico della Regione, a dicembre, ipotizzammo alla giunta Lombardo alcuni mesi di garanzie: questo tempo, che è prezioso come non mai oggi, sta per scadere nell’interesse dei siciliani, sempre più impoveriti dalla crisi economica (anche se in giro se ne mistificano i segnali, essendo la nostra una economìa ‘drogata’ dall’illegalità): per cui non saranno le movimentazioni della finanziaria dell’ARS (che costa sempre più cara a noi tutti, quattro milioni di Euro in più del 2009 nel recentemente pubblicato bilancio di quest’anno) a salvare la fallimentare gestione della politica sicula degli ultimi tempi. Attendiamo quindi, e con estrema rapidità, che dalle parole si passi ai fatti. In primis, nel settore della giustizia sociale, versus lavoro (e non sono i ‘voucher’ od altre amenità sino a qui strombettate, a risolvere il grande problema). E’ questione, appunto, d’onore.
Proprio il concetto dell’onore, che Raffaele Lombardo ha miscelato coll’onore di tutti i siciliani, il quale è assolutamente infangato dalle vicende ‘mafiose’, è importantissimo per ben comprendere la chiave, diremmo quasi psicologica e sociale, del nostro comune futuro come collettività regionale.
"Sicilia, la terra ove germoglia la pianta dell’onore", cantava circa novecento anni fa il grande poeta siculo-arabo Ibn Hamdis: questa visione del mondo, poiché tale è, incrostata e travisata da interpretazioni malandrine e delinquenziali che nulla hanno a che vedere col suo vero significato, appare ammantata di nobiltà, dal più alto scranno della politica sicula, attraverso le parole del Presidente Lombardo. Il quale chiama i siciliani ad una correità aperta: o si cambia mentalità, processo profondo che richiede decenni e deve essere affidato alle giovani generazioni di uomini e sopra tutto di donne, codeste figure indispensabili della nostra società, poiché madri e genitrici delle mèssi allegoriche e reali del futuro, nell’intendere l’autonomìa e quindi il progresso tutto dei siciliani: o si sarà ancora una volta, come per secoli, preda dei conquistatori. Del nord, o ascari, o barbari che siano, non importa: sempre conquistatori co’ loro scherani, essi risultano. Ma (ed è dunque un chiaro monito che si staglia adamantino all’orizzonte, dati i grandi poteri che anche la nuova coalizione col PD e forze collaterali del PDL manifestano) è proprio il Presidente Lombardo che deve dare in prima persona l’apporto fondamentale alla svolta: incominciando dall’atavico e quasi mai risolto problema del lavoro dei siciliani.
Nel turbine dell’ultimo conflitto mondiale, un autorevole personaggio quale Andrea Finocchiaro Aprile, si erse a simbolo della sicura resurrezione dal potere centrale dello Stato, e tentò, invano, di plasmare de facto una moderna forma di autonomismo, anche sociale ed imprenditoriale. Figura che il Presidente Lombardo ben conosce: dalle cui ispirazioni illuminate, è da trarre il necessario. Tuttavia, andando ben indietro tra le pagine della Storia, egli può comportarsi come il corinzio Timoleonte il quale, venuto in Sicilia, nel 345 a.C. liberò le città stato dalla soggezione cartaginese ed impose a Siracusa una costituzione democratica; depose il potere, e visse cieco ed onorato sino a morte; ma può anche far ripetere a’ siciliani l’adagio di ‘Ntoni, "ora che so ogni cosa, per questo devo andarmene", nella tragica chiusa del verghiano romanzo dei "Malavoglia". Raramente delle così immense e dènse di storia possibilità, sono nelle mani di un uomo, di un mortale che crede nel Vangelo: "Siamo servi inutili, abbiamo fatto quello che dovevamo fare" (Lc.17,10). Rendere liberi e rispettati i siciliani in casa propria: con la collaborazione di molti, se non è un sublime inganno, ci si può riescire.


Barone di Sealand (Francesco Giordano)


Pubblicato su Sicilia Sera n° 331 del 1 agosto 2010

venerdì 9 luglio 2010

Stagione estiva 2010 Teatro E.Piscator di Catania




Segnalata dall'amico Carmelo Failla, responsabile della struttura, pubblichiamo la locandina della stagione estiva del Teatro E.Piscator di Catania, che si svolge alla terrazza Ulisse nel mese di luglio.

martedì 6 luglio 2010

Giornata della Bicicletta, a Catania adesione parziale


Voluta con decreto dal Ministero dell’Ambiente

Giornata della Bicicletta, a Catania adesione parziale

Vasta area del centro chiusa al traffico automobilistico e dedicata ai ciclisti, ma
pochi velocipedi si son visti – Ripetere ogni domenica la chiusura del centro-
 
