giovedì 18 dicembre 2014

Butera celebra la V edizione del premio letterario dedicato a Fortunato Pasqualino







            Butera celebra la V edizione del premio letterario dedicato a Fortunato Pasqualino

La cittadina di Butera, "rocca di gran momento e di molta fama", come la descrisse il viaggiatore arabo Edrisi nel suo volume di geografia siciliana nel XII secolo, è un ridente paesino che si staglia, sentinella dell'Europa e della civiltà della madre terra sicula, al sud dell'isola: ha ospitato anche quest'anno, per la quinta volta, il premio letterario dedicato a un illustre figlio del seno suo, che prendendo la via dell'esilio giunse alla fama: Fortunato Pasqualino, scrittore, filosofo e poeta, sceneggiatore e riadattatore delle tradizioni popolari dei "pupi". Morto nel 2008 a Roma, mercè la prodiga attenzione dell'associazione catanese Akkuaria, sodalizio noto in tutto il mondo per le molteplici attività letterarie, narrative e artistiche, guidato da una donna di rare virtù e ingegno come Vera Ambra, assoluta interprete dello spirito del tempo che anima i variegati soci e gli aspetti del gruppo, il ricordo di Pasqualino è vivo nell'isola anche perchè la volontà dell'amministrazione comunale, guidata dal Sindaco Luigi Casisi, ha inteso coniugare la valorizzazione del patrimonio culturale buterese col ricordo dello  scrittore e legarlo alla promozione scolastica degli istituti che gravitano sul territorio.
Per queste ragioni, il premio letterario "Pasqualino" non è solamente una 'gara' di racconti o poesie in cui emergono autori nuovi i quali, forti di tale riconoscimento, si cimenteranno in nuove avventure, ma anche e forse soprattutto, un importantissimo stimolo per i piccoli alunni delle elementari e medie del buterese, nonchè per le loro insegnanti che dedicano tante ore alla educazione e formazione, chiamati a partecipare con elaborati di testo e immagini: si premiarono infatti i disegni degli alunni e le loro composizioni in verso, in prosa ed in lingua siciliana.
La serata del 14 dicembre, svoltasi nel teatro Scuvera, è stata allietata dalle opere in presa diretta del maestro pittore Salvo Barbagallo, esponente del movimento artistico verticalista, nonchè dallo show del noto attore catanese Emanuele Puglia, che ha sapientemente intrattenuto l'uditorio con esibizioni poetiche tratte da Buttitta, Martoglio e chiudendo con un brano del cantautore Spampinato. Sempre gradita la presenza, come nelle altre edizioni, della signora Barbara Olson, vedova di Fortunato Pasqualino, testimone del legame della famiglia col premio. Così l' 'incursione' del piccolo Carmelo, bambino diversamente abile che in un assolo di batteria ha fatto sentire la voce di coloro che non hanno voce, nella odierna società.
Vera Ambra ha con fare deciso condotto la serata, ove furono premiati i componenti della giunta di Butera e quanti a vario titolo contribuiscono alla riuscita del premio; tra gli interventi, segnaliamo la lettura di un brano di prosa di Fortunato Pasqualino, fatta dall'assessore alla Cultura di Butera Lorena Bicceri, che ne sottolinea la modernità; e quello dello scrittore e giornalista Francesco Giordano, che si è già occupato della figura letteraria di Pasqualino, il quale ha voluto sottolineare come, essendo lo scrittore in quanto poeta "un irregolare che esiste solo dopo la sua esperienza, un uomo di rischi sentimentali, ha esplicato la sua sicilianità nell'esilio, ovvero in modo da fare emergere quella insicurezza storica della mens siciliana che si estremizza nel credersi perfetti, o nella sofferenza dei lontani, come in Quasimodo, in Ibn Hamdis, o appunto in Fortunato Pasqualino... egli, uomo di fede densamente cristiana, ci suggerisce che mai bisogna perdere l'entusiasmo di sognare, lo stesso dei disegni dei bambini e dei discepoli di Emmaus i quali, smarriti, ritrovarono il Maestro, la sera, dopo la tragedia: questo è il segno della luce".
Il sole che sorge e tramonta sull'orizzonte, dall'alto della romantica bifora della torre arabo-normanna-aragonese di ciò che fu il castello della cittadina, dai ciglioni che costeggiano i contrafforti di Butera, ha accompagnato l'evento, qual muto testimone -ma quanto solenne!- della magìa del solstizio, che è simbolo del perenne amore della Natura verso l'essere umano, e prerogativa singolare della straordinaria terra di Sicilia.
                                                                                                                        F.G.

(Pubblicato anche in: http://www.associazioneakkuaria.it/?p=4143)

Nelle immagini: il gruppo dei premiati della scuola; Francesco Giordano, con Angela Agnello e Vera Ambra

venerdì 12 dicembre 2014

Premio letterario "F.Pasqualino" V edizione, Butera 14 dicembre 2014 ore 18




Domenica 14 Dicembre 2014 alle ore 18.00 presso il Teatro Comunale “Don Giulio Scuvera” di Butera si terrà la cerimonia di Premiazione della V° Edizione 2014 del Concorso Internazionale di Poesia e Narrativa dedicato a Fortunato Pasqualino.
Per il secondo anno il Premio è stato esteso, con una sezione speciale, agli alunni e studenti delle Scuole di Butera. Hanno preso parte all’incirca 150 ragazzi dell’Istituto Comprensivo Gela-Butera, del Plesso Scolastico Santa Caterina, del Plesso Scolastico Don Bosco e della Scuola Media “Mario Gori”.

Porteranno i saluti della città di Butera

Luigi Casisi, Sindaco Comune di Butera
Rocco Buttiglieri, Presidente del Consiglio Comunale di Butera
Lorena Bicceri, Assessore alla Cultura
Angela Adelaide Bonadonna Assessore alla Pubblica Istruzione
Agata Gueli, Dirigente Scolastico
Giuseppina Carnazzo, Dir. Sett. Cultura Comune di Butera

Relatori:

Angela Agnello, Presidente Commissione del Premio
Francesco Giordano, Scrittore-Giornalista
Vera Ambra, Presidente Associazione Akkuaria

Ospite della serata l’attore Emanuele Puglia

giovedì 4 dicembre 2014

Francesco Giordano e Vera Ambra alla Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, Catania 25 novembre 2014, il video


Francesco Giordano e Vera Ambra alla Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, Catania 25 novembre 2014, il video

Video riguardante la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, 25 novembre 2014, Catania, sala conferenze Ospedale "G.Garibaldi" sede centrale, convegno "Insieme per dire basta": Vera Ambra, fondatrice di Akkuaria, porge i saluti e descrive il senso dell'evento, sul "codice rosa" e la campagna del "fiocco bianco"; Francesco Giordano, scrittore e giornalista, interviene sul tema, col ricordo -non privo di contestazione- di due donne esempio di virtù e vittime di violenza, elevate alla santità dal Cristianesimo: Agata la protomartire e Maria Goretti, concludendo con una frase del primo ministro israeliano Golda Meir.



giovedì 2 ottobre 2014

La Madonna di rue du Bac a Parigi e la "medaglia miracolosa", un pellegrinaggio originale nella "ville lumiéré"






