Considerazioni sulla Festa di Sant'Agata 2012: via di San Giuliano rifatta ed inutilizzabile... e se non fosse stato per il tesoro...
Da tanti anni non assistiamo alla tradizionale salita di San Giuliano del fercolo di Sant'Agata. Anticamente era svolta, " a 'cchianàta", come è denominata dai catanesi autentici, in orari rispettabili: un tempo... Adesso ciò che è accaduto desta un senso di tristezza ma anche induce ad inevitabili riflessioni.
Se da un lato chi, Sindaco e Prete (in questo caso Mons.Barbaro Scionti, dal pulpito del Duomo), hanno apostrofato alcuni devoti contrari alla decisione del capovara di non effettuare, stante la pericolosità della pioggia, la salita e proseguire per la cattedrale il mattino del 6, coi termini "violenti", "vergognosi" e "delinquenti da perseguire penalmente", dall'altro -per ammissione in intervista televisiva dello stesso capovara Baturi (succeduto ad Alfio Rao -si dice che la famiglia Rao sia 'discendente' da Sant'Agata... il cui cognome era appunto Rao...)- si apprende che il meccanismo che trasporta il fercolo "risale agli anni Trenta"... e non si comprende per quale cagione non sia stato quantomeno modernizzato...inoltre tutti sanno che, dopo l'improvvisa (a noi automobilisti e pedoni catanesi ben nota da almeno due anni) scoperta dello slittamento delle ruote nelle basole di via di San Giuliano tratto da via Manzoni a via dei Crociferi, queste sono state smontate, picchetate e rimontate e lestamente riconsegnate con strombazzamento dei politici il 2 febbraio, in tempo per la salita... che non c'è stata!
Colpa della pioggia... diranno i benpensanti... Ma allora, tanto urlare sul "grattamento" universitario (sì, perché si è scomodato persino un dipartimento universitario e l'assessore al ramo, che è un professore, lo ha ben detto ai tg locali... i quali beninteso adesso si guardano dal ricordare ciò, proni al potere...) del basolato lavico quattro giorni prima perfettamente rifatto, non servì a nulla, ergo già si sapeva che la salita non poteva essere effettuata. O no? Oppure ci si vuol far credere che la pioggia e della cera sparsa dovunque sono le motivazioni autentiche?
Insomma, meno male che il meccanico il quale ha rimediato solo dei graffi durante i tumulti, ha potuto così cavarsela. Ma saranno stati degli scalmanati coloro che hanno protestato: stupidi però no, e neppure noi che possiamo a mente fredda obiettivamente analizzare la vicenda. La festa, come si sa, è "autogestita", diciamo con un eufemismo. Non esiste (ed alcuni cittadini pochi giorni fa lo hanno denunziato) un regolamento comunale che ne disciplini le normative: ciò è una vera vergogna. Le forze dell'ordine sono state presenti (eravamo in giro), ma più per forma che nella sostanza.
Le povere monache benedettine, come anni fa quando la via dei Crociferi è stata architettonicamente massacrata da quei restauri obbrobbriosi che adesso ne deturpano il senso architettonico (chi sta ai piedi di via Alessi non vede più il prospetto del tempio di San Benedetto...), sono rimaste prive di intonare il canto che all'epoca il Maestro Tarallo scrisse per la vergine invitta. Ma sappiamo bene che le Sorelle hanno lo stesso pregato con fervore.
Poi in Chiesa, mentre il busto era ancora nelle mani dei devoti (che volenti o nolenti sono il popolo, tutto il popolo, specie gli ultimi, quelli che Agata la pura, la vergine, ama più di tutti...) col sacco e senza sacco, la reprimenda dell'eccellentissimo Monsignore.
Legittimo, è a casa sua.
Ma l'affare poteva essere risolto in modo diverso, più democratico, più popolare: più cristiano. Bastava scendere Sant'Agata, il busto reliquiario solamente, dal fercolo e portarlo a spalla, come accade il 17 agosto, nella salita, poi girare per via Crociferi, fermarsi dalle Suore Benedettine, e proseguire, sempre a spalla, verso il Duomo. Ma... c'è il tesoro, sul busto di Agata. Il tesoro, il tesoro!!! Par di sentire l'eduardiana Filumena Marturano: "i denàra, a chisto pienze tu, a i denàra"... Ecco il vero motivo delle discordie, della fiera volontà del capovara, dei sottaciuti silenzi dei politici e dei prelati.