Fra le attività dell’attuale governo nazionale, meritevoli di plauso (non molte a nostro avviso: ma nocesse est l’obiettività) è la Giornata Nazionale della Bicicletta, istituita da poco con decreto dal Ministero dell’Ambiente, anche al fine di adeguarsi alle direttive di legge della Comunità Europea. In questo ambito, lo scorso 9 maggio anche nella nostra Catania, avendo l’amministrazione comunale aderito, si è svolta la manifestazione, concretizzatasi nella chiusura di quasi tutto il perimetro urbano del centro della città (una vasta aera che va dal porto ai viali Regina Margherita e XX settembre, dalle vie Ventimiglia a via Plebiscito, inglobando le arterie massime di via Vittorio Emanuele, da Sardo alla Statua, e Garibaldi) al traffico veicolare- esclusi i movimenti dei residenti- nella prima parte della domenica, onde consentire il transito dei velocipedi.
Da queste colonne scriviamo già da molto tempo a favore dell’uso ragionato, consapevole e felice della bicicletta, la quale a nostro avviso, siccome avviene nelle grandi città del nord Italia ed Europa, andrebbe sempre più usata e destinata a sostituire l’oramai insopportabile uso smodato della automobile. Pertanto non si può che plaudire a qualunque iniziativa, come codesta, che –anche se sporadicamente- restituisce il centro di una città notoriamente caotica e preda dell’automobilismo selvaggio, come Catania, a quella che adesso usa appellarsi (con terminologia stravagante) ‘mobilità sostenibile’, ed è invero voglia di libertà e di correttezza, negli spostamenti in centro, con l’uso nobile del velocipede. Pertanto abbiamo personalmente partecipato all’evento, in sella alla nostra "vecchia" ed azzurregiante macchina a due ruote Touring della gloriosa fabbrica Bianchi. Cronaca, pertanto, di prima mano, dalle 10,30 alle 12 circa.
Fu, ad onta degli strombazzamenti dell’amministrazione comunale etnea, una partecipazione assaj parziale, quella dei catanesi in bicicletta, alla giornata al biciclo appositamente dedicata. Avrà avuto successo al nord: ma la mentalità del catanese, ancora del tutto refrattaria all’uso intelligente della bici, complice una bella giornata di sole e di caldo, ha preferito le località marine o di montagna: e coloro i quali scesero in centro affollavano i marciapiedi, mentre in via Etnea, nelle vie Vittorio Emanuele, Teatro Massimo, ed adiacenti (per non parlare delle strade secondarie) numeràmmo circa e non più, dozzina oscillante o meno, una cinquantina o sessantina, ad esser larghi nel novero, di ciclisti che si aggiravano nel deserto, di autoveicoli, centro storico, i cui ingressi erano presidiati da transenne vigilate dalla Polizia Municipale.
Fece infatti, a noi del resto cònsci della situazione, un certo effetto vedere le vie Santa Maddalena, piazza Dante o di San Nicola –tanto per citare delle strade normalmente invase da decine di automobili, con il conseguente inquinamento atmosferico ed acustico che ciò comporta ogni dì- giojosamente libere da auto ma anche affatto deserte, laddove proprio in virtù dell’invito delle autorità, avrebbero dovuto esser prese d’assalto da tòrme di ciclisti. Gli è che anche la diffusione dell’evento, pure avvenuta attraverso il quotidiano locale e le TV, non si dotò di manifesti che informassero quanti non usufruiscono delle informazioni attraverso i mezzi anzidetti: e del resto anche il Comune, attraverso il punto informativo istituito in piazza Università, vi fece una a nostro avviso grama figura. Infatti ivi stazionava l'allora