giovedì 11 agosto 2011

Cesare Cellini ricordato da Sergio Collura alla libreria Trinacria di Catania




Nell’ambito del festival mondiale della Poesia



Cesare Cellini ricordato da Sergio Collura alla libreria Trinacria



"La Parola nel Mondo", incontri poetici svoltisi a Catania a cura di Akkuaria, han dato risalto alla
figura del giovane artista prematuramente scomparso – Significato della Parola -
 
Si è svolto nei giorni scorsi, nei locali della libreria Trinacria in Catania –la quale sta continuando a rappresentare il punto d’incontro di poeti, studiosi, letterati: e non è sempre così stato, del resto?- il Festival internazionale di Poesia "Parola nel mondo", iniziativa svoltasi in contemporanea in 65 nazioni, inneggiante alla Pace mondiale attraverso l’opera catartica, insostituibile, della Letteratura in versione lirica. L’interrogativo, che è di Ungaretti, "la poesia può salvare l’Uomo?", appare quanto mai attuale, mentre nel Mediterraneo fioccano bombe per novelli conflitti, i quali lasceranno quel "tutto perduto" (secondo le parole del grande Papa Pio XII), terreno perennemente incolto che ogni conflitto genera.
Ne scriviamo perché tra gli incontri organizzati, mercé la solita e insostituibile vulcanica iniziativa dell’Associazione culturale Akkuaria presieduta dalla scrittrice Vera Ambra (che nella città dell’elefante, ha dato l’impulso alla manifestazione, collegandola alle iniziative mondiali attraverso l’attivismo dei collegamenti Internet), ve ne fu uno a parer nostro di rara e squisita sensibilità: l’incontro e la voce di Sergio Collura, docente di sottile e preziosa preparazione intellettuale, artista critico e poeta come pochi, il quale seguendo il tema della pace mondiale, ha inteso rammentare all’uditorio l’opera poetica di Cesare Cellini, straordinaria figura di aquilotto, "aiglòn", poeta e scrittore involatosi giovane (a soli 28 anni, nel maggio 1993) nel mondo di là, per chi crede, ma lasciando un segno indelebile nella lirica contemporanea. E prima di precisare l’excursus della poesia di Cellini, è necessario colmare una lacuna che Sergio Collura, da quell’uomo raffinato e signore che è, non ha voluto per umiltà prettamente cristiana (anche ciò è sua nota distintiva: una fede vera, silenziosa, non urlata e per questo più forte, possente nella sua intensità) quella sera precisare: egli è un valorosissimo Poeta, un artista anche pittore, noto dappoiché, nel deserto della memoria che oggi alligna (massime a’ piedi del vulcano etnèo e nella città sempre rifiorente), negli anni Ottanta e primissimi Novanta del trascorso secolo XX, se vi fu una figura eminente e luminosa che a Catania riusciva a catalizzare l’attenzione dei giovani (e tra coloro, last but not least, chi scrive) nelle iniziative di classe che organizzava, attraverso le edizioni Tifeo, il Movimento Giovani per un Nuovo Umanesimo, il far intervenire critici come Pampaloni, Spagnoletti, Sanguineti, nelle affollate assemblee, sempre in compagnìa dell’amico ed allievo Cesare Cellini: se vi fu un uomo cosiffatto, questi era ed è Sergio Collura. E fu un onore per lo scrittore e giornalista Francesco Giordano, intervenuto all’incontro, proferire brevissime parole nel presentare al pubblico la sua figura, rievocando il periodo su accennato.
Ma Collura (gà Pierre Ananou in arte…) scelse, rendendo felici coloro che lo conobbero e ne apprezzarono e delicate qualità intellettuali e lo stile, di ricordare Cesare Cellini, la sua arte, la sua traccia importante nella Poesia: intensa, macerata, struggente come ognuno dei versi che si sono letti, ciascuno secondo una cadenza ben precisa ma anche franta, in quell’endecasillabo –ha spiegato Collura, conscio della indecifrabilità della vera Poesia, ma con l’abbrìvio passionale del docente di antica razza, il quale mai dimentica per ciò di essere anche allievo: "homines dum docent, discunt"- che l’artista prima plasmava con attenzione, poi destrutturata al fine di intendere la ricostruzione del pensiero, della cosmicità di esso, in unità inscindibile di microcosmo e macrocosmo. Sul filone dell’Estetica (materia oggi insegnata dall’oratore), Sergio Collura ha poi indugiato nelle letture celliniane di poesie ispirate al desiderio, anelito infinito, di Assoluto, nell’ottica di una ricerca dell’abbraccio finale resasi più densa, insopprimibile negli ultimi giorni, allorché la sentenza spietata dei medici gli dava pochi mesi di vita.
"E nell’arcano silenzio \della mia intimità \ sfamato e dissetato \ dalla Parola \ ho lungamente goduto \ della mia \ pur breve sosta \ nella vita", in "Pronto è il mio cuore": tale riflessione dona conforto, e precisa il senso della poesia, che è Parola. Egli infatti scriveva: "Credo che la Poesia sia essenzialmente parola, "la Parola"… in essa colgo il mistero di me stesso e il mistero di Dio, e i due misteri, uniti nella Parola, nella Poesia cioè, diventano un tutt’uno: capacità creativa, nonostante il tempo e la morte", Ed ancora, in un pensiero definito ai limiti dell’eresia da qualcuno: "Amare la poesia, amare cioè la Parola, è amare la creazione. Credo infatti che il primo poeta in assoluto sia stato ed è Dio. Ritengo la Poesia, "la parola dell’uomo", e riconosco ad essa la stessa dignità della "parola di Dio": ambedue salvano. Se non fosse così, l’incarnazione perderebbe tutto il suo valore, tutta la sua forza". Sono pensieri frammentati dal "Journal intime", degli ultimi giorni di vita, Pasqua 1993: ed è già il poeta illuminato da quel visus non più oscurabile, che lo avrebbe condotto, seguendo il "lancio del ponte verso il tempo" (come in altro verso), a quel "silenzio dell’Eterno", laddove tuttavia "il canto esploderà \ come aurora al suo tramonto" (da Exodus, inediti).
Fra due anni, nel ventennio dalla morte, auspichiamo sia con la giusta ampiezza rammentata la figura straordinariamente attuale, eterea, densa di vera fede di Cesare Cellini: la cui anima sarà stata certamente felice, del piccolo fatto, della grande realtà di un cenacolo di amici i quali, in quel maggio che ne vide la prima fiamma e l’ultimo moccolo, fenice rifiorente dalle spazzate ceneri del tempo, nella città sua lo rammentano, lo rendono vivo in continuo. Questa è la funzione della Poesia, la parola, l’immortalità.



