Da otto anni regge la diocesi etnea
Salvatore Gristina, un Vescovo di valore
Dotto e fermo nella applicazione della dottrina, fedele al Concilio, applica i precetti dell’umiltà e della carità – Un Arcivescovo verso il popolo -
Dominus regit me, et nihil mihi déerit", ‘il Signore mi governa, e nulla mi mancherà’: il meraviglioso inizio del Salmo 22 può a nostro parere essere un ottimo augurio, per gli otto anni che in questi dì si compiono, dacché alla guida dell’Arcidiocesi di Catania è Monsignor Salvatore Gristina, Vescovo Titolare di Musti in Numidia e dal prestigioso passato nella diplomazia vaticana, autorevole coadiutore della Diocesi di Palermo, nonché Vescovo di Acireale. Il pastore delle anime di Catania, lo rammentiamo, nominato dal Santo Padre Giovanni Paolo II il 7 giugno 2002, si insediò nell’agosto di quell’anno, accolto dalla festante popolazione. Succedeva a Luigi Bommarito, che sin dal 1988 aveva con mano sapiente guidato il Vescovato di Euplo e di Leone il taumaturgo: uomo estremamente comunicativo, impresse il suo stile peculiare ed al passo con i tempi che mutavano. Con lui la diocesi di Catania conobbe rinnovato vigore, e fu elevata a Metropolìa.
Mutatis mutandis, come è naturale nell’ordine dei fatti umani, che tuttavia hanno il beneplacito dello Spirito Santo, in questi otto anni di governo dell’Eccellenza l’Arcivescovo Gristina, si è assistiti ad un tono di rettorìa della diocesi differente dalle precedenti abitudini, con alcune, importanti, peculiarità. E’ innegabile nel popolo minuto adagiarsi ad inutili paragoni: certo è che Mons. Gristina, palermitano di Sciara (ove nacque nel giugno del 1946), uomo estremamente còlto, sobrio, che non ama apparire e mostrarsi sovente ma nella sostanza definire il "de sensu rerum", ha voluto e continua a desiderare di lanciare, alle masse dei fedeli come ai più fini orecchi, un messaggio sottile e preciso, importante e non scevro da profonde sollecitazioni. Egli –lo si nota dalle prediche- a volte sfiora argomenti fondamentali, in altri casi li scevera con vasta mèsse di argomentazioni eloquenti e brillanti, tanto da non far dimenticare, a coloro che hanno il dono della memoria e porte aperte ai carismi della spiritualità, il crisma della sua ordinazione sacerdotale.
Egli è stato infatti consacrato sacerdote il 17 maggio 1970 (simbolismo dènso di significati: il diciassette, giorno della stella, ed il mese mariano di maggio, "in spe resurrectionis") in Roma dalle venerabili mani di quell’illuminato Pontefice che fu Papa Paolo VI: egli, lo schiuditore del Concilio che copia di umanità fraterna ha prodotto nella Chiesa e fuori dalla Chiesa, così esprimevasi a riguardo della fede: "La fede, si dice, non è il dogma verbalmente considerato; questo consiste in formule fisse che tentano di definire e di racchiudere verità immense, ineffabili e inesauribili. E sta bene: anche San Tommaso c’insegna che l’atto di fede non termina alle formule che la espongono, ma alla realtà a cui esse si riferiscono; non senza però una visione integrale di questa dottrina… per rendersi conto dell’essenziale importanza che il Concilio, coerente con la tradizione dottrinale della Chiesa, attribuisce alla fede, alla vera fede, quella che ha per sorgente Cristo e per canale il magistero della Chiesa" (8 marzo 1967, in Oss.Rom.). Sotto l’augusta guida di cotal dottissimo Papa, il nostro Arcivescovo non poteva che essere anch’egli sapientemente illuminato dal cammino della Vera Fede e –come egli medesimo ha affermato nel giugno scorso, durante l’allocuzione finale del Corpus Domini, in piazza del Duomo- disposto ogni giorno ad insegnarla e spargerla, come i cinque pani e due pesci dell’evangelica novella, ai cari suoi fedeli catanesi. In verità in quella occasione, come in altre, il Vescovo Salvatore ha mostrato l’umiltà tutta cristiana di sentirsi in ambasce, quasi in difficoltà, nello spezzare il pane della mensa santa: ma dalle pagine del Sacro Libro egli coglie, precisamente nella lavanda dei piedi che come altri quadri, è uno dei simboli più forti del ministero di Cristo, la forza della umiltà e della coerenza, nella fraterna comunione dei consacrati in Gesù e del popolo. Verso il cui popolo, molti in questi otto anni (il cui numero è precisamente quello delle evangeliche beatitudini: nulla accade per caso, nelle superiori volontà…) sono stati gli affettuosi, paterni accenti dell’Arcivescovo: egli è uno di loro, e specialmente dei più bisognosi, dei più sofferenti, dei diseredati, di coloro che hanno bisogno –come insegnò il Beato Papa Giovanni- di "qualche lacrima da asciugare". Lo abbiamo veduto e udito, possiamo testimoniarlo: egli non si sottrae financo a ruoli che potrebbero non competergli (un giorno di anni fa, innanzi Sant’Agata la Vetere, primiera cattedrale, lo osservammo scendere dall’auto blu e spostare, come un qualunque perpetuo, i pesanti vasi di fiori onde permettere più largo spazio innanzi al sagrato…) e neppure risparmia parole dure e chiare a chi quasi le sollecita (in un recente incontro coi giovani imprenditori del Kiwanis, ad una dissertazione sul lavoro, chiedeva: "Tra di voi c’è qualcuno che non lavora? Ed allora", con un sorriso sornione, "come potete comprendere i problemi di chi il lavoro non l’ha?", facendo rimanere basito l’uditorio: ma compiendo il precetto divino). Interpreta la missione commessagli con santa umiltà e divina carità. Comprensivo con tutti: anche nel caso della applicazione del Motu Proprio del Sovrano Pontefice Benedetto XVI, che apertamente lascia la libertà accanto alle funzioni secondo il rito nelle lingue nazionali, di celebrare la S.Messa seguendo il Messale in lingua latina preconciliare, Monsignor Gristina ha accolto con fraterna benevolenza la richiesta di molti fedeli, e consentito che anche a Catania, come in molte altre diocesi, un sacerdote preparato ed entusiasta della dottrina tradizionale come di quella conciliare, pòssa officiare il sacro rito in un tempio di secoli càrco ove le lodi di Dio siano intonate con magniloquenza. E del resto egli medesimo non è estraneo a parteciparne i sentimenti: lo vedemmo alla chiusura del mese mariano in S.Maria dell’Aiuto, intonare con perfezione e saggezza il "Pange lingua". Un Arcivescovo a nostro parere completo, dunque: fermo nel messaggio di Luce che scaturisce come gemma preziosa dal Concilio Vaticano II, vicino alle molte forme della incrollabile Tradizione della Chiesa, che ne formano un prisma unico ed inscindibile. E’ un uomo di valore, che l’Altissimo lo serbi con felicità alla catinense diocesi per lungo tempo ancora. Con la chiusa del citato Salmo 22, "Et ut inhàbitem in domo Domini in longitùdinem diérum", ‘affinché per lunghi giorni io abiti nella casa del Signore’.
Bar.Sea. (Francesco Giordano)
Pubblicato su Sicilia Sera n° 331 del 1 agosto 2010
Nessun commento:
Posta un commento