Assessore all’Ambiente Scalia (con una fiammante veste sportiva da ciclista d’occasione…) sfoderando lo scilinguàgnolo che gli è consueto, stigmatizzato per l’assenza di concretezza proprio quel giorno, in una lettera assai eloquente pubblicata dal quotidiano locale riguardo il nulla di fatto delle intenzioni annunziate nei cosiddetti ‘stati generali della città’, svoltisi mesi fa, a proposito del miglioramento della qualità della vita rispetto alla mobilità, in centro. Già adusi alle chiacchiere, sovente infruttuose, dei nostri politici (nessuno comunque di costoro, tanto per dare il buon esempio, vedemmo inforcare, come un qualunque cittadino, il velocipede: peccato, avrebbero avuto occasione di rendersi conto di vivere autenticamente in una città diversa da quella che immaginano nelle loro chimere…), notammo comunque che il punto informativo del Comune era "corredato" da numerose bici elettriche, di cui l’Ufficio Traffico Urbano desidera istigare all’uso. Qui occorrono alcune precisazioni: non è infatti invenzione di questa amministrazione l’incentivo che il Comune assegna a chi acquista una bici elettrica: fu infatti l’Assessore all’Ambiente Orazio D’Antoni che nel 2007 promosse concretamente il fondo con gli sgravi fiscali per gli acquirenti del biciclo a batteria. Inoltre, vi è da dire che il costo di una bici elettrica non scende al di sotto (quelle regolarmente omologate) dei cinquecento Euro: cifra assolutamente eccessiva per una famiglia di medio o basso reddito –accettabile invece pe’ redditi alti-, configurandosi pertanto il possesso di un tal mezzo come bene di lusso: specie in piena crisi economica, quale è oggi. Bene di lusso non deve essere la bicicletta, come si sa: anzi trionfo del popolo e dell’uso popolare, come è nella nostra tradizione, magari povera di mezzi ma ricca di umanità, del secondo dopoguerra (rammentisi la nota pellicola "Ladri di biciclette" di De Sica). Raffrontando con il costo di una bicicletta meccanica (in un qualunque ipermercato, per chi le vuol nuove, si vendono circa ad ottanta Euro), non vi è paragone: ma quest’ultima non ha praticamente costi di manutenzione, mentre la bici elettrica ne comporta parecchi –che fanno comodo alle aziende venditrici di componentistica-: da qui la maliziosa riflessione che, forse, suggerire l’uso del mezzo elettrico può essere economicamente conveniente a qualcuno, che poco o punto è interessato alla vivibilità urbana dei centri storici.
Catania ha comunque quel giorno –anche se il Sindaco, constatato l’indubbio vantaggio anche ambientale della chiusura dell’ampio spazio del centro, dovrebbe ripetere l’ordinanza tutte le domeniche, di là dall’occasione contingente delle biciclette: solo così si potrebbe creare una continuità senza la quale ogni fiammella isolata è destinata a spegnersi- goduto di un raro silenzio mattutino e di una serenità, che solo i radi colpi di pedale di quelli che il buon manualista Grioni, in un celebre volumetto della Hoepli del 1910, appellava "ciclisti gentiluomini", hanno dolcemente infranto, come una carezza su un manto di aristocratica signora: doni il Cielo ancòr di tali ore, nella fattiva collaborazione di sempre più cittadini, avviati ad un miglioramento che solo il ritorno alle sane consuetudini di un tempo mai trascorso, ma che può dirsi ritrovato, permette di donare: laddove si è davvero intenzionati alla via di perfezione, senza infingimenti, senza schermi, soprattutto senza bugìe, di cui presto o tardi si dovrà, qui o di là, rendere conto.