In una delle capitali del mondo fra le più belle nel senso pieno, quella Parigi di cui Emilio Zola scrisse che "fiammeggia sotto la semenza del sole divino", v'ha un sito recondito che non è secondo a nessun altro luogo per afflusso immenso di pellegrini da ogni angolo della terra: e però, a differenza della torre Eiffel così nota e visitata dalle masse, è seminascosto. Perchè mai? Uno dei tanti misteri dell'umano che si confonde col divino.
Recandoci nella capitale della Repubblica Francese, di quella monarchia divina che osò tagliare le teste dei Re -salvo poi pentirsene amaramente e comporre nella cripta di Saint Denis un monumento funebre a Luigi XVI e Maria Antonietta e agli altri sovrani le cui ossa furono disprezzate dai sanculotti nei giorni nefasti del terrore- non possiamo che ammirare la Senna, Notre Dame celeberrima per il romanzo di Hugo, il museo del Louvre, quello d'Orsay di arte moderna; ma immettendoci nel boulevard Saint Germain, zona universitaria, troviamo una via discreta punteggiata da negozi eleganti, di stile, una via senza pretese, sinuosa ma che racchiude un miracolo: è la rue du Bac. Senza fretta si giunge, ed è un percorso da fare a piedi a mo' di purificazione qualunque sia il luogo ove si alloggia -sebbene la metropolitana parigina, efficientissima, abbia la fermata nei pressi- al numero 140, una facciata anonima. La quale nasconde la sede generalizia delle Suore della Carità di San Vincenzo de' Paoli. E che, dirà lo scettico, tanta strada per vedere la casa delle monachelle dal velo bianco? No, perchè lì accade un fenomeno costante per chi crede ed anche per chi dubita. Nel novembre 1830 in quella chiesa interna ad un lungo cortile (ed è una ampia chiesa, che chiamare cappella sembra quasi riduttivo, ha tre navate e una loggia superiore), avvenne una apparizione alla novizia Caternia Labourè: pare che una Signora vestita di bianco le abbia parlato per ore, e fatto vedere una immagine da cui chiese di coniare una medaglia, la quale dipoi venne appellata "miracolosa", perchè durante l'epidemia del colera del 1832 a Parigi (in seguito dilagò in Francia e tutta Europa: in Sicilia giungeva nel 1837 e fu concausa della rivoluzione indipendentista di quell'anno) salvò parecchie persone che la indossavano "con fede", come disse l'apparizione. "O Marie conçue sains peché, priez pour nous qui avons recours à vous", è la scritta che Suor Caterina riferì le dettò la Signora, che lei subito identificava per la Madonna. Non era ancora stato proclamato, per consenso dei fedeli più che per fondamento teologico, il dogma dell'Immacolata Concezione (lo sarà nel 1854:  Gregorio XVI e Pio IX porteranno la medaglia), ma era l'inizio del ritorno al marianesimo, in quel XIX secolo dilaniato da lotte intestine fra laici e clericali, dalla divisione, dall'odio di classe. L'apparizione diffuse armonia.
E' silenzioso il cortile profondo, ma addirittura surreale l'atmosfera nella chiesetta interna, laddove è sempre presente un nucleo di persone che pregano, e vi si trova visibile in una teca il corpo mummificato (pare incorrotto) della Suora veggente, che fu proclamata beata da Pio XI e santa da Pio XII nel 1947, quel grande Pontefice mariano che al più presto dovrebbe meritare gli onori degli altari come i suoi successori.   La "medaglia miracolosa" in quel luogo è un semplice oggetto, un messaggio, un simbolo , un ritorno dell'anima alla concezione matriarcale ed ancestrale della storia, un "rovescio della storia" o meglio ancora, ha scritto sapientemente Jean Guitton, un luogo "che attira soltanto gli sguardi che si chiudono per vedere", al contrario della Parigi che fa spalancare gli occhi per materiali bellezze? Noi non pretendiamo di saperlo. Però possiamo trasmettere e testimoniare che in quel luogo regna ciò che gli antichi egizi, precursori della religione cristica, chiamavano Maat (identificandola con una dea specifica), cioè il concetto di Verità-Giustizia.  E' una percezione indubitabile; se al più, si professa la religione cattolica, non si può che vedere nella "mamma del Cielo" (così le preghierine dei bambini dei tempi passati e presenti, che non si dimenticano, perchè i bambini sono i prediletti della Divinità, specie della mamma...) la solenne, intima, infrangibile protezione che il misero, il potente, il pusillo, l'orgoglioso e anche l'inflessibile ateo, ripongono nel Principio germinale della vita, che se è suffragato dalla scienza odierna e passata, s'arresta dinanzi ai fenomeni che non hanno spiegazione razionale.
La statua della Madonna sull'altare maggiore, a rue du Bac, è quella classica a tutti nota con le mani abbassate e aperte da cui si dipartono i raggi, cioé le grazie che ella spande sugli uomini indistintamente; ma la figurazione che Caterina Labouré volle sulla sua tomba rappresenta un altro aspetto della "Signora", mentre ha lo sguardo in alto e tiene fra le mani un piccolo globo. Nelle testimonianze coeve, l'una immagine non contraddice l'altra, si completano. Anzi la Madonna col globo è quella missionaria -se qualcuno rammenta gli anni di Pio XII e dello zelo missionario mariano del dopoguerra: "o Madonna pellegrina, vieni in questa terra devastata dalla guerra..."- e ancora più incisiva, perchè esso è il cuore di ogni essere che viene accolto fra le mani della Madre. In veloce carrellata pensavamo che tutte le religioni, dai Sumeri fino a noi, hanno serbato intatto il principio materno e anzi che esso, più che la visione patriarcale poi prevalsa, è l'aspetto più autentico, occulto, "isiaco" se si vuole (l'antica Lutezia fu la città di Iside, Par-Isis), ma quanto più reale, della exoterica immagine del maschio dominante, la cui fragilità si appalesa dinanzi alle contingenze del quotidiano nonché ai grandi dolori. Allora non bastano parole, solo la Grande Madre: e si ritorna a rue du Bac, alla medaglia che è non solo un segno distintivo delle monache vincenziane (note in tutto il mondo per la carità verso gli ultimi), ma anche un percorso. Se è vero che la ragazzina di Lourdes, la casta Bernadette, quando fu testimone delle apparizioni mariane 28 anni dopo Caterina, aveva al collo la "medaglia miracolosa", l'oggetto smette di essere un feticcio e riporta al grande mistero: "monstra te esse matrem".
"Parole non ci appulcro", avrebbe detto un altro grande innamorato di Myriam, l'Alighieri che Foscolo definiva "il ghibellin fuggiasco": ma non fuggiasco da se medesimo, se colse nella luce sterminata della Vergine, il compimento sommo del poema. E per chi sorride scetticamente, cosa affatto comprensibile, potremmo citare i simboli ma la disamina sarebbe lunga: bastino le 12 stelle della medaglia, presenti nella bandiera di quella tanto vituperata Unione Europea da taluni tacciata quale causa d'ogni male economico delle Nazioni affiliate: e tuttavia, sembra che nel disegno originario poi approvato dalla laicissima commisione vi fosse proprio l'ispirazione mariana derivata dalla visione di Caterina Labouré: "ti coronano dodici stelle...", recita un canto popolare mariano. Sono anche i 12 segni dello zodiaco di Denderah e della tradizione astrologica delle società iniziatiche? Nulla è in contraddizione, anzi tutto è Uno, per chi crede.
A noi, per concludere, piace pensare che il trentatreenne Vincenzo Bellini, che a Parigi còlse il fulgore del successo e la mestizia della morte negli ultimi due anni della sua vita nella capitale francese (estate 1833-settembre 1835), mentre in sequenza nel delirio di quel tragico 23 settembre a Pouteaux vedeva la mamma, i parenti e Sant'Agata e Catania, solo, nel velo che gli coprì per sempre lo sguardo, lui così religioso (ma fu anche carbonaro e amico di molti esuli patrioti, dal Pepoli autore del libretto dei Puritani, alla principessa Belgioioso), abbia avuto in mano anche la  già diffusissima a Parigi medaglia "miracolosa" e con quella visione mariana, e molto siciliana, si sia involato verso l'Infinita azzurrità, accolto come ognuno se vuole può, da quella Luce che non ha orizzonti, perché soffusa da scintille di assoluto.
                                                                                       Francesco Giordano

(Pubblicato sul quotidiano online LinkSicilia: http://www.linksicilia.it/2014/10/un-siciliano-a-parigi-alla-scoperta-della-madonna-di-rue-du-bac-e-la-medaglia-miracolosa/)

