mercoledì 17 gennaio 2018

La prima della Rondine al Bellini di Catania alla presenza del Presidente della Repubblica


AL BELLINI DI CATANIA CON “LA RONDINE” ALLA PRESENZA DEL PRESIDENTE MATTARELLA


Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha assistito martedì 16 gennaio, a Catania, a ‘La rondine’ di Giacomo Puccini, che ha aperto la stagione lirica del Teatro Bellini di Catania. 

La Rondine pucciniana a Catania vola alto solo per uditi raffinati: questo il sunto dell’apertura della stagione 2018 del teatro Bellini di Catania, scenario che si prospettò fastoso per la presenza, prima volta nella storia del tempio della lirica catanese, del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella (che in precedenza visitò il quartiere periferico di Lebrino) accompagnato dal nuovo Presidente della Regione Nello Musumeci e dal Sindaco etneo Enzo Bianco, nonché dagli immancabili corazzieri e da un foltissimo apparato di sicurezza, che ha ampiamente fatto anticipare l’ingresso degli spettatori,  passati da due improvvisati “metal detector”. Pubblico delle grandi occasioni con donne insolitamente ingiojellate e a volte eccessivamente cariche di velluti, ma non folta presenza (già il terzo settore era semivuoto e in platea diverse file rimasero tristamente sguarnite), per il fatto che l’opera pucciniana, seppure magnificata dal direttore-regista ospite Gianluigi Gelmetti, non ha smosso più di tanto il tradizionalissimo pubblico dei melomani catanesi.

Eppure la trama (ad avviso  non tanto nostro, ma di eccellenti musicologi che interrogammo) spacciata per “protofemminista” quando in realtà è la storia di una cortigiana la quale, incontrando il vero amore ma squattrinato, si rende conto, laddove deve decidere fra il cuore e i piaceri del denaro e dei divertimenti, che questi ultimi le sono più congeniali  e non esita a mollare il giovinotto, per tornare dall’amante ricco che la mantiene, è quanto di più attuale e degna della storia del mondo, dalle piramidi al terzo millennio, si possa imaginare. E se alcuno ha descritto Puccini come “maschilista”, gli è che il musicista toscano ben conobbe l’animo femminile: nel periodo di composizione della Rondine (1913-16) egli amoreggiava con la sposata baronessa Josephine Von Stengel di Monaco di Baviera. La Rondine doveva essere l’opera che celebrava la triplice alleanza ma, col sopravvenuto mutamento politico e la guerra al secolare nemico austroungarico nel maggio 1915, Puccini (devotissimo a Casa Savoia: grazie ad una borsa di studio della Regina Margherita egli potè andare in Conservatorio a Milano, poiché orfano di padre: si vantava dei titoli sabaudi, essendo Grande Ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia) dovette modificare l’impianto primevo, affidando il libretto al commediografo Giuseppe Adami, che tessè una trama convenzionale. Andata in scena nel marzo 1917 al teatro di Montecarlo, diretta da Marinuzzi e con il grande Tito Schipa nella parte di Ruggero, La Rondine fu poi subito rimaneggiata da Puccini: la partitura originale pare sia perduta e l’opera si rappresenta periodicamente, poiché certo non ai livelli di Turandot, Boheme, Tosca, Madama Butterfly, per cui il gran pubblico stravede.