F.Gio


Nella foto, Vera Ambra e Sergio Collura

Premio letterario Fortunato Pasqualino e Akkuaria, Butera 2011







Il Comune del nisseno celebra un suo figlio


Il Premio letterario Fortunato Pasqualino e Akkuaria a Butera, grande successo


Afflusso notevole da ogni parte d’Italia e dall’estero per una importante manifestazione nel ricordo dello scrittore siciliano – Fecondità della Letteratura e speranza nel futuro -  



Nella consapevolezza che l’amore per la Letteratura deve essere universale, non già confinato entro limiti angusti e distruttivi; nel sole indorante l’unicità del tramonto delle terre sicule; in codesto clima del mite nostro maggio, si svolse nei giorni scorsi la terza edizione del Premio internazionale di poesia e narrativa dedicato a Fortunato Pasqualino, scrittore nativo di Butera (poi trasferitosi a Roma, dove è morto nel 2008), città che ha fortemente voluto il ricordo del suo illustre figlio, ospitando affettuosamente la manifestazione. Iniziativa che, come molte altre le quali ultimamente si registrano, nasce per impulso volontà vulcanica e ferrea di una donna, anzi di un cenacolo formato prevalentemente da donne, secondo l’antica Tradizione della Magna Mater che –in particolare nell’antica Trinacria- era venerata quale datrice di mèssi, fons honoris di luce, zòlla ultima cui aggrapparsi nel misterioso cammino della vita. Vera Ambra, anima e fulcro dell’Associazione "Akkuaria" che ha fornito l’essenziale moto organizzativo alla cerimonia, con Angela Agnello di Gela ed i componenti della giurìa (Gabriella Rossitto, Mariella Sudano) e coloro i quali intervennero per contribuire all’evento (la regista e scrittrice Sara Aguiari, lo studioso e giornalista Francesco Giordano), fecero sì che il residence "Le Viole" di Butera, comune ridente e principesco (i principi buteresi erano i primi del Parlamento siciliano in età normanna), pullulante di intervenuti, abbia registrato una iniziativa fresca e simpatica, giovane e brillante, soprattutto feconda di sviluppi futuri. Tale infatti si caratterizzava la presenza del Sindaco di Butera Luigi Casisi, eccellente anfitrione che con gentilezza ha ospitato i numerosi intervenuti i quali da ogni parte d’Italia, sino alla lontana Croazia, discesero in territorio buterese per l’incontro intitolato a Fortunao Pasqualino, impreziosito dalla presenza della vedova dello scrittore signora Barbara Olson; il presidente del Consiglio comunale buterese Carmelo Labbate ha precisato la continuità e conservazione storica della memoria buterese nel mondo, unita dalla poesia; così l’excursus intenso dello studioso Francesco Giordano ha voluto individuare nella "custodia delle carte, ovvero l’archivio Pasqualino" un punto nodale da perseguire: istituire in Butera un centro studi al letterato dedicato, ove si conservino le sue testimonianze. Vera Ambra ha tenuto le fila della brillante manifestazione, col solito stile scevro da fronzoli e denso di passione, di entusiasmo e di verità imprescindibili: quelle verità che si è donati, col riconoscimento dei disegni, alla classe elementare della scuola buterese che ha ricevuto il giusto riconoscimento: dalla gioja dello sguardo dei piccoli, dalla loro innocenza, scaturisce il futuro per tutti, la purezza del percorso letterario, che mai deve arrestarsi. Con l’attenta lettura dell’attore Emanuele Puglia (nonché gli interventi del cantastorie Barbera), la serata ha avuto degli aspetti artistici notevoli. Segnaliamo le opere, edite nel volume antologico delle edizioni Akkuaria, di Marta Lìmoli, attrice che alla bellezza unisce rara aristocraticità di stile e