domenica 24 agosto 2014

Catania, in biblioteca internet si paga: si esentino almeno i disoccupati


Catania, in biblioteca internet si paga: si esentino almeno i disoccupati


 22 ago 2014   Scritto da Francesco Giordano 


Le grandi città d’Italia hanno internet gratis in biblioteca, a Catania, dal 2012, è a pagamento: perchè? Si esentino i poveri e disoccupati
Allorquando un servizio di pubblica utilità nasce con intenti positivi ed allargati indistintamente a tutti i cittadini, non si può che gioirne: così è nata la comune concezione, seppur distorta e mònca, della democrazia (che è, diceva il buon Churchill, “il meno peggio dei modi di governo”). Però accade che certi servizi degenerano o vengano limitati, ed è il caso di protestare come cittadini in quanto tali: se si è poi operatori dell’informazione (liberi, senza “u principali”), si ha l’obbligo deontologico di denunziare il grave vulnus.
Ciò accade nel comune di Catania, città quasi trimillenaria, fondata prima di Roma, e governata -dopo lunghi anni di centrodestra- nuovamente da colui che fu il “Sindaco della primavera”, oggi essenzialmente appannata, ovvero Enzo Bianco. Il caso riguarda il servizio internet della gloriosa Biblioteca comunale pubblica intitolata al Cigno etneo, e mondiale, Vincenzo Bellini (la cui sede centrale è all’inizio della cosiddetta “salita” di Sangiuliano, in pieno centro storico).
La precedente amministrazione comunale di Raffaele Stancanelli (che altro non fu che il gestore ‘commissariale’ degli anni di “visionarietà”, per usare un termine elegante, del fu Umberto Scapagnini -Sant’Agata sa perchè egli non è più in vita, e lo sanno anche molti catanesi, ma transeat-), ebbe la positiva idea, circa cinque anni fa, di inaugurare in biblioteca un servizio multimediale di postazioni internet, aperto a tutti e gratuito. Così allineandosi alle grandi città italiane che già nelle biblioteche comunali e statali lo possedevano (nei primi anni novanta, era anche allora Bianco Sindaco ma da noi ciò si immaginava, rammentiamo il collegamento internet alla Nazionale Centrale di Firenze, pubblico e gratis: quasi fantascienza, tra il 1993 e 1994…).internet bis
Da ultra trentennali frequentatori di quel tempio laico che è ogni biblioteca, quindi anche la “Bellini” di Catania (nata biblioteca popolare, già durante il fascismo: nel dopoguerra ebbe anche sede nel distrutto da un incendio -doloso?- chiosco cinese della Villa comunale, fondi stanziati e mai più riocostruito…nella nostra storia giornalistica innumerevoli sono gli articoli dedicati a quella istituzione), apprezzammo l’iniziativa e ci tesserammo pure: un’ora al giorno e gratis, era qualcosa, nel 2010. Appena si sparse la voce, si formava la fila degli utenti per consultare la rete, considerando che tutti i punti internet privati di accesso erano, e sono, a pagamento. Non aveva ancora avuto larghissima diffusione lo smarthpone…
Mancando da oltre un anno dalla “Bellini”, apprendiamo recentemente da persona cara una notizia inquietante: “sai, il servizio internet ora si paga, in biblioteca…” “Si paga? Ma non era gratis? “Sì, costa un euro l’ora…”. Ci ripromettiamo di indagare, ed è presto fatto. Si da per scontato, ma qui necesse est, ribadire -come si potrà notare da una semplice verifica in rete- che tutte le grandi città italiane, nelle loro biblioteche pubbliche -qui citiamo Milano, Firenze, Roma per dare l’idea- forniscono attualmente l’uso gratuito del servizio internet, attraverso varie postazioni, ai cittadini residenti.
A Catania no, si è regrediti. Mercè la cortesia dell’impiegato responsabile (la buona creanza è sempre stata appannaggio del personale della biblioteca comunale Bellini, lo possiamo testimoniare sin da quando iniziammo a frequentarla, studenti delle medie: erano i tempi del dott.Nicolosi direttore e del signor Sapuppo bibliotecario e di Benito Fangani, barone e presidente dell’Accademia della Rosa Azzurra, che tutto sapevano dei libri, e pure dei temi di essi… anni eroici), constatiamo che l’ex Sindaco Stancanelli ha applicato il verso evangelico: “il Signore ha dato, il Signore ha tolto, benedetto il nome del Signore” (che Dio ci perdoni…). Ovvero, dalla Carta dei Servizi della Biblioteca e decentrate, “allegata alla delibera n.471 del 5.10.2012″ si apprende che è istituita da quella data la tessera Mediacard, con cadenza annuale ed al seguente costo: euro 18 ordinaria, euro 12 studenti, euro 5 over 65, per l’utilizzo dei servizi internet.
Non solo, si è voluto persino lucrare sulle addenda: chi volesse effettuare masterizzazione dati sui pc della biblioteca o usare la propria pendrive, deve pagare da 1 euro a 50 centesimi. Va da se che la consultazione per un’ora, è al costo di un euro. Rimaniamo basiti ma, per farla tutta, paghiamo l’euro (pensando che con quella monetina, un tempo non lontano quasi duemila lire, potevamo la stessa mattina comperare “a fera o luni” un chilo di banane o mezzo chilo di cozze nere “di Missìna”… ma pazienza) e ci mettiamo a navigare dal pc comunale, non prima di aver accusato tanto di ricevuta, firmata dal solerte impiegato (ci informa costui che tali fondi sono destinati alla manutenzione delle apparecchiature della biblioteca).
Rispetto a qualche anno fa i pc sono rinnovati, e pure il collegamento è più efficiente, questo è palese. Ma continuiamo a rimarcare l’incongruenza: passim per il servizio a pagamento, mentre nelle suddette citta d’Italia non esiste ed è gratis, ma in quale categoria inserire i disoccupati, gli inoccupati con meno di 65 anni e coloro che hanno reddito ISEE meno di 5 mila euro, i poveri insomma, i quali più dei salariati hanno diritto alla libera informazione?
Da qui l’invito all’attento e conscio delle sue responsabilità Enzo Bianco, affinchè voglia sanare la grave ingiustizia sociale ereditata dalla passata amministrazione: si crei ad hoc una tessera gratuita per i disoccupati e coloro che hanno reddito ISEE inferiore a 5 mila euro (ciò deve essere naturalmente documentato con autocertificazione posta al vaglio delle autorità), perchè nè costoro possono rientrare nella categoria ordinaria, ne in quella studentesca. Infatti in tempi di crisi terrifica, nessun padre di famiglia può spendere pure 18 euro l’anno per un’ora al giorno di connessione internet, che nacque gratuita e deve rimanerlo, se non per tutti, per quelle categorie che non hanno i mezzi economici per poter affrontare tale spesa, di cui il Comune deve farsi carico.biblioteca bellini ct esterno
Già accade che la Regione, attraverso le ASL, certifica l’esenzione totale per quasi tutti i medicinali, a coloro che risultano disoccupati: perchè non adeguarsi e esentare questa categoria dalla consultazione a pagamento di internet, a parte il fatto che ciò potrebbe servire per eventuali possibilità lavorative? E si aggiunga che le esenzioni per i disoccupati del comune di Catania, a nostro avviso, sempre documentabili, dovevano essere estese a tutti gli spettacoli della cosiddetta “estate catanese” (molti sono a pagamento) come l’ingresso ai monumenti e musei di pertinenza comunale.
E meno male che l’assessore “ai Saperi e Bellezza” è un noto esponente di un partito di estrema sinistra, ormai fuori dal Parlamento…bella solidarietà con gli ultimi.
“Fin quando avremo un panettello, lo divideremo col povero, e non bastandoci denaro, una buona parola da noi verrà sempre”, fu la divisa della vita terrena (incisa sulla pietra del monumento che lo rappresenta nella piazza San Francesco, davanti la chiesa dell’Immacolata) del Beato Cardinale Giuseppe Benedetto Dusmet, panormita, benedettino, arcivescovo di Catania in sul finire del XIX secolo: rimpiangiamo una tempra siffatta, e lo invochiamo (la sua salma ornata de’ paramenti è esposta in Duomo, vicino Sant’Agata e Bellini) perchè illumini le menti di coloro che la sorte ha indicato reggano i pubblici uffici. Voglia quel sant’uomo che (con l’altro “santo” laico, Mario Rapisardi, pure chiamato benefattore degli ultimi) la città e l’isola di Sicilia rivedano la Luce del nuovo mattino, e non permangano nelle insidie di Mammòna. Anche una rettifica in senso sociale (socialista? “lo sono sempre stato”, rispondeva Dorelli-maestro Perboni, nella versione televisiva di Cuore…) come quella da noi invocata, può essere un segno. Poiché niun giorno, secondo i Romani antichi, era “sine linea”.
Francesco Giordano

(Pubblicato sul quotidiano online LinkSicilia: http://www.linksicilia.it/2014/08/catania-in-biblioteca-internet-si-paga-si-esentino-almeno-i-disoccupati/)

sabato 9 agosto 2014

Popolo e autonomia in Sicilia, ieri e oggi: e una lezione storica da Israele...









            Popolo e autonomia in Sicilia, ieri e oggi: e una lezione storica da Israele...