Bar.Sea.


Pubblicato su Sicilia Sera n° 330 del 4 luglio 2010

Solenni celebrazioni per la Madonna dell'Aiuto di Catania


Anno giubilare per il tempio mariano


Solenni celebrazioni per la Madonna dell’Aiuto, storica devozione catanese


Suggestiva processione e solenni celebrazioni eucaristiche nella chiesa retta da Mons.Smedila – Alcune precisazioni fra storia e simbolismo sul significato del quadro antico e miracoloso -
 
Il mese di maggio ha veduto le belle ed intense celebrazioni di Maria Santissima dell’Aiuto, una Madonna tanto amata a Catania, nel cui centro storico alberga da secoli, mercè il cinquecentesco quadro noto "per la frequenza delli miracoli" (così il cronista coevo Privitera), il quale dal 1641 si conserva nell’omonima chiesa, Santuario dal 1960 (sita quasi a mezzo di via Garibaldi): per cui quest’anno, che è per volontà del Santo Padre anche Sacerdotale, si è degnamente celebrato il cinquantenario della elevazione del medesimo, che ingloba la settecentesca riproduzione della Santa Casa di Loreto. Fra l'altro, come precisò in una dotta conferenza il teologo Mons.Zito, fu il Beato Cardinale Dusmet ad inserire il tempio dell'Aiuto quale tappa obbligata per il pellegrinaggio dell'anno giubilare 1875. Tutto il popolo unanime concorse alle celebrazioni eucaristiche svoltesi nel tempio, per amore a Maria Nostra Signora dell’Aiuto, nonché per lucrare la indulgenza plenaria concessa appositamente dalla Sacra Penitenzieria Apostolica per il fausto evento: vedemmo l’Arcivescovo di Loreto, altri presuli e moltissima devozione stringersi intorno al noto rettore del Santuario, quel Monsignor Carmelo Smedila il quale, da quarantotto anni è il genius loci del tempio, e lo fa proseguire con gioja e mariana letizia, sui sentieri dell’avvenire.
La suggestiva processione notturna del 30 maggio, accompagnata dal concorso dei fedeli, tra balconi addobbati a festa (uno ebbe anche il tricolore con lo scudo di Savoja…) e lancio di petali di rose, fuochi artificiali e canti mariani (da "Noi vogliam Dio" a "Andrò a vederla un dì", senza dimenticare il glorioso, e da riprendere, inno dei tempo di Pio XII, "Bianco Padre che da Roma…"), girò le antiche vie del centro, da via Garibaldi a via Vittorio Emanuele a San Cosimo, da via Abate Ferrara a via Di Giacomo a via Naumachia a via Trinità, per tornare festosamente in chiesa (tra coloro che ressero il quadro, si notò Orazio D’Antoni già assessore e deputato regionale, grazie al quale presto si avrà, finanziato dalla Regione, l’ingresso in chiesa per i disabili, ed altri restauri; il collegio liturgico Cardinal Nava capitanato da Piersanti Serrano ottimamente gestì l’evento, con il circolo di S.Maria dell’Aiuto; il Maestro Paolo Cipolla eseguì la Missa solennis scritta per l'occasione), e vide anche momenti di commozione còlla sosta della Vergine Madre presso alcuni malati, fu l’atto culminante di una devozione intensa, di stile affatto fedele alla Tradizione della Chiesa Cattolica Romana e molto partecipata. In tempi non lieti, sono constatazioni felici.
Sulla tela della Vergine Madre e del Divin Figlio detta appunto dell’Aiuto, ci sia permessa qualche precisazione storica e simbolica. Le fonti ne parlano dal XVII secolo, ma è evidente, da una analisi anche superficiale senza scendere ne’ meandri della storia dell’Arte moderna, che le fattezze delle due figure, lo stile ed i colori sfumati, la collocano cronologicamente attorno alla metà del secolo XVI: tempi di grande tribolazione per Catania, anni di pestilenze, carestie e sommovimenti guerreschi. La zona detta della Giudecca era già dai secoli precedenti in buona parte proprietà del gran condottiero Artale Alagona e del di lui padre Don Blasco, Gran Cancelliere del Regno di Trinacria (nei secoli XIV e XV i Re di Sicilia dimoravano in Catania, e la loro sede era il castello Ursino). Fra l’altro Artale Alagona aveva una particolare predilezione per la Madre di Dio (cfr. F.Giordano, "La Rotonda…", Catania 1997), per cui si può supporre con un certo margine di approssimazione ragionevole, che la committenza la quale vòlle la realizzazione della tela, assecondando anche la pietà popolare, sia stata della famiglia magniloquente e benemerita della città, degli ultimi Alagona, grandi di Sicilia e d’Ispagna. In ogni caso, ad una analisi mistico-esoterica del quadro, saltano all’indagatore che si avventura "oltre il velame de li versi strani", secondo l’adagio del gran Poeta, alcune considerazioni.
