martedì 6 luglio 2010

Solenni celebrazioni per la Madonna dell'Aiuto di Catania


Anno giubilare per il tempio mariano


Solenni celebrazioni per la Madonna dell’Aiuto, storica devozione catanese


Suggestiva processione e solenni celebrazioni eucaristiche nella chiesa retta da Mons.Smedila – Alcune precisazioni fra storia e simbolismo sul significato del quadro antico e miracoloso -
 
Il mese di maggio ha veduto le belle ed intense celebrazioni di Maria Santissima dell’Aiuto, una Madonna tanto amata a Catania, nel cui centro storico alberga da secoli, mercè il cinquecentesco quadro noto "per la frequenza delli miracoli" (così il cronista coevo Privitera), il quale dal 1641 si conserva nell’omonima chiesa, Santuario dal 1960 (sita quasi a mezzo di via Garibaldi): per cui quest’anno, che è per volontà del Santo Padre anche Sacerdotale, si è degnamente celebrato il cinquantenario della elevazione del medesimo, che ingloba la settecentesca riproduzione della Santa Casa di Loreto. Fra l'altro, come precisò in una dotta conferenza il teologo Mons.Zito, fu il Beato Cardinale Dusmet ad inserire il tempio dell'Aiuto quale tappa obbligata per il pellegrinaggio dell'anno giubilare 1875. Tutto il popolo unanime concorse alle celebrazioni eucaristiche svoltesi nel tempio, per amore a Maria Nostra Signora dell’Aiuto, nonché per lucrare la indulgenza plenaria concessa appositamente dalla Sacra Penitenzieria Apostolica per il fausto evento: vedemmo l’Arcivescovo di Loreto, altri presuli e moltissima devozione stringersi intorno al noto rettore del Santuario, quel Monsignor Carmelo Smedila il quale, da quarantotto anni è il genius loci del tempio, e lo fa proseguire con gioja e mariana letizia, sui sentieri dell’avvenire.
La suggestiva processione notturna del 30 maggio, accompagnata dal concorso dei fedeli, tra balconi addobbati a festa (uno ebbe anche il tricolore con lo scudo di Savoja…) e lancio di petali di rose, fuochi artificiali e canti mariani (da "Noi vogliam Dio" a "Andrò a vederla un dì", senza dimenticare il glorioso, e da riprendere, inno dei tempo di Pio XII, "Bianco Padre che da Roma…"), girò le antiche vie del centro, da via Garibaldi a via Vittorio Emanuele a San Cosimo, da via Abate Ferrara a via Di Giacomo a via Naumachia a via Trinità, per tornare festosamente in chiesa (tra coloro che ressero il quadro, si notò Orazio D’Antoni già assessore e deputato regionale, grazie al quale presto si avrà, finanziato dalla Regione, l’ingresso in chiesa per i disabili, ed altri restauri; il collegio liturgico Cardinal Nava capitanato da Piersanti Serrano ottimamente gestì l’evento, con il circolo di S.Maria dell’Aiuto; il Maestro Paolo Cipolla eseguì la Missa solennis scritta per l'occasione), e vide anche momenti di commozione còlla sosta della Vergine Madre presso alcuni malati, fu l’atto culminante di una devozione intensa, di stile affatto fedele alla Tradizione della Chiesa Cattolica Romana e molto partecipata. In tempi non lieti, sono constatazioni felici.
Sulla tela della Vergine Madre e del Divin Figlio detta appunto dell’Aiuto, ci sia permessa qualche precisazione storica e simbolica. Le fonti ne parlano dal XVII secolo, ma è evidente, da una analisi anche superficiale senza scendere ne’ meandri della storia dell’Arte moderna, che le fattezze delle due figure, lo stile ed i colori sfumati, la collocano cronologicamente attorno alla metà del secolo XVI: tempi di grande tribolazione per Catania, anni di pestilenze, carestie e sommovimenti guerreschi. La zona detta della Giudecca era già dai secoli precedenti in buona parte proprietà del gran condottiero Artale Alagona e del di lui padre Don Blasco, Gran Cancelliere del Regno di Trinacria (nei secoli XIV e XV i Re di Sicilia dimoravano in Catania, e la loro sede era il castello Ursino). Fra l’altro Artale Alagona aveva una particolare predilezione per la Madre di Dio (cfr. F.Giordano, "La Rotonda…", Catania 1997), per cui si può supporre con un certo margine di approssimazione ragionevole, che la committenza la quale vòlle la realizzazione della tela, assecondando anche la pietà popolare, sia stata della famiglia magniloquente e benemerita della città, degli ultimi Alagona, grandi di Sicilia e d’Ispagna. In ogni caso, ad una analisi mistico-esoterica del quadro, saltano all’indagatore che si avventura "oltre il velame de li versi strani", secondo l’adagio del gran Poeta, alcune considerazioni.