Un articolo uscito pochi giorni fa sul quotidiano online LinkSicilia, a firma Riccardo Gueci (http://www.linksicilia.it/2014/07/in-tanti-paesi-del-mondo-si-lotta-per-lautonomia-tranne-che-in-sicilia/) mi spinge a dare quel piccolo contributo personale, in quanto studioso di Storia siciliana con all'attivo alcune pubblicazioni (l'appellativo di "storico" lasciamolo ai grandi, da Giuseppe Giarrizzo al fu Santi Correnti, nella linea di March Bloch: anche perchè "storici" si diventa almeno dopo la sessantina, e per noi c'è ancora qualche tempo...) che ritengo necessario sul presunto ruolo del popolo nell'Autonomia siciliana, ieri e oggi.
Una nota di commento dell'economista palermitano Massimo Costa riassume ciò che ogni persona mediamente colta in Sicilia sa: cioè che le cosiddette classi dominanti, che per secoli furono la nobiltà, il clero e le corporazioni cittadine, mercantili in primis (il concetto di borghesia ebbe concretezza in Sicilia nella rivoluzione del 1848-49: ancora a' tempi della Costituzione 'inglese' del 1812, un sincero democratico come Domenico Tempio poteva sbeffeggiare i novelli "putiàri spillacchiùni" assisi "sulli pisòla" nella Catania del Bentinck: e nessuno poteva accusare Tempio di essere antipopolare, anzi...), allorchè si videro costrette a scegliere fra un Sovrano straniero e uno locale, scelsero sempre quello straniero, perchè il fatto di essere distante dalla madrepatria, ne garantiva i privilegi e le tutele personali molto di più che uno autoctono o residente nell'Isola. Giustamente ci gloriamo del Vespro, che se fu mòto di popolo, venne anche perfettamente organizzato come una congiura strategica da uomini determinati (ci ha insegnato il Runciman nella sua opera fondamentale): non volevamo più l'esoso fiscalismo di Carlo d'Angiò, ma neppure l'approfittarsi di Giacomo d'Aragona delle libertà che i Re normanni avevano concesso ai siciliani: ed elegemmo sia a Palermo che a Catania un Re "nostro", Federico III, nel 1296.  Egli fu davvero il simbolo, ben più degli avi, della indipendenza siciliana: tanto più che concesse al baronaggio ed alle città amplissimi poteri, come fecero i suoi successori. Ma quando nella seconda metà del XIV secolo la Sicilia, dilaniata dalle faide dei quattro Giustizieri, vide la rinnovata occupazione spagnola-catalana di Martino il giovane (1392), nonchè pochi anni dopo, nel congresso di Caspe, l'assegnazione della corona siciliana alla transeunte dinastia dei Trastamàra, "il paese era troppo esaurito per reagire, ovvero la dominazione straniera era positivamente desiderata come una liberazione dal caos" (D.Mack Smith, Storia della Sicilia medievale e moderna, ed.1971, pag.118).
Non solo: si rimase felicissimi, nei secoli successivi, di essere governati dai Vicerè: occasionalmente il popolo si ribellava ma quando erano intaccati gli interessi di una fazione, di una casta, non già per puro sentimento nazionalista o indipendentista. Era molto meglio, per il siciliano medio, essere governati da un funzionario inviato da Madrid (che all'occorrenza, come accadde, si poteva benissimo fare sloggiare appellandosi al Re in persona), che essere legati a Napoli.  A Messina si batteva moneta, e nei minuscoli "pìccioli" erano presenti nel XVII secolo le iniziali degli zecchieri: privilegio che poteva avere una moneta sovrana, con l'aquila siciliana, ma emessa a nome di Sua Maestà il Re di Spagna, che era anche Sovrano in Sicilia. E nella moneta Grano dei Vicerè, in rame purissimo come i pìccioli, era scritto "ut commodius", come a dire: fate ciò che volete, il governo c'è, ma è abbastanza lontano perchè i siciliani siano liberi.   "Per i siciliani, i Vespri e la chiamata degli spagnoli nel 1282 divennero il simbolo stesso delle libertà locali contro il desiderio di Napoli di dominare e sfruttare. In Sicilia c'era la tendenza a detestare e criticare qualsiasi governo, ma l'animosità era diretta molto meno contro la Spagna che contro Napoli" (Mack Smith, op.cit., pag. 152).  Da ciò si può arguire perchè in Sicilia nel XIX secolo vi furono diverse rivolte "borghesi" e popolari contro i Borbone di Napoli: Ferdinando III di Sicilia e IV di Napoli, nel 1816 Ferdinando I delle Due Sicilie, aveva più volte tradito il giuramento e soppresso dopo secoli il Parlamento Siciliano, accorpando l'isola ai domìni di là del faro. Per le medesime ragioni le elìtes siciliane (Tomasi di Lampedusa e Pirandello, ne I vecchi e i giovani, ben lo scrissero), preferirono un Re "straniero" e lontano come Vittorio Emanuele II, che un sovrano oppressivo e ottuso come Ferdinando II, che per giunta non s'era fatto scrupolo di bombardare le città costiere siciliane nel 1849, Palermo e Catania in primis, mandando poi a sterminare la gente gli svizzeri del famigerato reggimento Riedmatten.  Doveva cambiare tutto e nulla, con la sostituzione dello "stellone" monarchico, e pure frammassonico, italiano (qualcuno sa che il cosiddetto "palancòne", la moneta da 10 centesimi di Vittorio Emanuele II, fu coniata, oltrechè a Parigi e Brussèlle, anche a Birmingham? Eppure è così), alla bandiera gigliata. Sbagliò il governo nazionale nella soppressione degli enti ecclesiastici, "derubando" i beni della Chiesa, e mal gliene incolse: lì il popolo si ribellava, ma perchè non aveva più la garanzia del "pane" che le infinite rendite della Chiesa gestivano... non certo per indipendentismo allo stato puro, tranne alcuni intellettuali. Così il regio decreto 28 luglio 1861, che istituiva in tutto il novello Regno d'Italia il sistema metrico decimale, abolendo -dopo un periodo di transizione di due anni- in Sicilia e nel Napoletano le vecchie misure di peso lunghezza e capacità, creò non poco disappunto nei commercianti abituati a frodare e farla sempre franca, dònde le sommosse, per interessi particolari.  Quindi il popolo in tutti questi contesti, non si è mai distinto dalle classi dominanti.
E' una fiaba bella e buona, artatamente letta con le lenti deformanti del veteromarxismo otto e novecentesco, che "il popolo" in Sicilia abbia o possa avere un significativo riscontro, ieri come oggi.  Avvicinandoci adunque a tempi recenti, se è vero che nel 1944 il Movimento Indipendentista di Andrea Finocchiaro Aprile (e dei nobili Tasca e Carcaci, nonché dei "sostenitori occulti", fra i quali il noto Calogero Vizzini da Villalba, già Sindaco del suo paese nominato dall'AMGOT, avente vastissimo seguito: alcuni lo dissero "capo" di organizzazioni criminose, così lo definì il brillante giornalista e politico Michele Pantaleone, che noi conoscemmo: però il Vizzini, che è morto libero nel suo letto, ebbe fratelli sacerdoti e fu perseguitato dalla dittatura fascista...) ebbe migliaja di iscritti in tutti gli strati popolari e quindi un consenso grandissimo da più della metà dei siciliani che desideravano autogovernarsi in un momento di crisi terribile e non più essere vessati dopo tre anni di mefitici bombardamenti sui civili (rammentatelo sempre: questa fu la cagione della rabbia siciliana... noi ora tendiamo a dimenticare, ma i nostri genitori erano sotto le bombe per tre anni, come adesso i nostri coevi ebrei in Israele sono sotto i missili del terrorismo palestinese...), è anche altrettanto vero che il lucidissimo leader di Lercara Friddi scrisse molto chiaramente che, nel futuro assetto del mondo, la Sicilia doveva essere sì indipendente, ma legata a doppio filo ai governanti vincitori. Cioè gli USA e la Gran Bretagna. Pare che (casualmente?) sia successo proprio questo: un federalismo "concesso" dalla Monarchia il 15 maggio 1946, e l'Isola nell'orbita dell'Alleanza Atlantica. Dispiace che molti indipendentisti vecchi e nuovi lo vogliano rimuovere, ma la frase che Finocchiaro Aprile scriveva ad Eleanor Roosevelt il 15 febbario 1945 non si presta ad equivoci, ed è bene riportarla ancora: "E' nostro proposito di prendere a modello per la Sicilia l'ordinamento costituzionale degli Stati Uniti, e d'intrattenere con essi i migliori e più intimi rapporti politici ed economici. Saremmo lieti ed orgogliosi se la Sicilia potesse essere la longa manus degli Stati Uniti in Europa".  E chi vuole capire, capisca...
Ultima e non meno importante precisazione:  il Gueci cita "il popolo palestinese, che lotta per la sua indipendenza, con enormi sacrifici umani, contro il dominio israeliano". Purtroppo egli dimentica di rammentare -ma sta succedendo troppo spesso ultimamente, e invero ne siamo stufi- le immense e ben più gravi sofferenze che la popolazione di Israele subisce a cagione dei razzi dei terroristi di Hamas. E che sin dalla nascita nel 1948, Israele è stato attaccato e combattuto dagli arabi ed ha sempre vinto tutte le guerre per la sopravvivenza, poichè non si era mai vista la rinascita di una stirpe schiacciata per diciotto secoli, che decide finalmente di risorgere dal lungo sonno e tornare a casa, in quella Terra (Eretz Israel) che il Padre assegnò per divino diritto. La storia della nascita del moderno stato di Israele, sia contro la potenza mandataria britannica che contro gli arabi, per la sacra Libertà (Herut!, è il grido che prorompe da ogni cuore...), è un insegnamento e una lezione storica per qualunque popolo, i sicilianisti ne tengano conto.  Agli scettici consigliamo, e soprattutto agli indipendentisti siciliani, la lettura delle memorie di Menachem Begin (pubblicate in Italia nel 1981 da Ciarrapico), artefice degli accordi di Camp David e Premio Nobel per la Pace nel 1978: ma anche "comandante" dell'Irgun, la formazione paramilitare che lottò aspramente per la fondazione dello Stato sionista: "Soltanto così", fu il motto dell'Irgun, una mano che regge un fucile. "Che ogni uomo giusto sondi la sua anima e risponda con giustizia, perchè in ultima istanza la speranza di ogni popolo risiede nella disponibilità dei suoi figli a mettere in gioco la propria vita "per la madre", per la Libertà che l'uomo ama, contro l'asservimento che l'uomo odia e deve odiare in nome dell'amore": così Begin scriveva nell'introduzione al libro. Non ci pare che tutto ciò si attagli al popolo, in Sicilia. Ma, come gli ebrei d'Israele che combattono per la Libertà,  siamo lo stesso orgogliosi di essere nativi della Nazione tricuspide, perchè -canta semplicemente Lucio Dalla, che amava l'isola- "tra un greco, un normanno e un bizantino, io son rimasto comunque siciliano".
                                                           Francesco Giordano

(Articolo ripreso e pubblicato sul giornale online Kolot News: http://www.kolotnews.it/index.php?option=com_content&view=article&id=106:popolo-e-autonomia-in-sicilia-ieri-e-oggi-e-una-lezione-storica-da-israele&catid=36&Itemid=242)

giovedì 7 agosto 2014

venerdì 18 luglio 2014

Zichichi: "L'ideale sarebbe una dittatura illuminata che risolva i problemi della gente", e sul MUOS: "le carezze non fanno male"



Zichichi: "L'ideale sarebbe una dittatura illuminata che risolva i problemi della gente", e sul MUOS: "le carezze non fanno male"

Il trapanese Antonino Zichichi è un fisico e scienziato arcinoto a livello mondiale, vanto della Sicilia e dell'Italia nelle nazioni, sia per le sue scoperte scientifiche, che per le doti di organizzatore e di uomo di pace. Oggi quasi ottantacinquenne, fu protagonista nel periodo d'oro del Centro Ettore Maiorana di Erice, di una convergenza eccezionale dei massimi leaders mondiali, negli anni Ottanta, vòlta a ridurre le potenzialità degli arsenali nucleari ed a limitare l'attività dei laboratori segreti, che ancora funzionano: per queste ragioni si fece mediatore fra Reagan, Gorbaciov e Deng Tsiaoping,  i leaders delle tre superpotenze.
A volte controverso poichè, da divulgatore, tiene a precisare di coniugare bene la sua fede nel Cristianesimo cattolico con la Scienza e la ricerca,ha rilasciato una intervista il 6 luglio u.s. al quotidiano online LiveSicilia, raccolta dal collega Daniele Valenti.
Tale dichiarazione di Zichichi è stata a parere nostro trascurata, tranne per la parte in cui, giustamente, egli disgustato dal comportamento del Presidente della Regione Siciliana Crocetta, sconsiglia di averci più a che fare; ma contiene affermazioni molto importanti, specie di fronte alla caotica e informe società in cui viviamo. Rileggiamole, e chi ha voglia ascolti l'audio con la voce del fisico, in questo link: http://livesicilia.it/2014/07/06/lavorare-con-crocetta-non-lo-suggerirei-a-nessuno_512701/

"L'ideale di governo sarebbe quello di una dittatura illuminata che venisse incontro ai problemi della gente, risolvendoli"
"La democrazia ha i suoi difetti e, come disse Churchill, è la meno peggio fra le forme di governo che noi possiamo immaginare"
"Realizzare il nucleare in Sicilia mettendo questo in mano alla grande scienza, sarebbe stata la fortuna della Sicilia..."
"Il MUOS: le risulta che le carezze fanno male? Noi viviamo in un mondo pieno di elettromagnetismo, di onde elettromagnetiche. Per il MUOS, sono potenti sistemi di emissione di onde elettromagnetiche e, se queste cose vengono fatte correttamente, non hanno nessun pericolo. Se si vuole combattere il MUOS, lo si combatte in maniera politica"
"Da Crocetta consiglierei di non accettare nulla!"
"Veniamo da uno spazio a 43 dimensioni, il supermondo, ma affichè questo sia dimostrabile, bisogna scoprire la prima particella, ciò su cui siamo fortemente impegnati"