Questa Rondine catanese  ebbe tuttavia una laudevole Magda nel soprano Patrizia Ciofi, voce senza sbavature ed all’altezza del ruolo, anche se a volte sembrò bassa nei toni, considerando la la dimensione dello spartito; il tenore Giuseppe Filianoti, calabrese e gloria del sud nei teatri mondiali, fu un perfetto Ruggero, che alle sapienti tonalità vocali esperite soprattutto nel secondo e nel terzo atto, donò una presenza scenica attoriale di tutto rispetto, che ne confermano le doti di notevolissimo interprete per il suo eclettico repertorio; buone anche le prestazioni vocali del baritono Marco Frusoni(Rambaldo) e del soprano Angela Nisi (Lisette), mentre senza infamia e senza lode fu l’orchestra, che sovente risultò troppo amplificata e ciò era chiarissimo in platea ed in taluni passaggi del terzo atto.   Inutili anche certe sottolineature registiche di carattere erotico alla fine del primo e all’inizio del terzo atto, come se fossero necessarie a precisare una storia che di sensuale ha tutto dall’inizio alla fine, pur senza dirlo: e quando Magda, sin dall’inizio, parla di sentimento, “fanciulla, è sbocciato l’amore, difendi difendi il tuo cuore, dei baci e sorrisi l’incanto, si paga con stille di pianto”, è come un sommario del tragico destino predettole dal poeta Prunier dietro il sipario: “Forse, come la rondine migrerete oltre il mare, verso un chiaro paese di sogno…”, che sarà la scoperta del vero amore con Ruggero. Il quale però ingenuamente crede sia eterno, scrive alla madre, le dice “per sempre” sin da subito: la furba Magda, che rammentava le parole dell’amante che la manteneva a Parigi (ove gran parte della scena si svolge, nei locali peccaminosi della Parigi del secondo Ottocento), all’atto di lasciarlo, “possiate non pentirvene”, ci ripensa poi quando il poeta-ruffiano inviato da Rambaldo nel nido dei due amanti, le ricorda che l’ex è pronto a riprenderla e a coprire la situazione debitoria che ella con Ruggero aveva creato, per una sorta di abbandono estatico ai sentimenti ed ai sensi: insomma, due cuori e una capanna, è una illusione ieri come oggi.
Sembra di sentir dire Magda: “mi porti a vivere nelle macerie?”; indi lascia senza pietà l’infelicissimo Ruggero, che invano la implora: però gli ammanta il gesto con un modo bonario, come se ciò fosse per il suo bene mentre ella, “riprendo il mio volo e la mia pena”, sa di tornare ad una vita dissoluta ma non le rincresce, se non per aver perduto l’unico bene che potevasi avere nella breve umana vita, l’Amore puro.    Come tante, Magda ha indossato la maschera dell’ipocrisia, rifiutando il cuore, per interesse.  Una storia eterna, che però probabilmente l’ultimo Puccini, immerso in problemi che ormai lo sormontavano, non poté definire nei precisi contorni, che comunque conserva immutato fascino,  per uditori finissimi e affermante crude verità: non meravigliano pertanto gli applausi sentiti sì, ma tiepidi alla fine dell’opera che non si prolungarono neppure alla chiusura del sipario.

Nota di colore: molti aspettavano che, quale supremo rappresentante delle istituzioni, il Presidente Mattarella, nelle pause, salisse al foyer (ove la statua del povero Bellini è stata ostruita da osceni cartoni pubblicitari di località siciliane, sempre per motivi di sicurezza ma senza rispettare chi è  “padrone di casa”) per salutare i convenuti. Il Presidente e l’entourage con Musumeci e Bianco, hanno invece scelto di rimanere chiusi nel “cerchio magico” della strabordante sicurezza, senza miscelarsi con la gente, che non era il popolo minuto. Scelte inevitabili? Sarà, ma non si può evitare di pensare che se i massimi rappresentanti di una democrazia parlamentare si chiudono a riccio in momenti in cui portrebbero manifestare la loro socievolezza, specie dopo che tutti i presenti intonammo cum laude l’Inno di Mameli, i tempi sono veramente tristi. Figurarsi le scelte del cuore, come la Rondine pucciniana che volò via verso il proprio destino oscuro.
“Il nostro amore troverà in quell’ombra, la sua luce più pura e più serena”, canta Ruggero a Magda nel terzo atto (con chiaro riferimento latomistico: Puccini, come Mascagni e Toscanini e Alfano e Schipa e tanti altri, era frammassone): quell’amore sperato tramutòssi invece in materia , ove il metallo l’ebbe vinta sul cuore, a dimostrazione che (per certe donne come per certi uomini) l’Ideale è ben lungi dalla realtà spietata e, spesso, ferocemente grigia.  Però senza ideale non esiste senso alla vita, e come nella romanza di Tosti, “torna caro ideal, torna un istante a sorridermi ancora”, l’essere umano magicamente per virtù d’Amore, dalle proprie ceneri rinasce.

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