La Madonna "auxilium Christianorum" è evidentemente bruna: non nera come quella della Santa Casa di Loreto (altra coincidenza non casuale: il Santuario Mariano dell’Ajuto custodisce, come è noto, la riproduzione della Santa Casa Lauretana, eseguita nel XVIII secolo in modo pressoché perfetto), e però secondante il verso del Cantico: "nigra sunt sed formosa". Si sa che il culto delle Madonne nere, come assevera la storia oramai acclarata, ha le radici nell’antica devozione isiaca che i popoli d’Oriente e di Occidente tributarono, prima del Cristianesimo, alla Magna Mater: da Chartres alle Vergini nere de’ Templari, da Tindari a Chestokowa sino alla Madonna nera del villaggio bavarese di Altòtting (molto cara all’attuale Santo Padre Benedetto XVI), il patrimonio mistico e storico della Chiesa ha nel bimillennio di feconda vitalità, tramandato un culto perenne e sempiterno di poesia arcana e di intenso, indistruttibile amore. La luna a’ piedi ideali della Gran Madre, rappresenta la Chiesa, secondo la lectio di San Bernardo di Clairvaux (colui che fu tra l’altro il ‘fondatore’ dei Templari e il redattore della Regola loro), il massimo studioso di mariologìa dell’evo antico: le stelle in numero di dodici che la attorniano, simbolicamente rammentano il collegio Apostolico. E tuttavia, il numero delle punte delle stelle è otto: l’otto è numero dell’equilibrio cosmico, della rigenerazione e della purificazione risuscitatrice (le fonti battesimali medievali hanno forma ottagona: lì l’iniziato sorge a nuova aurora); l’otto è mediatore fra quadrato e cerchio, e quale mediazione più perfetta della Vergine Madre, fra il Figlio suo ed il popolo di coloro che la vòcano, con estrema semplicità e sincero afflato?
Le mani della Madre di Dio sostengono il Bambino Gesù in modo preciso: la destra tiene la spalla, la sinistra poggia sulla coscia. Significato simbolico della spalla, è la potenza: secondo Ireneo, "la potenza " di Cristo "è sulle sue spalle"; mentre Dionigi l’Areopagita aggiunge: "le spalle rappresentano il potere di fare, di agire, di operare". La coscia è invece la rappresentazione della forza; secondo la Cabala, essa è analoga per importanza alla colonna. Forza e potenza di Cristo bimbo quindi, possiamo affermare, coadiuvate gestite e mediate dalla Grande Vergine Madre, nel nostro antico quadro.
V’ha infine un riferimento a nostro parere, nascosto, che l’autore –o la committenza- suggerirono nel pìngere le stelle ad otto punte: il Salmo numero otto -secondo la antica numerazione- ad una attenta lettura, laddove narra di stelle, della luna e del resto, si adatta mirabilmente ad una precipua meditazione in senso mistico intorno alla sacra immagine: Dòmine, Dòminus noster, quam admiràbile est \nomen tuum in univèrsa terra!… (Signore, Signore nostro, quanto è ammirabile il tuo nome nell’universa terra! Poiché la tua magnificenza si leva al di sopra de’ cieli. Dalla bocca dei bimbi e dei lattanti ti procacciasti lode, ad onta dei nemici, per distruggere il nemico e l’avversario. Poiché contemplo i tuoi cieli, opera delle tue dita: la luna e le stelle che vi disponesti. Che è l’uomo, che memoria di lui? O il figlio dell’uomo, perché tu lo visiti? Lo facesti di poco inferiore agli Angeli, di gloria e di onore lo incoronasti: e lo costituisti alle opere delle tue mani. Tutto facesti soggiacere ai suoi piedi, pecore e buoi tutti: e le bestie della campagna. Gli uccelli del cielo ed i pesci del mare, che nei flutti marini guizzano. Signore, nostro Signore: quanto è ammirabile il tuo nome nella terra universa!) Inno alla Natura alma Mater, alla terra universa creatrice di concezione divina e pertanto immacolata, il Salmo (che echeggia reminiscenze egizie: confrontisi coll’inno ad Aton del faraone ‘monoteista’ Akhenaton, ovvero Amenonfi IV) parrebbe mirabile corona alle dodici stelle che fan da ideale raggiera alla Vergine: è una ogdoade che si ripete indefinitamente nella ideale concatenazione degli specchi (le otto punte per il numero di dodici fan novantasei, che è il tre ripetuto tre volte e due, ovvero la perfezione celeste che racchiude il pentalfa, l’Uomo perfetto e sempiterno, l’Adamo immortale, Gesù Alfa ed Omega), laddove si vince la Morte (nove più sei crea il quindici, che negli Arcani maggiori è il Diavolo: distruzione) con la Vita universa, nel più profondo mysterium fidei, arcana arcanorum della mistica di Colui il quale, spezzato il pane, disse: "Prendete, questo è il mio corpo" (Mc. 14, 22) ; ed anche "Un poco e non mi vedrete più e ancora un poco e mi vedrete" (Gv. 16,16).
Su l’altar maggiore del tempio della Madonna dell’Ajuto, affacciato graziosamente sulla strada Ferdinanda oggi via Garibaldi, sfolgorante delle dieci colonne barocche (anche l’incompiuta facciata della chiesa maestosa de’ Benedettini di San Nicolò la Rena ha dieci colonne: seppure moltissimi studiosi dicono -a torto poiché sovente non si ha l’umiltà di transìre lento pede ed osservare silenter- che siano otto), incastonate nella facciata di Antonino Battaglia, cèppo della famiglia di maestri costruttori della Catania post terremoto, Dio Padre adagia la mano sinistra sul mondo -la destra va verso l’alto- : il Delta trinitario è dietro il capo suo; un superbo compasso, simbolo della creazione perfetta ab origine, della Aequitas come della fraternità universale delle genti, sovrasta la terracquea sfera , nella certa consapevolezza che l’amore de’ puri, spalanca le porte del Regno a chi ha occhi per vedere, ed orecchie per sentire.
 
Barone di Sealand


Pubblicato su Sicilia Sera n° 330 del 4 luglio 2010
 
 
 
 

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