Capito? Se qualunque politico avesse detto oggi di volere una dittatura illuminata che risolve i problemi, qui e nel mondo, sarebbe stato additato come un mostro, un novello Attila! Ma cosa è importante per la gente, che i problemi si risolvano o che si sguazzi nella melma della mediocrità?
E anche sul MUOS, delle parole chiare: è un affare di scontro politico e, come chiarisce la scienza, non ci sono pericoli per la popolazione. Un semplice telefonino è magari molto più pericoloso, perchè la maggior parte della gente lo tiene appiccicato all'orecchio (quando i manualetti suggeriscono che la distanza minima è di almeno 2,5 cm, e di usare le cuffie, che pochi adoperano): ma risulta facile abboccare alle sirene delle  ideologie.
Per quanto riguarda Crocetta, stendiamo un velo pietoso. E sul nucleare in Sicilia, sarebbe un affare, se avessimo dei veri amministratori politici, e non la gente che conosciamo (si è compreso, difatti nel 2012, alle ultime regionali, la maggioranza dei siciliani, caso mai accaduto, non si è recata alle urne: per cui l'attuale compagine all'ARS e il Presidente, sono de facto espressioni di una minoranza di minoranza).
Infine, anche noi siamo come l'illustre scienziato, convinti che esistano molte più dimensioni di quelle che percepiamo. Il Supermondo è da sempre una realtà. Attendiamo le dimostrazioni di ciò che è nei fatti, alla Luce del Sapere.
Ad maiora, professor Zichichi, ce ne fossero di persone che parlano oggi così schiettamente!

                                                                                                                                       F.Gio

lunedì 23 giugno 2014

Con Felipe VI per la Catalogna il federalismo economico. Sulla scia dello Statuto siciliano


Con Felipe VI per la Catalogna il federalismo economico. Sulla scia dello Statuto siciliano


 22 giu 2014   Scritto da Francesco Giordano 


Come affronterà la spinta separatista catalana il nuovo re di Spagna? Secondo alcuni, proprio sulla spina nel fianco della politica spagnola, Felipe VI  dimostrerà di essere un monarca  più ‘moderno’ nel suo approccio con il diritto di autodeterminazione dei popoli.
E nel suo primo discorso ufficiale, in effetti, non mancano tracce di novità. Non abbastanza per  molti indipendentisti catalani, che hanno maldigerito i riferimenti all’Unità della Nazione. E che comunque sono anche repubblicani.  Esquerra Repubblicana, ad esempio, contattata da Linksicilia, non ha esitato a bocciare in toto il nuovo re, come vi abbiamo detto qui.
Eppure, le novità  portate da Filippo VI  potrebbero parlare di federalismo economico.   Certo non sarebbe l’indipendenza, ma, in fondo, stringendo, ciò che interessa ai catalani è di potere gestire direttamente le proprie risorse, senza l’intermediazione vampira di Madrid. 
Un modello di federalismo fiscale già disegnato per la Sicilia con lo Statuto speciale. E mai applicato veramente.
di Francesco Giordano

Il federalismo economico, più che il separatismo, all’orizzonte della Catalogna, si evince dal discorso della Corona del nuovo Re di Spagna Felipe VI “Una Monarquìa renovada para un tiempo nuevo”: questa la linea tracciata dal nuovo Re di Spagna, Don Felipe VI, nel discorso di insediamento della Corona, pronunziato il giorno 19 giugno innanzi alle Còrtes, il Parlamento iberico riunito solennemente per l’occasione.
E’ stato quello che si dice un momento storico per la grande ed importante Nazione d’Europa, rinnovare l’istituzione monarchica nel momento in cui, per le problematiche interne, nella persona del Re Juan Carlos ­che ha regnato per 39 anni­ essa era appannata e scalfita da macchie gravissime per l’etica pubblica della popolazione. Scegliendo di abdicare al momento giusto e lasciando il trono, e la scena al quarantaseienne Felipe, accompagnato dalla ex giornalista Letizia Ortiz, nuova Regina, e dalle belle bimbe Leonor e Sofia, le più giovani eredi al trono di tutte le case regnanti in Europa, Juan Carlos ha in ogni caso reso l’ultimo servigio notevolissimo alla sua Patria e all’idea della Monarchia in senso lato: non che, a parer nostro, sia stata una scelta assoluta (per gli scandali cui si accennava), però considerata la situazione, fu la migliore.

Emozionato, come si conviene a chi ascende al trono anche se da sempre è preparato
a quello che gli scrittori di un tempo definivano “il mestiere di Re”, Felipe lo è e lo fu particolarmente, mentre il bacio finale di Letizia nuova Regina di ceppo borghese, lo sciolse dall’evidente imbarazzo: come la nivea bellezza delle bambine di otto e sette anni, che accompagnarono i genitori, scaturiva mòti di simpatia e sorrisi da parte di tutta la popolazione, che in Spagna e nel mondo ha seguito la diretta tv ed in streaming su internet, del giuramento alla Costituzione e dell’insediamento.
Proprio la “monarchia rinnovata” è stato il segno che il nuovo Re ha voluto dare come inizio del suo mandato da “Rey consitucional”. Ha tenuto a sottolineare la funzione di arbitro essenziale dei poteri dello Stato il nuovo Sovrano, in continuità con il ruolo del padre, che fu equilibrio importantissimo dopo la fine della dittatura del Generalissimo Francisco Franco (egli è morto nel 1975, quarant’anni non sono ancora trascorsi: crediamo che l’ombra lunga e non del tutto fuggevole del franchismo, non sia svanita dalla psicologia collettiva degli spagnoli), specie in momenti essenziali. Felipe è della nuova generazione cresciuta nella democrazia e nel pluralismo: per cui intende rinnovare il modo di interpretare il Regno.felipe
A questo riguardo, per noi fautori del federalismo a cui sono care tutte le cause dell’autodeterminazione dei popoli, come già leggevamo in un precedente intervento, la questione catalana è ad un bivio cruciale. Se Felipe ha precisato che “quiero reafirmar, como Rey, mi fe en la unidad de España, de la que la Corona es símbolo. Unidad que no es uniformidad, Señorías, desde que en 1978 la Constitución reconoció nuestra diversidad como una característica que define nuestra propia identidad, al proclamar su voluntad de proteger a todos los pueblos de España, sus culturas y tradiciones, lenguas e instituciones”,
il passaggio successivo è altamente chiarificatore, a nostro avviso, di quelli che saranno gli sviluppi della Catalogna in senso federale: “Una diversidad que nace de nuestra historia, nos engrandece y nos debe fortalecer. En España han convivido históricamente tradiciones y culturas diversas con las que de continuo se han enriquecido todos sus pueblos. Y esa suma, esa interrelación entre culturas y tradiciones tiene su mejor expresión en el concierto de las lenguas.Junto al castellano, lengua oficial del Estado, las otras lenguas de España forman un patrimonio común que, tal y como establece la Constitución, debe ser objeto de especial respeto y protección; pues las lenguas constituyen las vías naturales de acceso al conocimiento de los pueblos y son a la vez los puentes para el diálogo de todos los españoles. Así lo han considerado y reclamado escritores tan señeros como Antonio Machado, Espriu, Aresti o Castelao”.
In altre parole e leggendo fra le righe, come deve farsi perchè proprio per l’alta sua funzione un Re non può esprimersi direttamente nelle questioni politiche nazionalistiche delle varie parti dello Stato, si nota bene l’intenzione che, conoscendo la personalità di Felipe e sapendolo slegato da visioni passatistiche, potrà attuare, in tempi brevi: concedere, d’autorità da parte della Corona, un nuovo Statuto alla Catalogna, che inglobi la parte che ora è assente nella loro carta autonomista, approvata nel 2006: l’autogestione delle risorse finanziarie locali, poichè essendo la Catalogna la prima delle regioni spagnole a contribuire al bilancio nazionale in termini di PIL, è chiaro che attualmente i tre quarti di esso vengono drenati verso Madrid, mentre solo infimo è il ritorno in beni e servizi, alla comunità catalana.
Ciò, al netto delle (legittime) rivendicazioni nazionaliste ed anche separatiste, è quello che chiede la maggioranza dei catalani, la gestione in casa delle risorse locali. Che, in altri termini, si appella federalismo, in senso onnicomprensivo. La Spagna con Felipe VI diventerà uno Stato moderno quindi federale, unito tuttavia nella figura sovrana? Crediamo che andrà a finire così, anche perchè, data l’autogestione economica alla Catalogna, anche i paesi Baschi la chiederanno ­e l’otterranno­, come la Galizia e le minori comunità autonome montane.referendum catalogna
Da non dimenticare che in Spagna tutti i partiti, dal centrista al socialista (se si escludono gli estremisti di sinistra), sono convintamente monarchici: specie, ed è significativo, i socialisti… (situazione che avremmo potuto avere in Italia: si rivedano, per chi intende approfondire, i libri “La Monarchia socialista” del grande giornalista Mario Missiroli, che è del 1913, e ­dato che da noi c’è sempre stata la presenza della Chiesa­ il volume dottissimo “Il papato socialista”, di quel fine intellettuale seppure repubblicano, che fu Giovanni Spadolini, testo del 1950, riedito nel 1969).
In Sicilia conosciamo bene questo percorso poichè, dal 1943 al 1946, ne fùmmo antesignani. Solo dopo la guerra civile tra la maggioranza dei siciliani infatti e i governi nazionali dell’epoca (da Badoglio a Parri a Bonomi a De Gasperi: e citiamo politici comunque di altissima levatura… lasciamo perdere l’oggi!), il movimento indipendentista isolano, guidato da Andrea Finocchiaro Aprile e dagli agrari e nobili (monarchici) Lucio Tasca e Franz e Guglielmo di Carcaci, sebbene avesse una minoritaria componente estremista anarchica facente capo ad Antonio Canepa (non a caso perito in un agguato, che giustamente molti ritengono oscuro, il 17 giugno del 1945, in quel di Randazzo), ottenne dalla Corona di Savoja ciò che fra breve otterrà la Catalogna: lo Statuto Speciale (termine che è intercambiabile con quello di ‘federale’) della Regione Siciliana, che nasce il 15 maggio del 1946 in una Italia monarchica, e che la sovvenuta (e luetica come sempre ripetiamo, nata dall’imbroglio del falso referendum del 2 giugno del medesimo 1946) Repubblica accetterà e inserirà anzi nella Carta Costituzionale nel 1948.
Il quale Statuto prevede l’autogestione delle nostre ricchezze: se tale parte non viene compiutamente attuata, è colpa dei politici regionali e di chi li sostiene, invece di fare l’interesse del popolo siciliano.
Che poi oggi la discussione sulla riforma del titolo V e quindi sul ruolo delle Regioni a Statuto Speciale, e la Sicilia ha l’unicità di questo ed è la più “speciale” di tutte, possa limitarne le funzioni, è altra questione di cui non mancheremo di occuparci.
In Catalogna a novembre si terrà il referendum, contro la volontà del governo nazionale madrileno, per scegliere l’indipendenza o meno dalla Spagna. Si sa già che tale votazione non ha corso legale per la Costituzione spagnola, ma i catalani in gran maggioranza intendono svolgerla.
Pare che il nuovo Re ­il quale nel ringraziare alla fine del discorso della Corona, si è espresso nelle quattro lingue nazionali, castellano, catalano, basco e galiziano: vi immaginate un Presidente della Repubblica italiana che nel discorso di fine anno, si esprime nei saluti in italiano, siciliano, sardo, napoletano, romanesco, veneto e lombardo?
Questo può solo un Re…­ abbia in programma il primo viaggio ufficiale proprio a Barcellona, la bellissima e cosmopolita capitale catalana, dalla storia di grande libertà intellettuale e politica.
Se scorgiamo avvedutamente le mòsse del nuovo Sovrano ­che ha certamente presente la Storia passata ma anche quella futura: tanto per rimanere in tema, qualora la Scozia che anche deve esprimersi per l’indipendenza dalla Gran Bretagna, scegliesse di essere nazione autonoma, conserverebbe sempre la Regina come comune Capo dello Stato, quindi…­ egli agirà con determinazione ma anche con accorto rispetto della volontà popolare, evitando le trappole dell’estremismo come di intaccare il prestigio della Corona.
Ed è in fondo ciò che un Sovrano deve fare, se è veramente tale: integrare i popoli diversi e farne come la punta del triangolo, scintillare l’unità nella differenziazione di ciascuno, perchè tutti sono cari agli occhi del Divino, ma ogni essere vivente ha la propria unicità.
La sfida di Felipe è anche quella della Citta del Sole: però, portando egli il nome di Re a noi siciliani molto cari (sotto Filippo II l’isola, ove circolava la moneta Grano, ebbe prosperità economica e libertà nei commerci, come importante fu la sua classe di uomini colti, non raggiunta dipoi che nel XVIII secolo), crediamo che possa essere un monarca degno della tradizione.
                                                                                   Francesco Giordano

