Popolo e autonomia in Sicilia, ieri e oggi: e una lezione storica da Israele...
Un articolo uscito pochi giorni fa sul quotidiano online LinkSicilia, a firma Riccardo Gueci (http://www.linksicilia.it/2014/07/in-tanti-paesi-del-mondo-si-lotta-per-lautonomia-tranne-che-in-sicilia/) mi spinge a dare quel piccolo contributo personale, in quanto studioso di Storia siciliana con all'attivo alcune pubblicazioni (l'appellativo di "storico" lasciamolo ai grandi, da Giuseppe Giarrizzo al fu Santi Correnti, nella linea di March Bloch: anche perchè "storici" si diventa almeno dopo la sessantina, e per noi c'è ancora qualche tempo...) che ritengo necessario sul presunto ruolo del popolo nell'Autonomia siciliana, ieri e oggi.
Una nota di commento dell'economista palermitano Massimo Costa riassume ciò che ogni persona mediamente colta in Sicilia sa: cioè che le cosiddette classi dominanti, che per secoli furono la nobiltà, il clero e le corporazioni cittadine, mercantili in primis (il concetto di borghesia ebbe concretezza in Sicilia nella rivoluzione del 1848-49: ancora a' tempi della Costituzione 'inglese' del 1812, un sincero democratico come Domenico Tempio poteva sbeffeggiare i novelli "putiàri spillacchiùni" assisi "sulli pisòla" nella Catania del Bentinck: e nessuno poteva accusare Tempio di essere antipopolare, anzi...), allorchè si videro costrette a scegliere fra un Sovrano straniero e uno locale, scelsero sempre quello straniero, perchè il fatto di essere distante dalla madrepatria, ne garantiva i privilegi e le tutele personali molto di più che uno autoctono o residente nell'Isola. Giustamente ci gloriamo del Vespro, che se fu mòto di popolo, venne anche perfettamente organizzato come una congiura strategica da uomini determinati (ci ha insegnato il Runciman nella sua opera fondamentale): non volevamo più l'esoso fiscalismo di Carlo d'Angiò, ma neppure l'approfittarsi di Giacomo d'Aragona delle libertà che i Re normanni avevano concesso ai siciliani: ed elegemmo sia a Palermo che a Catania un Re "nostro", Federico III, nel 1296. Egli fu davvero il simbolo, ben più degli avi, della indipendenza siciliana: tanto più che concesse al baronaggio ed alle città amplissimi poteri, come fecero i suoi successori. Ma quando nella seconda metà del XIV secolo la Sicilia, dilaniata dalle faide dei quattro Giustizieri, vide la rinnovata occupazione spagnola-catalana di Martino il giovane (1392), nonchè pochi anni dopo, nel congresso di Caspe, l'assegnazione della corona siciliana alla transeunte dinastia dei Trastamàra, "il paese era troppo esaurito per reagire, ovvero la dominazione straniera era positivamente desiderata come una liberazione dal caos" (D.Mack Smith, Storia della Sicilia medievale e moderna, ed.1971, pag.118).