La Madonna "auxilium Christianorum" è evidentemente bruna: non nera come quella della Santa Casa di Loreto (altra coincidenza non casuale: il Santuario Mariano dell’Ajuto custodisce, come è noto, la riproduzione della Santa Casa Lauretana, eseguita nel XVIII secolo in modo pressoché perfetto), e però secondante il verso del Cantico: "nigra sunt sed formosa". Si sa che il culto delle Madonne nere, come assevera la storia oramai acclarata, ha le radici nell’antica devozione isiaca che i popoli d’Oriente e di Occidente tributarono, prima del Cristianesimo, alla Magna Mater: da Chartres alle Vergini nere de’ Templari, da Tindari a Chestokowa sino alla Madonna nera del villaggio bavarese di Altòtting (molto cara all’attuale Santo Padre Benedetto XVI), il patrimonio mistico e storico della Chiesa ha nel bimillennio di feconda vitalità, tramandato un culto perenne e sempiterno di poesia arcana e di intenso, indistruttibile amore. La luna a’ piedi ideali della Gran Madre, rappresenta la Chiesa, secondo la lectio di San Bernardo di Clairvaux (colui che fu tra l’altro il ‘fondatore’ dei Templari e il redattore della Regola loro), il massimo studioso di mariologìa dell’evo antico: le stelle in numero di dodici che la attorniano, simbolicamente rammentano il collegio Apostolico. E tuttavia, il numero delle punte delle stelle è otto: l’otto è numero dell’equilibrio cosmico, della rigenerazione e della purificazione risuscitatrice (le fonti battesimali medievali hanno forma ottagona: lì l’iniziato sorge a nuova aurora); l’otto è mediatore fra quadrato e cerchio, e quale mediazione più perfetta della Vergine Madre, fra il Figlio suo ed il popolo di coloro che la vòcano, con estrema semplicità e sincero afflato?
Le mani della Madre di Dio sostengono il Bambino Gesù in modo preciso: la destra tiene la spalla, la sinistra poggia sulla coscia. Significato simbolico della spalla, è la potenza: secondo Ireneo, "la potenza " di Cristo "è sulle sue spalle"; mentre Dionigi l’Areopagita aggiunge: "le spalle rappresentano il potere di fare, di agire, di operare". La coscia è invece la rappresentazione della forza; secondo la Cabala, essa è analoga per importanza alla colonna. Forza e potenza di Cristo bimbo quindi, possiamo affermare, coadiuvate gestite e mediate dalla Grande Vergine Madre, nel nostro antico quadro.
V’ha infine un riferimento a nostro parere, nascosto, che l’autore –o la committenza- suggerirono nel pìngere le stelle ad otto punte: il Salmo numero otto -secondo la antica numerazione- ad una attenta lettura, laddove narra di stelle, della luna e del resto, si adatta mirabilmente ad una precipua meditazione in senso mistico intorno alla sacra immagine: Dòmine, Dòminus noster, quam admiràbile est \nomen tuum in univèrsa terra!… (Signore, Signore nostro, quanto è ammirabile il tuo nome nell’universa terra! Poiché la tua magnificenza si leva al di sopra de’ cieli. Dalla bocca dei bimbi e dei lattanti ti procacciasti lode, ad onta dei nemici, per distruggere il nemico e l’avversario. Poiché contemplo i tuoi cieli, opera delle tue dita: la luna e le stelle che vi disponesti. Che è l’uomo, che memoria di lui? O il figlio dell’uomo, perché tu lo visiti? Lo facesti di poco inferiore agli Angeli, di gloria e di onore lo incoronasti: e lo costituisti alle opere delle tue mani. Tutto facesti soggiacere ai suoi piedi, pecore e buoi tutti: e le bestie della campagna. Gli uccelli del cielo ed i pesci del mare, che nei flutti marini guizzano. Signore, nostro Signore: quanto è ammirabile il tuo nome nella terra universa!) Inno alla Natura alma Mater, alla terra universa creatrice di concezione divina e pertanto immacolata, il Salmo (che echeggia reminiscenze egizie: confrontisi coll’inno ad Aton del faraone ‘monoteista’ Akhenaton, ovvero Amenonfi IV) parrebbe mirabile corona alle dodici stelle che fan da ideale raggiera alla Vergine: è una ogdoade che si ripete indefinitamente nella ideale concatenazione degli specchi (le otto punte per il numero di dodici fan novantasei, che è il tre ripetuto tre volte e due, ovvero la perfezione celeste che racchiude il pentalfa, l’Uomo perfetto e sempiterno, l’Adamo immortale, Gesù Alfa ed Omega), laddove si vince la Morte (nove più sei crea il quindici, che negli Arcani maggiori è il Diavolo: distruzione) con la Vita universa, nel più profondo mysterium fidei, arcana arcanorum della mistica di Colui il quale, spezzato il pane, disse: "Prendete, questo è il mio corpo" (Mc. 14, 22) ; ed anche "Un poco e non mi vedrete più e ancora un poco e mi vedrete" (Gv. 16,16).
Su l’altar maggiore del tempio della Madonna dell’Ajuto, affacciato graziosamente sulla strada Ferdinanda oggi via Garibaldi, sfolgorante delle dieci colonne barocche (anche l’incompiuta facciata della chiesa maestosa de’ Benedettini di San Nicolò la Rena ha dieci colonne: seppure moltissimi studiosi dicono -a torto poiché sovente non si ha l’umiltà di transìre lento pede ed osservare silenter- che siano otto), incastonate nella facciata di Antonino Battaglia, cèppo della famiglia di maestri costruttori della Catania post terremoto, Dio Padre adagia la mano sinistra sul mondo -la destra va verso l’alto- : il Delta trinitario è dietro il capo suo; un superbo compasso, simbolo della creazione perfetta ab origine, della Aequitas come della fraternità universale delle genti, sovrasta la terracquea sfera , nella certa consapevolezza che l’amore de’ puri, spalanca le porte del Regno a chi ha occhi per vedere, ed orecchie per sentire.
 
Barone di Sealand


Pubblicato su Sicilia Sera n° 330 del 4 luglio 2010