domenica 23 febbraio 2014

Sentenza Lombardo: la gente di Sicilia destinata a morte lenta?


Sentenza Lombardo: la gente di Sicilia destinata a morte lenta?



 22 feb 2014   Scritto da Francesco Giordano           



SI ACCENDE IL DIBATTITO DOPO LA CONDANNA DELL’EX PRESIDENTE DELLA REGIONE SICILIANA, RAFFAELE LOMBARDO. LA PAROLA A…FRANCESCO GIORDANO (in allegato altri punti di vista sul caso)

La sentenza di primo grado, che ha condannato per il reato di concorso esterno in associazione di tipo mafioso, l‘ex Presidente della Regione Siciliana Raffaele Lombardo, non è solo una infamità grande per il presunto colpevole, a cui auguriamo di cuore nei seguenti gradi di giudizio, in base alla vigente presunzione d’innocenza, di discolparsi in pieno dalle accuse che gli vengono rivolte, ma anche per l’ìntero popolo della Sicilia.
Possiamo dirlo con cognizione di causa, essendo stati personalmente, negli anni del ‘lombardismo’, vergin di servo encomio e di codardo oltraggio, per parafrasare il Manzoni. Anzi, sono ancora online alcuni nostri articoli di quegli anni, in particolare uno del 2010, dove affermavamo, pur non avendolo votato alla suprema carica regionale (considerate le nostre assenze da’ ludi cartacei nell’ultimo decennio), che egli nel piano di governo dell’isola era a un bivio, potendo scegliere se essere ‘Ntoni Malavoglia o Timoleonte, ovvero un vinto verghianamente, o un vincitore nella migliore tradizione della Sicilia ellenistica.
La sua scelta è stata, in virtù forse di tradizioni ataviche, quella del personaggio del celebre romanzo del conterraneo, non già emulare le gesta dello straniero corinzio che, pur accusato in Patria sua di omicidio, si diede in Sicilia nel IV secolo alla “elefterìa” (libertà) delle città oppresse da tirannide, ritirandosi poi cieco e vecchio in Siracusa ed egli medesimo rifiutando la suprema magistratura, ritenendo di aver compiuto il dovere catartico per cui era stato chiamato dalle pòlis siceliote. Raffaele Lombardo politico (sulla caratura dell’uomo non è qui il caso di indulgere, sebbene riteniamo che abbia indubbie qualità), ha intrapreso la propria via.
Crediamo nondimeno che non vi sia nesso di conseguenzialità fra essa, le dimissioni del 2012 e l’attuale condanna, pronunziata “in nome del popolo italiano” (a noi sicilianisti sentire codesta frase da un magistrato fa un po’ effetto, ma è sensazione personale; pur siamo consapevoli e certo partecipi, specie quando ci troviamo all’estero, della comune fratellanza italica… che a volte, malauguratamente, è un fattore estrinseco tuttavia, e fors’anche psicologico), dal GUP, nel procedimento con rito abbreviato. Nè ci pare necessario disquisire sulla definizione di “associazione a delinquere di stampo mafioso”, su cui da lustri han martellato e le immagini e le cronache e i films d’ogni genere, per non dire dei fatti di sangue.
Qualche parola invece sul reato di concorso esterno: nel marzo 2012, cassando la sentenza di condanna a sette anni per il medesimo capo d’imputazione all’ex senatore Marcello Dell’Utri, il Sostituto Procuratore Generale della Cassazione, Francesco Iacoviello, affermava: “Il concorso esterno è un reato autonomo creato dalla giurisprudenza. Che prima lo ha creato, usato, dilatato. E ora lo sta progressivamente restringendo…non ci si crede più”. E’ infatti noto come tale fattispecie di reato non figuri nei codici ma nasca, in seguito all’articolo 416 bis della legge Rognoni La Torre del 1982, unitamente all’articolo 110 c.p.p., al fine di voler colpire la contiguità morale e pur esterna, della persona che in qualche modo favorisce gli interessi del’organizzazione criminale, pur non facendone organicamente parte.