Qualcuno potrà dire malignamente che se il popolo dei devoti, a forza, mettendo da parte il capovara ed i suoi, avesse sceso il busto di Agata (che nel volto è la Regina Eleonora d'Angiò, ci ha insegnato il compianto padre Santo) e lo avesse portato a braccio nella salita, alla fine del percorso l'oro sarebbe stato forse di meno... ma chi lo sa?
Nel XIX secolo ci fu chi dentro il Duomo rubò il tesoro di Sant'Agata, per questo motivo vi sono da allora le artistiche cancellate in ferro. Il tesoro è del popolo o della Chiesa? C'è un film famoso, "Operazione San Gennaro" del 1966, in cui un gruppo di malviventi dal cuore d'oro ruba il tesoro (in verità mai trafugato) del Santo partenopeo, durante il festival della Canzone Napoletana (e mentre Sergio Bruni, la Voce di Napoli, intona "Bella"...), per restituirlo poi... alla Chiesa, quindi al popolo! E' il serpente che si morde la coda.
Ma sono anche gli uomini, la forza dei grandi uomini che manca in questo momento a Catania ed in generale. Ci fosse stato sulla vara Padre Santo D'Arrigo o Padre Pignataro o Monsignor Nicolò Ciancio, le cose si sarebbero svolte secondo la tradizione, ed anche se Sant'Agata fosse stata scesa e portata a spalla dai fedeli, nessuno (perché quei sacerdoti conoscevano tutti i "carùsi" uno ad uno, e li facevano filare con lo sguardo) si sarebbe azzardato a toccare anche un solo filo dello strabordante tesoro che il simulacro della insigne giovinetta ha indosso, compresa la croce di cavaliere della Legion d'Onore di Bellini, che la famiglia all'epoca donò.
I politici fanno, e continueranno a fare, il loro sporco gioco. La Chiesa senza uomini di polso e valore ed anch'essa purtroppo in balìa degli eventi, non ha saputo ben gestire il momento. C'è una immensa crisi etica, continuano a ripetere il Santo Padre e da noi il Cardinale Bertone, il quale però ha espresso fiducia nei giovani. Delusi dalla mancata salita, ma non solo da quella. La salita è un simbolo di ciò che non c'è più, la serietà (si pensi appunto alla strada appena ricostruita, ed assurdamente... impraticabile!). Grumi di energìe pericolosamente tumultuanti, col movimento di protesta dei giorni scorsi, che si sommano e si accavallano e si frammischiano. Attenzione a non usare, da parte delle autorità dello Stato (ma dov'è, in queste occasioni, lo Stato...? C'è, e lo sappiamo bene quando...) troppo la mano pesante per delle sciocchezze che possono innescare, più di quanto il moto non sia già in atto, la violenza nella rivoluzione che deve essere pacifica. La Sicilia è la terra del Vespro.
Ed a Palermo (supposta patria di Sant'Agata, secondo alcuni) come a Catania, non si scherza nell'usare i coltelli. Ieri come oggi. Perciò che la Santa Patrona "insegni la violenza", no, non è così neppure eufemisticamente, caro Monsignore. La violenza nasce quando un popolo, gli ultimi del popolo, vengono loro sì violentati da chi è forte con i deboli e debole con i forti; da chi spadroneggia nella politica, approfitta e poi abbandona non mantenendo le promesse giurate e spergiurate.
Per fortuna c'è Sant'Agata, che sa vendicare le offese. NOPAQUIE, tale è il significato. Ne sa qualcosa Federico II, il grande imperatore, che diciotto anni dopo aver evitato di sterminare i catanesi perché a lui ribelli, atrocemente moriva: quella scritta, non è un caso, gliela fece notare sul breviario, un monaco benedettino. E' un monito da non dimenticare mai, specie ultimamente. Sant'Agata sa e vede, e protegge il suo popolo, stanco da troppe ipocrisìe e bugìe che da tante parti si spargono. "Per noi prega, prega di lassù", cantiamo con le parole del notissimo inno, versi di quel fine poeta che fu Padre Corsaro: il noi è "pro multis effundetur", non per tutti; è il "noi" degli ultimi di Gesù, che si sedeva con pubblicani e prostitute, ed ai potenti diceva solo di dare il denaro ai poveri, e dopo sperare nell'Eternità.
Sant'Agata come è stata in quasi due millenni, è e sarà il simbolo del riscatto del popolo di Catania e della Sicilia intera, oltre le polemiche, le (inutili e dannose oltreché pericolose) contrapposizioni risolte col buon senso, nella visione della unità e non della disgregazione delle genti.
(F.Gio)
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