Non solo: si rimase felicissimi, nei secoli successivi, di essere governati dai Vicerè: occasionalmente il popolo si ribellava ma quando erano intaccati gli interessi di una fazione, di una casta, non già per puro sentimento nazionalista o indipendentista. Era molto meglio, per il siciliano medio, essere governati da un funzionario inviato da Madrid (che all'occorrenza, come accadde, si poteva benissimo fare sloggiare appellandosi al Re in persona), che essere legati a Napoli. A Messina si batteva moneta, e nei minuscoli "pìccioli" erano presenti nel XVII secolo le iniziali degli zecchieri: privilegio che poteva avere una moneta sovrana, con l'aquila siciliana, ma emessa a nome di Sua Maestà il Re di Spagna, che era anche Sovrano in Sicilia. E nella moneta Grano dei Vicerè, in rame purissimo come i pìccioli, era scritto "ut commodius", come a dire: fate ciò che volete, il governo c'è, ma è abbastanza lontano perchè i siciliani siano liberi. "Per i siciliani, i Vespri e la chiamata degli spagnoli nel 1282 divennero il simbolo stesso delle libertà locali contro il desiderio di Napoli di dominare e sfruttare. In Sicilia c'era la tendenza a detestare e criticare qualsiasi governo, ma l'animosità era diretta molto meno contro la Spagna che contro Napoli" (Mack Smith, op.cit., pag. 152). Da ciò si può arguire perchè in Sicilia nel XIX secolo vi furono diverse rivolte "borghesi" e popolari contro i Borbone di Napoli: Ferdinando III di Sicilia e IV di Napoli, nel 1816 Ferdinando I delle Due Sicilie, aveva più volte tradito il giuramento e soppresso dopo secoli il Parlamento Siciliano, accorpando l'isola ai domìni di là del faro. Per le medesime ragioni le elìtes siciliane (Tomasi di Lampedusa e Pirandello, ne I vecchi e i giovani, ben lo scrissero), preferirono un Re "straniero" e lontano come Vittorio Emanuele II, che un sovrano oppressivo e ottuso come Ferdinando II, che per giunta non s'era fatto scrupolo di bombardare le città costiere siciliane nel 1849, Palermo e Catania in primis, mandando poi a sterminare la gente gli svizzeri del famigerato reggimento Riedmatten. Doveva cambiare tutto e nulla, con la sostituzione dello "stellone" monarchico, e pure frammassonico, italiano (qualcuno sa che il cosiddetto "palancòne", la moneta da 10 centesimi di Vittorio Emanuele II, fu coniata, oltrechè a Parigi e Brussèlle, anche a Birmingham? Eppure è così), alla bandiera gigliata. Sbagliò il governo nazionale nella soppressione degli enti ecclesiastici, "derubando" i beni della Chiesa, e mal gliene incolse: lì il popolo si ribellava, ma perchè non aveva più la garanzia del "pane" che le infinite rendite della Chiesa gestivano... non certo per indipendentismo allo stato puro, tranne alcuni intellettuali. Così il regio decreto 28 luglio 1861, che istituiva in tutto il novello Regno d'Italia il sistema metrico decimale, abolendo -dopo un periodo di transizione di due anni- in Sicilia e nel Napoletano le vecchie misure di peso lunghezza e capacità, creò non poco disappunto nei commercianti abituati a frodare e farla sempre franca, dònde le sommosse, per interessi particolari. Quindi il popolo in tutti questi contesti, non si è mai distinto dalle classi dominanti.
E' una fiaba bella e buona, artatamente letta con le lenti deformanti del veteromarxismo otto e novecentesco, che "il popolo" in Sicilia abbia o possa avere un significativo riscontro, ieri come oggi. Avvicinandoci adunque a tempi recenti, se è vero che nel 1944 il Movimento Indipendentista di Andrea Finocchiaro Aprile (e dei nobili Tasca e Carcaci, nonché dei "sostenitori occulti", fra i quali il noto Calogero Vizzini da Villalba, già Sindaco del suo paese nominato dall'AMGOT, avente vastissimo seguito: alcuni lo dissero "capo" di organizzazioni criminose, così lo definì il brillante giornalista e politico Michele Pantaleone, che noi conoscemmo: però il Vizzini, che è morto libero nel suo letto, ebbe fratelli sacerdoti e fu perseguitato dalla