vena letteraria da incoraggiare e secondàre, il racconto-frammento "La sola cosa" ("Cosa fare della propria vita era un interrogativo soltanto suo, presente come un ritornello pari a quelle gocce sull’asfalto, che scoppiavano disintegrandosi in gocce sempre più piccole… gli sguardi rapidi della pioggia notavano soltanto l’incarnato tenue, strapazzato dalle intemperie…"); la poesia "Tic tac" di Giuseppe Lucca, artista musicale dalle finissime sensibilità ("Allorché sprovvisti di competenti abilità \ d’ingegno e d’azione \ ciondolanti creduli entusiasmi \ acconcerebbero ad un modo … l’umana condizione e l’eterna natura di Dio"), nonché la poesia "La nota rotta" di Giovanni Coppola, che all’impegno sociale associa con garbo intensi voli poetici ("Tutto sembra immobile \ nei giorni di Adamo \ solo l’offerta della materia sottratta \ all’ordine cosmico degli elementi… nulla è stabile \ nelle dipendenze del dolore \ la vita è apparizione di ombre \ che indicano il sobborgo dell’inutile ricerca"). Per quel che concerne la figura di Fortunato Pasqualino scrittore, questo irregolare della letteratura come qualche autorità nel campo lo ha definito, la linea mediana è tra saggezza e sapienza. E’ una consapevolezza che parte dalla sua solitudine intellettuale di ‘zingaro’, come amava definisi, unitamente all’afflato assolutamente cristiano, cattolico anzi seppure in modo anche qui fuori dagli schemi però entro l’ambito di una fede vera, schietta, sincera, quasi pànica, al limite del boschivo, di contro al mondo roboante del sapiente: di colui cioè che ha studiato molto e sfoggia come una catena di gemme, i grani del proprio scibile. Questo non mancava, anzi ne era ben provvisto, al nostro autore: il quale tuttavia –fors’anche in virtù della lontananza con la terra siciliana, con il nucleo antico e nobile di Butera dalle prestigiose origini normanne e principesche- sentiva meglio rispondente al proprio animo la saggezza del contadino, della gente primigenia, assai meglio della sapienza di colui che, tronfio, crede di più non apprendere e, come i sofisti che Socrate si divertiva a far cadere in aspra contraddizione, si crogiola nel proprio nulla. La Sicilia di Pasqualino è già negli anni Settanta una terra disgiunta dalla sua anima bimillenaria, che è nei campi: egli visse primariamente il distacco del dopoguerra, l’emigrazione e le connesse umiliazioni dell’esule e allorquando tornava, s’accorgeva della cràsi insanabile tra urbanizzazione ed abbandono della sana e tenace vita contadina. Quel percorso che oggi i maggiorenti della politica, in modi e forme adatte al XXI secolo, cercano necessariamente di invertire e sempre più si dovrebbe, puntando sulle coltivazioni indispensabili, egli lo intravvide e nel mentre notava che era attorno "terra bruciata", da profeta invocava il ritorno alla Natura, come novello Virgilio, il ricongiungimento alla terra madre. Solo quel ritorno, vieppiù in tempi di accelerata decadenza delle economìe, potrà salvare l’isola nostra, il cui destino scritto dalla storia è sul mare e tra le terre feconde. A tale anima feconda di letterato, Vera Ambra artista, poetessa e scrittrice ha voluto èrgere attraverso il premio letterario che molti riunisce nell’afflato di umanità e solidarietà, il monumento autentico che né vento né acque né fuochi possono scalfire, poiché edificato nei cuori: solo tale costruzione può osare di sfidare l’impietosità del tempo e sperare di valicare le porte Scee, di ciò che non tramonta.


Barone di Sealand


(Pubblicato su Sicilia Sera n° 339 del 31 luglio 2011)

Nelle immagini, alcuni momenti della manifestazione