(Articolo pubblicato sul quotidiano online LinkSicilia: http://www.linksicilia.it/2014/06/con-felipe-vi-per-la-catalogna-il-federalismo-economico-sulla-scia-dello-statuto-siciliano/)

venerdì 23 maggio 2014

La festa di Santa Rita a Catania, 22 maggio 2014


E' molto sentita a Catania, seppure non sia autoctona, la devozione verso Santa Rita, detta anche "la Santa dell'Impossibile". Il centro del culto è sempre stato il tempio di Sant'Agostino in via Vittorio Emanuele, nel vero centro storico della città, elevato a Santuario nel 2013, con la denominazione "di Santa Rita in Sant'Agostino"; è retto da Monsignor Gianni Perni, e conta una numerosa comunità di fedeli, attenta e devota. 
Anche quest'anno si è celebrato il giorno dedicato alla Santa, in un tripudio di rose rosse, segno della mistica unione con la religiosa; il mese entrante giungerà da Cascia la reliquia. Da notare come la devozione sia molto composta, intensamente popolare e sentita, specie per il terribile periodo di crisi che si sta attraversando. Per dare l'idea, qui un nostro video breve della celebrazione.


mercoledì 23 aprile 2014

Riaperto il tetto della chiesa dell'ex monastero di san Nicola a Catania, una vista superba: lo si gestisca con giudizio



Catania, riaperto il tetto dell’ex monastero di San Nicola: sia gestito con giudizio…


 22 apr 2014   Scritto da Francesco Giordano                     



Dopo circa dieci anni (noi vi salimmo l’ultima volta nel 2005, in seguito è rimasto chiuso per restauri e problemi amministrativi), la direzione Cultura del Comune di Catania, Sindaco Enzo Bianco, il sabato della Pasqua 2014 ha deciso di riaprire quel luogo che ha pomposamente denominato “percorso di gronda della copertura della chiesa di San Nicolò la Rena”, ovvero il tempio massimo di ciò che si diceva l’arca sacra, il possente monastero benedettino la cui grandezza, è bene ripeterlo, è seconda in Europa solo al monastero portoghese di Mafra. cupola ct
Quel complesso monastico eretto nel 1558, regnante Filippo II in Sicilia e in Ispagna, alla presenza del Vicerè De la Cerda Duca di Medinaceli, il quale fu sede prestigiosissima del vero potere in Sicilia per secoli e secoli, cioè quello ecclesiastico, innanzi a cui si piegavano, e a volte anche si umiliavano, gli stessi sovrani direttamente e nella persona dei Vicerè, fossero essi Absburgo o Borbone, ha resistito alla colata lavica del 1669 che lo lambì ma non distrusse, e persino al devastante tremuoto del 1693. Quel medesimo complesso che le leggi post-unitarie del 1866 avocarono allo Stato nazionale italiano, dette anche da parte cattolica ‘leggi eversive’, smembrandolo con la parte monasteriale dedicata a scuole e caserme, il tempio e la biblioteca benedettina, dagli anni ’30 Civica e unificata alla collezione del barone Ursino Recupero, all’amministrazione comunale catanese. La chiesa custodisce, fra le altre ricchezze come la meridiana del XIX secolo e l’organo che fu di Del Piano, il Sacrario dei Caduti nelle due guerre mondiali, inaugurato dal Re Vittorio Emanuele III e affrescato da Alessandro Abate.
Sin dal dopoguerra l’accesso al tetto della chiesa fastosissima, immensa, grandiosa e dalla facciata incompiuta dei monaci benedettini cassinesi legati a quelli palermitani (ma da questa parte dell’Isola ben più opulenti e ricchi, perchè ricetto dell’altissima nobiltà cadetta di tutta la Sicilia, munifici nel gestire le risorse idriche a vantaggio proprio e del quartiere circostante, denso delle storie raccontate da De Roberto nei “Vicerè” su le ganze de’ monaci e altro…) è stato libero e gratuito: ci racconta chi ha memoria e vigore di studioso, ovvero il noto appassionato di storia sacra nonchè già dirigente regionale professor Antonino Blandini, che i 133 gradini della stretta tromba delle scale che, da una piccola porticina all’interno del tempio, conducono perigliosamente sui tetti e fin sulla cupola, erano totalmente al bujo, al massimo si percorrevano con una candela: e però i monelli dell’epoca non avevano remore a scoprire i luoghi alti, da cui si gode una vista incomparabile a nord dell’Etna, a sud-est dell’intiera cittade e del mare e del porto, sino al capo di Siracusa e oltre.
Abbiamo rifatto il cammino ascoso sino alla vetta del tempio (l’accesso alla cupola, opera unica e superba di colui che ebbe il genio della perfezione e il nome di Stefano Ittar, della seconda metà del Settecento, ancor più precisa della stessa cupola di San Pietro in Roma, continua ad essere inaccessibile ma ci si dice che a breve tornerà alla pubblica fruizione), approfittando dell’apertura pasquale. Che non è sistematica purtroppo, per le note vicende comunali, ma fu occasionale, “passeggiata guidata”, l’hanno definita. Si pensa a maggio di ripetere il cammino: in ogni caso, dietro prenotazione telefonica alla direzione della chiesa, retta come il Museo Belliniano dall’attenta cura del dottor Silvano Marino, che è tra i (pochi) funzionari comunali appassionato alle patrie storie, i gruppi possono accedere al tetto ed al panorama: c’è, come un decennio fa, da firmare una manleva per cui, considerate la fatica e i rischi, il Comune si sgrava delle responsabilità per eventuali malori cardiaci di coloro che salgono, e i bimbi sotto i 12 anni devono essere accompagnati dai genitori. Ciò posto, a tali condizioni, salire in uno dei luoghi più belli, e misconosciuti dagli stessi catanesi, si può e si deve.
Pare che l’Associazione che cura le visite guidate all’ex monastero benedettino, come è noto sede dagli anni ’90 delle Facoltà umanistiche dell’Università etnea che ne acquisì la proprietà e lo restaurò con l’ìntervento di Giancarlo De Carlo durante la presidenza di quell’illustre storico che è Giuseppe Giarrizzo, ovvero Officine Culturali, sia interessata ad assumerne la gestione e quindi permettere l’accesso non occasionale ma organizzato. Il che crediamo sia positivo: a patto che, in tempi di difficoltà economiche per tutti, siano salvaguardati quelli che un tempo in linguaggio sindacale (ma quando i sindacati erano una cosa seria, con Di Vittorio, Giulio Pastore e Lama, non certo oggi!) erano detti i diritti acquisiti. In altre parole, come succede per un bene principalmente di proprietà dei Catanesi (e proprio perchè molti di loro non lo conoscono sarebbe il caso di fare tale deroga, se si vuole aggiungendo la cittadinanza di Palermo, al cui nucleo cassinese di San Martino delle Scale erano collegati i monaci, veri autori e proprietari, ieri come oggi, di cotale bellezza…), escludere dal pagamento di un eventuale biglietto -oggi l’ingresso gestito dal Comune è gratuito- i catanesi in quanto residenti e de facto “custodi” di questo bene dell’Umanità come il tempio di San Nicolò la Rena, che è di proprietà del Comune, come la splendida Biblioteca Civica: e aggiungere all’esenzione, come avviene già per i monumenti e luoghi gestiti dalla Regione Siciliana in virtù di apposita circolare assessoriale del 2000 nonchè della disposizione dirigenziale del 2008 che adegua alle normative nazionali, ribadita nel 2012, i rappresentanti della stampa.cataniaSono piccoli segnali, ma se l’amministrazione comunale di Catania, come può anche essere utile, da in gestione un bene pubblico ad una associazione privata che ha già delle benemerenze, è a parer nostro obbligato a delle garanzie verso i cittadini in primis e le altre categorie a seguire. Del resto anche l’attraversamento dello stretto di Messina prevede un consistente “sconto” nel biglietto per i messinesi ed i reggini, nè potrebbe essere diversamente: considerata però la difficoltà di accesso al tetto della chiesa dell’ex monastero qui è il caso di esentare dal pagamento di un eventuale biglietto i volenterosi catanesi residenti che hanno l’ardire di salir su (le persone anziane sono per ovvie ragioni escluse), qualora si decidesse di fare gestire codesto bene a dei privati, come si ipotizza. Oppure si mantenga da parte del Comune l’ingresso gratuito ma si apportino importanti migliorie.
Infatti per quanto bellissima la vista, essendo nel vero cuore della città etnea, dell’ “Etna e il mare, i miei due grandi amici”, come scriveva Mario Rapisardi in un suo celebre verso, dal tetto della chiesa, necessario anzi indispensabile appare migliorare l’illuminazione delle due trombe di scale di accesso e di discesa (perchè da una scala a chiocciola gemella si discende dopo aver attraversato il tetto): gli scalini già di per sè ripidi sono molto, molto malamente illuminati da brutti e bassi faretti risalenti approssimativamente agli anni ’80 (glissiamo sui fili elettrici a vista, oggi fuori norma), e il passamano a cui è indispensabile appoggiarsi per inerpicarsi, è assente in prossimità delle frequenti finestre d’aria che sono nel percorso, con il rischio, in offuscamento della vista dallo sfolgorante sole verso il tragitto di ritorno, di cadute pericolose (dalle cui responsabilità però, come dicemmo prima per il documento che si firma previa salita, il Comune è escluso). Se si adottano tali migliorie con una illuminazione molto adeguata, oggi possibile a costi bassi, e si completa il passamano nei tratti dove manca (nelle finestre areatorie della scala esso è pericolosamente assente…), sia la salita che la discesa verso il pinnacolo di quel tempio impressionante per la sua maestosità incompiuta, saranno sicure e affidabili come adesso sono in parte. E se negli anni passati si poteva passar sopra a certe carenze, adesso non si può più, nè si devono tacere.
Quanto era Abate del monastero benedettino, ricchissimo e possente, quel sant’uomo che fu Giuseppe Benedetto Dusmet, poi Beato e detto “padre dei Poveri”, Arcivescovo di Catania lui panormita, da ultima autorità religiosa lasciò il complesso alle subentranti italiane, nel 1867: aveva già veduto la rossa camicia di Giuseppe Garibaldi entrarvi, nel 1862, al grido di “Roma o morte!”… ; il barbuto condottiero, salito sulla cupola di Ittar e fin sul lucernario di essa, quella cupola che il nostro poeta Domenico Tempio dice essere “na magna cubùla, na cassàta” che non ha eguali, aspettava le navi per traghettare in continente, e dal punto più alto del tempio le accolse “con lo sguardo appassionato di un amante”, scrive nelle sue memorie. Il cuore del mangiapreti era appagato, proprio in cima ad un monastero di Santa Chiesa… ma Garibaldi non era ateo, questo sia chiaro: fu il “caudillo”, si può dire il fondatore moderno, della Massoneria italiana, che notoriamente nella sua concezione filosofica, ha alla base un Essere Supremo. E però, il tetto della chiesa e la cupola di “Santa Nicola”, come dicono i catanesi, stregò anche lui.
Sia posto a disposizione della repubblica letteraria e del popolo, codesto bene: con giudizio, e non “a còmu finìsci si cunta”, per dirla nella nostra bella lingua siciliana.