dittatura fascista...) ebbe migliaja di iscritti in tutti gli strati popolari e quindi un consenso grandissimo da più della metà dei siciliani che desideravano autogovernarsi in un momento di crisi terribile e non più essere vessati dopo tre anni di mefitici bombardamenti sui civili (rammentatelo sempre: questa fu la cagione della rabbia siciliana... noi ora tendiamo a dimenticare, ma i nostri genitori erano sotto le bombe per tre anni, come adesso i nostri coevi ebrei in Israele sono sotto i missili del terrorismo palestinese...), è anche altrettanto vero che il lucidissimo leader di Lercara Friddi scrisse molto chiaramente che, nel futuro assetto del mondo, la Sicilia doveva essere sì indipendente, ma legata a doppio filo ai governanti vincitori. Cioè gli USA e la Gran Bretagna. Pare che (casualmente?) sia successo proprio questo: un federalismo "concesso" dalla Monarchia il 15 maggio 1946, e l'Isola nell'orbita dell'Alleanza Atlantica. Dispiace che molti indipendentisti vecchi e nuovi lo vogliano rimuovere, ma la frase che Finocchiaro Aprile scriveva ad Eleanor Roosevelt il 15 febbario 1945 non si presta ad equivoci, ed è bene riportarla ancora: "E' nostro proposito di prendere a modello per la Sicilia l'ordinamento costituzionale degli Stati Uniti, e d'intrattenere con essi i migliori e più intimi rapporti politici ed economici. Saremmo lieti ed orgogliosi se la Sicilia potesse essere la longa manus degli Stati Uniti in Europa". E chi vuole capire, capisca...
Ultima e non meno importante precisazione: il Gueci cita "il popolo palestinese, che lotta per la sua indipendenza, con enormi sacrifici umani, contro il dominio israeliano". Purtroppo egli dimentica di rammentare -ma sta succedendo troppo spesso ultimamente, e invero ne siamo stufi- le immense e ben più gravi sofferenze che la popolazione di Israele subisce a cagione dei razzi dei terroristi di Hamas. E che sin dalla nascita nel 1948, Israele è stato attaccato e combattuto dagli arabi ed ha sempre vinto tutte le guerre per la sopravvivenza, poichè non si era mai vista la rinascita di una stirpe schiacciata per diciotto secoli, che decide finalmente di risorgere dal lungo sonno e tornare a casa, in quella Terra (Eretz Israel) che il Padre assegnò per divino diritto. La storia della nascita del moderno stato di Israele, sia contro la potenza mandataria britannica che contro gli arabi, per la sacra Libertà (Herut!, è il grido che prorompe da ogni cuore...), è un insegnamento e una lezione storica per qualunque popolo, i sicilianisti ne tengano conto. Agli scettici consigliamo, e soprattutto agli indipendentisti siciliani, la lettura delle memorie di Menachem Begin (pubblicate in Italia nel 1981 da Ciarrapico), artefice degli accordi di Camp David e Premio Nobel per la Pace nel 1978: ma anche "comandante" dell'Irgun, la formazione paramilitare che lottò aspramente per la fondazione dello Stato sionista: "Soltanto così", fu il motto dell'Irgun, una mano che regge un fucile. "Che ogni uomo giusto sondi la sua anima e risponda con giustizia, perchè in ultima istanza la speranza di ogni popolo risiede nella disponibilità dei suoi figli a mettere in gioco la propria vita "per la madre", per la Libertà che l'uomo ama, contro l'asservimento che l'uomo odia e deve odiare in nome dell'amore": così Begin scriveva nell'introduzione al libro. Non ci pare che tutto ciò si attagli al popolo, in Sicilia. Ma, come gli ebrei d'Israele che combattono per la Libertà, siamo lo stesso orgogliosi di essere nativi della Nazione tricuspide, perchè -canta semplicemente Lucio Dalla, che amava l'isola- "tra un greco, un normanno e un bizantino, io son rimasto comunque siciliano".
Francesco Giordano
(Articolo ripreso e pubblicato sul giornale online Kolot News: http://www.kolotnews.it/index.php?option=com_content&view=article&id=106:popolo-e-autonomia-in-sicilia-ieri-e-oggi-e-una-lezione-storica-da-israele&catid=36&Itemid=242)
Nessun commento:
Posta un commento