martedì 1 giugno 2010

Urgono provvedimenti di rigore

Necessario pedonalizzare piazza Dante

L’invasione delle automobili attorno alla chiesa ed all’ex monastero benedettino ha raggiunto proporzioni inaccettabili - Il Sindaco decida di restituire tale storico luogo ai cittadini -

Circa due anni e mezzo or sono, denominammo "invasione degli ultracorpi" un nostro intervento, da queste pagine, su la situazione disastrosa in cui versa la piazza Dante, nel cuore del centro storico (quello autentico, non i luoghi spacciati per tali dai disinformati) di Catania: dirimpetto all’ex monastero dei Benedettini, oggi facoltà universitaria, fronteggiante l’ex collegio delle Verginelle, anch’esso sede della facoltà di Magistero, compresa la parte detta ‘a ferro di cavallo’, insigne creazione dell’architetto settecentesco Battaglia, la quale degnamente quasi abbraccia il vastissimo tempio di San Nicolò la Rena, regale sede del complesso monastico secondo per ampiezza in Europa, la cui ubertosità e vastità fece echeggiare di stupore ogni visitatore il quale, in tempi di civiltà, era felice di visitarlo. In tempi civili, appunto. Si immagini un Goethe od anche i due astronomi Walthershausen e Peters, autori della bella (e novellamente semidistrutta… dall’incuria del Genio Civile che, per cause ignote ma evidentemente imputabili all’Assessorato competente del Comune, dopo quasi vent’anni non ha nessuna intenzione di completare i lavori interni di restauro della chiesa, dal terremoto del dicembre 1990…) meridiana solare che è sul pavimento dell’anzidetto tempio, attraversare oggi il piano di San Nicola, o piazza Dante: atterriti e spaventatissimi costoro preferirebbero tornare nell’etereo mondo del nord, piuttosto che piombare nella bolgia affricana (col massimo rispetto per i popoli della terra d’Affrica, sia chiaro) delle automobili transitanti ed invadenti ogni spazio della platea settecentesca, dagli stàlli adibiti dal Comune, mercé la società Sostare (la quale, per chi non lo sapesse, è per il 51% di proprietà pubblica comunale), ad ogni spazio libero della parte sud, compresi i passaggi riserbati ai pedoni.
L’amministrazione comunale del Sindaco Stancanelli ha fortemente voluto, ed ottenuto dopo qualche mugugno, la chiusura al traffico della piccola parte del centro prospiciente al Teatro Bellini, còlle vie adiacenti: un risultato del quale, alla prova dei fatti, come da qui anche abbiamo scritto, emerge tutta la positività. Or sarebbe bene che i medesimi reggitori dell’azienda Comune, sempre ligia a tartassare il cittadino e vessarlo di pagamenti e richieste di denaro in multiformi modi, si adoprassero al fine di considerare, nella visione globale di città aperta sempre più alle manifestazioni cosiddette culturali (delle quali gli spazi dell’ex monastero, mercé la collaborazione della Facoltà di Lettere, son mèta frequentissima negli ultimi tempi, anche nei fine settimana), constatata la riescita delle chiusure al traffico veicolare delle altre parti del centro, quale fattiva idea la chiusura alle automobili, esclusi naturalmente i residenti in zona, della suddetta piazza. Le motivazioni sarebbero molte, e motivate: peraltro piazza Dante rientra nel quadro di luogo di ritrovo segnalato dalla Protezione civile, in caso di calamità naturali: ed i collegamenti viari con la parte sud della città, da San Cristoforo in poi, potrebbero essere meglio gestiti e verificati, anche dalle forze dell’ordine. Sarà evidente il fatto che i numerosi studenti i quali ogni giorno, da vari punti, discendono in città per accedere alle aule ed assistere alle lezioni, come i docenti ed il personale addetto ivi operante, risulteranno i primi nella lista dei protestatari a tale provvedimento, inveterata com’è l’abitudine locale a considerare l’automobile, come il veicolo a due ruote, quasi una protesi od appendice del proprio corpo. Lasceranno l’auto in luoghi poco distanti: non mancano, se non l’intenzione di fare a piedi dei passi in più. E tuttavia, come nelle occasioni predette, se ne ha la volontà il Sindaco Stancanelli può imporsi in tal senso, per dimostrare quale considerazione egli abbia degli abitanti del quartiere che gravita intorno all’ex monastero, rione appellato un tempo appunto "dei benedettini". La cui potenza era tale che dopo il tremendo terremoto del 1693, al fine di instaurare un più celere collegamento con gli altri monasteri della via Crociferi, per il percorso della processione del Santo Chiodo, dopo Sant’Agata la festa più bella e partecipata della Catania sino al XIX secolo, finanziarono l’apertura della via di fronte la chiesa, digradante dolcemente verso San Giuliano, la quale si appella de’ Gesuiti: codesta segnalazione sia per dare l’idea di un intiero rione che andrebbe massimamente valorizzato nel suo valore architettonico e monumentale (vi fu il tentativo, ma senza successo, pure con buone intenzioni, di Antonio Fiumefreddo Assessore alla Cultura nei primi del XXI secolo, con l’idea forse un tantino astratta ma di gradevole inizio, del ‘parco archeologico’), sia per rimpianto spirituale e nostalgico di epoche nelle quali, lunge dall’invadente frastuono delle automobili e dalle loro funeste, inquinanti, terrifiche conseguenze per gli edifizi settecenteschi (ove i responsabili della salubrità dell’aria volessero verificare lo stato dell’inquinamento atmosferico apportato dai veicoli a motore che quotidianamente in volume immenso stazionano ivi, sarà sufficiente grattare qualunque facciata antistante e verificare con opportuna analisi chimica, il contenuto, quindi quel che attraverso la respirazione viene ingerito, de’ mefitici veleni delle auto…), Catania barocca era città a misura prettamente umana. Come nell’intervento nostro precedente, rammentiamo le parole di Karl Popper: "Il fatto che la gente si abitui a vedere violenza, che essa diventi il suo pane quotidiano, distrugge la civiltà".
Quella civiltà che si riscopre sopra tutto la notte, allorché cessati gli indecenti clamori del giorno, e senza badare alle false luci delle lampade elettriche, il silenzio invade il quartiere, e (fortunatamente) un bujo quasi crepuscolare avvolge la parte sud del piano di San Nicola, oramai devastato anche nel suo spazio arboreo (se è vero che il punteruolo rosso ha costretto al discerpamento delle palme, l’incuria totale di quel poco verde ivi esistente documenta lo stato di totale abbandono del sito). Allora fantàsime di monaci irritati dal notomìsmo che del loro corpo fisico, il monastero, si compie quotidianamente, vagano gementi tra i muri e nell’ombra delle vie: mentre calmo e flebile, un cocchiere a calesse frusta il cavallo che, felice, trotta facendo scoccare con ritmo eterno i suoi zoccoli sulla via Vittorio Emanuele, antica e sempiterna strada del Corso. Se ancora la fiamma della umanità resiste, lo si deve a codesta, inestirpabile magìa.

Barone di Sealand (Francesco Giordano)

(pubblicato su Sicilia Sera n° 329 del 28 maggio 2010; l'istantanea è dell'autore dell'articolo)

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