(Articolo pubblicato sul quotidiano online LinkSicilia: http://www.linksicilia.it/2014/04/catania-riaperto-il-tetto-dellex-monastero-di-san-nicola/)

giovedì 10 aprile 2014

Prima visita in Sicilia, a Catania, per l'Ambasciatore USA in Italia John Phillips



Catania, l’Ambasciatore USA si veste da ‘turista’ e visita i Benedettini


 09 apr 2014   Scritto da Francesco Giordano                     



IN SICILIA PER PRESENTARE UN PROGRAMMA DI STUDIO OFFERTO AI GIOVANI

Di Francesco Giordano
“Sono contento di essere per la prima volta a Catania, sono veramente impressionato dalla bellezza e cultura di questa città, spero di tornare presto qui e in Sicilia, che è molto amica e ospitale verso il popolo americano”. Così l’Ambasciatore degli USA in Italia, l’avvocato John R. Phillips, in visita ufficiale ieri a Catania, seconda tappa in terra di Sicilia del nuovo rappresentante della repubblica stellata, nominato dal Presidente Obama nel 2013. L’altro ieri Phillips era stato a Palermo, accolto dal vice Sindaco e dal Sindaco Orlando in videoconferenza.AMBASCIATORE
Felice di accogliere l’ospite, nel pomeriggio primaverile dell’otto aprile, il Sindaco etneo Enzo Bianco, che dopo un breve e intenso colloquio ha presentato alla stampa ivi convenuta (pochi ma significativi i colleghi, invero: peccato perchè l’uomo meritava e l’occasione era non frequente) l’ospite, accompagnato dal Console USA di Napoli (rappresentanza che ha inglobato le funzioni del consolato in Sicilia, soppresso), Colombia Barrosse, la quale più volte ha visitato la Sicilia.
“La Sicilia e in particolare Catania hanno un rapporto antico e intenso con gli americani: grazie agli alleati angloamericani la Sicilia fu liberata dal fascismo. Inoltre abbiamo comuni legami e ospitiamo una importante base militare, quella di Sigonella”, ha detto Enzo Bianco, specificando alla stampa a margine dell’incontro, che non si è assolutamente parlato della questione MUOS con l’Ambasciatore Phillips, poichè non in agenda.
E’ stato annunciato che in base a un preciso programma, diciassette scuole in Sicilia, di cui otto nella parte orientale, usufruiranno di una particolare borsa di studio messa a disposizione dal Governo americano per la reciproca conoscenza; sono poi stati affrontati temi concernenti il commercio e l’incremento delle relazioni sociali tra i due popoli.
“A nome del Presidente Obama ringrazio il popolo italiano per l’affettuosa accoglienza e sono grato della calorosa ospitalità in Sicilia”, ha concluso la dichiarazione l’Ambasciatore Phillips il quale, nonostante conosca la lingua italiana perchè discendente di emigrati dal Friuli (il vero cognome, Filippi, fu americanizzato), ha scelto come è giusto di esprimersi nella lingua inglese.
Alto, simpatico, occhi azzurri, un settantunenne di successo, si può dire l’avvocato Phillips, la cui moglie Linda Douglass è una celebre giornalista e già consulente di Hillary Clinton e poi responsabile della campagna elettorale di Obama. Phillips è famoso negli USA per aver vinto cause di oltre 10 miliardi di dollari con le case farmaceutiche americane a favore del Governo federale, e per la sua attività a pro della popolazione più bisognosa, che ha conosciuto di persona da sempre e soprattutto durante le ultime presidenziali. Un uomo di livello e umile, come si addice a chi deve impersonare l’american dream. benedettini
Nota di colore: nella mattinata l’Ambasciatore e alcuni amici, in assoluta riservatezza e con una automobile messa a disposizione dalla compagna del Sindaco Bianco, vestiti come qualunque turista, hanno fatto visita all’ex Monastero dei Benedettini, arca suprema del potere monastico e politico nei secoli dei Vicerè a Catania, oggi sede delle Facoltà universitarie, e poi si dilettarono negli acquisti di ceramiche. E dato che Enzo Bianco è stato anche Ministro degli Interni del governo nazionale, nonchè notorio amico degli USA (al bavero della giacca ha sfoggiato il “great seal” sigillo dello stato federale), questa prima visita dell’Ambasciatore americano in Sicilia, a Catania, ha la sua importanza più che simbolica. Perchè i simboli contano ancora, a dispetto di chi inopinatamente li dimentica.

(Articolo pubblicato sul quotidiano online LinkSicilia: http://www.linksicilia.it/2014/04/catania-lambasciatore-usa-si-veste-da-turista-e-visita-i-benedettini/)


Il video della visita dell'Ambasciatore al Municipio di Catania, a cura di Sicilia Liberata, è su Youtube a questo link: https://www.youtube.com/watch?v=Gx7tgXpesKI
 

domenica 23 febbraio 2014

Sentenza Lombardo: la gente di Sicilia destinata a morte lenta?


Sentenza Lombardo: la gente di Sicilia destinata a morte lenta?



 22 feb 2014   Scritto da Francesco Giordano           



SI ACCENDE IL DIBATTITO DOPO LA CONDANNA DELL’EX PRESIDENTE DELLA REGIONE SICILIANA, RAFFAELE LOMBARDO. LA PAROLA A…FRANCESCO GIORDANO (in allegato altri punti di vista sul caso)

La sentenza di primo grado, che ha condannato per il reato di concorso esterno in associazione di tipo mafioso, l‘ex Presidente della Regione Siciliana Raffaele Lombardo, non è solo una infamità grande per il presunto colpevole, a cui auguriamo di cuore nei seguenti gradi di giudizio, in base alla vigente presunzione d’innocenza, di discolparsi in pieno dalle accuse che gli vengono rivolte, ma anche per l’ìntero popolo della Sicilia.
Possiamo dirlo con cognizione di causa, essendo stati personalmente, negli anni del ‘lombardismo’, vergin di servo encomio e di codardo oltraggio, per parafrasare il Manzoni. Anzi, sono ancora online alcuni nostri articoli di quegli anni, in particolare uno del 2010, dove affermavamo, pur non avendolo votato alla suprema carica regionale (considerate le nostre assenze da’ ludi cartacei nell’ultimo decennio), che egli nel piano di governo dell’isola era a un bivio, potendo scegliere se essere ‘Ntoni Malavoglia o Timoleonte, ovvero un vinto verghianamente, o un vincitore nella migliore tradizione della Sicilia ellenistica.
La sua scelta è stata, in virtù forse di tradizioni ataviche, quella del personaggio del celebre romanzo del conterraneo, non già emulare le gesta dello straniero corinzio che, pur accusato in Patria sua di omicidio, si diede in Sicilia nel IV secolo alla “elefterìa” (libertà) delle città oppresse da tirannide, ritirandosi poi cieco e vecchio in Siracusa ed egli medesimo rifiutando la suprema magistratura, ritenendo di aver compiuto il dovere catartico per cui era stato chiamato dalle pòlis siceliote. Raffaele Lombardo politico (sulla caratura dell’uomo non è qui il caso di indulgere, sebbene riteniamo che abbia indubbie qualità), ha intrapreso la propria via.
Crediamo nondimeno che non vi sia nesso di conseguenzialità fra essa, le dimissioni del 2012 e l’attuale condanna, pronunziata “in nome del popolo italiano” (a noi sicilianisti sentire codesta frase da un magistrato fa un po’ effetto, ma è sensazione personale; pur siamo consapevoli e certo partecipi, specie quando ci troviamo all’estero, della comune fratellanza italica… che a volte, malauguratamente, è un fattore estrinseco tuttavia, e fors’anche psicologico), dal GUP, nel procedimento con rito abbreviato. Nè ci pare necessario disquisire sulla definizione di “associazione a delinquere di stampo mafioso”, su cui da lustri han martellato e le immagini e le cronache e i films d’ogni genere, per non dire dei fatti di sangue.
Qualche parola invece sul reato di concorso esterno: nel marzo 2012, cassando la sentenza di condanna a sette anni per il medesimo capo d’imputazione all’ex senatore Marcello Dell’Utri, il Sostituto Procuratore Generale della Cassazione, Francesco Iacoviello, affermava: “Il concorso esterno è un reato autonomo creato dalla giurisprudenza. Che prima lo ha creato, usato, dilatato. E ora lo sta progressivamente restringendo…non ci si crede più”. E’ infatti noto come tale fattispecie di reato non figuri nei codici ma nasca, in seguito all’articolo 416 bis della legge Rognoni La Torre del 1982, unitamente all’articolo 110 c.p.p., al fine di voler colpire la contiguità morale e pur esterna, della persona che in qualche modo favorisce gli interessi del’organizzazione criminale, pur non facendone organicamente parte.
Ultimamente nel normare il reato di voto di scambio (da cui peraltro Raffaele Lombardo è stato assolto nella sentenza di primo grado di cui sopra), il ddl votato dal Senato alla fine di gennaio del corrente anno, ha in qualche modo cercato di inserire nella legislazione il concorso esterno, che appunto è una costruzione ad hoc difficile da provare e ancor più difficile da sostenere. Nel caso in questione il magistrato ha ritenuto opportuno che vi siano gli elementi per condannare il Lombardo: noi auguriamo che i successivi gradi di giudizio, ma già in sede di Appello, dimostrino l’infondatezza del supposto reato. Così come all’epoca augurammo all’ex Presidente della Regione Cuffaro. Ma il punto è proprio codesto: se una comunità di popolo, come quella siciliana, ha due ex Presidenti accusati (uno addirittura in carcere), per reati in qualche modo legati a una organizzazione criminale che non è certo una bella carta da visita per l’immagine della Sicilia nel mondo, tale comunità di popolo muore. “La morte è termine della vita, la triste fama è un morbo per sempre”, affermava il grande sofista Gorgia da Lentini (V sec. a.C.), nella “difesa di Palamede”, ingiustamente accusato da Ulisse di tradimento. Cui prodest?
Ci mancava tale sentenza, nella deriva sociopolitica del momento, per ferire in modo affatto letale la coscienza dei singoli siciliani, anche coloro che verso il “lombardismo” furono nemici feroci. Ebbe ragione Benedetto Croce quando, nell’immediatezza della fine del secondo conflitto mondiale, disse che “noi italiani abbiamo perso una guerra tutti, anche coloro che hanno combattuto contro l’oppressione degli occupanti”? Se la si vuol riferire alla Sicilia, sì, è come se ogni sentenza di tal genere faccia perdere una guerra, la “guerra” del riscatto sociale e morale della gens sicula di contro ai dubbi non già del diritto giurisprudenziale nazionale, come può essere, secondo pareri autorevolissimi, il reato sopra contestato, ma anche e forse soprattutto, per la speranza dell’onestà delle nuove generazioni -ricordiamo la frase celebre scritta dopo l’omicidio Dalla Chiesa-, perchè i ragazzi si educano non con i disvalori, ma con l’esaltazione di quanto bello buono e orgogliosamente siciliano la nostra terra possieda, hic et nunc, qui e oltre, in Patria e nel mondo. Soprattutto nel mondo, perchè se leggiamo che in Spagna c’è la fila per accedere ai ristoranti che si denominano “mafia”, ci permettiamo di ricordare che dovrebbe esserci la fila per visitare i templi di Agrigento, il teatro greco-romano di Taormina e l’anfiteatro di Catania, il barocco di Modica e di Noto, i templi di Palermo e Monreale come le specialità gastronomiche e le realtà del terziario, oramai in decadimento insieme all’agricoltura, della Sicilia.
Vivremo ancora di queste sentenze mortifere e non già del turismo, se non possiamo più produrre nulla perchè la pressione fiscale impedisce il risorgere della impresa piccola e media in Sicilia e in Italia quando molti, e giustamente, delocalizzano all’estero e non si vede speranza pe’ nostri giovani? Non è intenzione del popolo, quello che non bada a’ tribunali nè alle trame occulte delle mazzette ma pensa a lavorare e produrre per la famiglia e per la comunità, il popolo della gente “d’onore”, che tradizionalmente è la realtà dei siciliani, lasciarsi schiacciare da tali ennesime dominazioni psicosociali dell’Essere che lo mortificano. O forse dobbiamo pensare, come alcuni amici, che la Sicilia è ancora una colonia, che non “deve” essere governata, perchè così si vuole “ove si puote ciò che si vuole”? Mysterium iniquitatis…
E’ in atto un tentativo di risollevare le sorti dell’economia regionale, si chiama Grano, è una proposta di iniziativa popolare di moneta complementare, che può attraverso la presentazione a norma di Statuto, di un disegno di legge da parte della gente, dare la possibilità di lavoro a chi non l’ha, e un reddito sociale a chi non può: l’ideatore è Giuseppe Pizzino già creatore dei marchi Castello e Sicily nel tessile; il 15 marzo ci sarà la presentazione del progetto all’ARS.
E’ una moneta sociale e nazionale (nel senso di nazione siciliana), strumento inderogabile per far ripartire l’occupazione, a cui son legati i consumi e tutta la realtà economica della nostra gente. Lo capirono benissimo i Vicerè, nei secoli XV-XVIII: infatti la moneta Grano era coniata in Sicilia in quei secoli, ove l’economia prosperava. “Ultima ratio regum”, scriveva Luigi XIV nei suoi cannoni: è l’ultimo tentativo, nella Sicilia travolta dalla implosiva “controrivoluzione” di Crocetta, prima di chiudere bottega e dichiarare il Commissariamento. Il quale, allineato alla sentenza Lombardo e al disastro per cui oltre il cinquanta per cento dei siciliani è senza lavoro (nel 2012 oltre il 50% non è andato a votare alle elezioni regionali… nel 2008 i tre quarti dei votanti, elessero Lombardo Presidente…), condanna un’isola meravigliosa al declino assoluto. Impietosa realtà, ma bisogna pur avere il coraggio che ebbe l’occhio fotografico di Phil Stern (di cui ricordiamo una bella mostra di scatti durante l’occupazione nel 1943 l’estate scorsa) nel delinearne i tragici chiaroscuri del bianconero.
Perchè qui i colori sono scomparsi, tristamente.
Rimane soltanto la “storia di li dui sùggi” (che liberamente trasponiamo, dal Pitrè): “un sùggi dissi a n’autru: ci veni a mangiari nni me ziu? Annàmu…. e trasennu ntra lu purtusu tunnu, lu primu chi dicia, si truvau ntra li granfi di na gatta. Accuminzau a fari: ziu, ziu, e l’amicu sò: minchiuni, e su tto ziu fa ccussì ccu tia, vidi chi mi succeri, e vutò tunnu d’unni avia vinutu”. Parabola significa…



(Articolo pubblicato sul quotidiano online LinkSicilia: http://www.linksicilia.it/2014/02/sentenza-lombardo-la-gente-di-sicilia-destinata-a-morte-lenta/)