Ultimamente nel normare il reato di voto di scambio (da cui peraltro Raffaele Lombardo è stato assolto nella sentenza di primo grado di cui sopra), il ddl votato dal Senato alla fine di gennaio del corrente anno, ha in qualche modo cercato di inserire nella legislazione il concorso esterno, che appunto è una costruzione ad hoc difficile da provare e ancor più difficile da sostenere. Nel caso in questione il magistrato ha ritenuto opportuno che vi siano gli elementi per condannare il Lombardo: noi auguriamo che i successivi gradi di giudizio, ma già in sede di Appello, dimostrino l’infondatezza del supposto reato. Così come all’epoca augurammo all’ex Presidente della Regione Cuffaro. Ma il punto è proprio codesto: se una comunità di popolo, come quella siciliana, ha due ex Presidenti accusati (uno addirittura in carcere), per reati in qualche modo legati a una organizzazione criminale che non è certo una bella carta da visita per l’immagine della Sicilia nel mondo, tale comunità di popolo muore. “La morte è termine della vita, la triste fama è un morbo per sempre”, affermava il grande sofista Gorgia da Lentini (V sec. a.C.), nella “difesa di Palamede”, ingiustamente accusato da Ulisse di tradimento. Cui prodest?
Ci mancava tale sentenza, nella deriva sociopolitica del momento, per ferire in modo affatto letale la coscienza dei singoli siciliani, anche coloro che verso il “lombardismo” furono nemici feroci. Ebbe ragione Benedetto Croce quando, nell’immediatezza della fine del secondo conflitto mondiale, disse che “noi italiani abbiamo perso una guerra tutti, anche coloro che hanno combattuto contro l’oppressione degli occupanti”? Se la si vuol riferire alla Sicilia, sì, è come se ogni sentenza di tal genere faccia perdere una guerra, la “guerra” del riscatto sociale e morale della gens sicula di contro ai dubbi non già del diritto giurisprudenziale nazionale, come può essere, secondo pareri autorevolissimi, il reato sopra contestato, ma anche e forse soprattutto, per la speranza dell’onestà delle nuove generazioni -ricordiamo la frase celebre scritta dopo l’omicidio Dalla Chiesa-, perchè i ragazzi si educano non con i disvalori, ma con l’esaltazione di quanto bello buono e orgogliosamente siciliano la nostra terra possieda, hic et nunc, qui e oltre, in Patria e nel mondo. Soprattutto nel mondo, perchè se leggiamo che in Spagna c’è la fila per accedere ai ristoranti che si denominano “mafia”, ci permettiamo di ricordare che dovrebbe esserci la fila per visitare i templi di Agrigento, il teatro greco-romano di Taormina e l’anfiteatro di Catania, il barocco di Modica e di Noto, i templi di Palermo e Monreale come le specialità gastronomiche e le realtà del terziario, oramai in decadimento insieme all’agricoltura, della Sicilia.
Vivremo ancora di queste sentenze mortifere e non già del turismo, se non possiamo più produrre nulla perchè la pressione fiscale impedisce il risorgere della impresa piccola e media in Sicilia e in Italia quando molti, e giustamente, delocalizzano all’estero e non si vede speranza pe’ nostri giovani? Non è intenzione del popolo, quello che non bada a’ tribunali nè alle trame occulte delle mazzette ma pensa a lavorare e produrre per la famiglia e per la comunità, il popolo della gente “d’onore”, che tradizionalmente è la realtà dei siciliani, lasciarsi schiacciare da tali ennesime dominazioni psicosociali dell’Essere che lo mortificano. O forse dobbiamo pensare, come alcuni amici, che la Sicilia è ancora una colonia, che non “deve” essere governata, perchè così si vuole “ove si puote ciò che si vuole”? Mysterium iniquitatis…
E’ in atto un tentativo di risollevare le sorti dell’economia regionale, si chiama Grano, è una proposta di iniziativa popolare di moneta complementare, che può attraverso la presentazione a norma di Statuto, di un disegno di legge da parte della gente, dare la possibilità di lavoro a chi non l’ha, e un reddito sociale a chi non può: l’ideatore è Giuseppe Pizzino già creatore dei marchi Castello e Sicily nel tessile; il 15 marzo ci sarà la presentazione del progetto all’ARS.
E’ una moneta sociale e nazionale (nel senso di nazione siciliana), strumento inderogabile per far ripartire l’occupazione, a cui son legati i consumi e tutta la realtà economica della nostra gente. Lo capirono benissimo i Vicerè, nei secoli XV-XVIII: infatti la moneta Grano era coniata in Sicilia in quei secoli, ove l’economia prosperava. “Ultima ratio regum”, scriveva Luigi XIV nei suoi cannoni: è l’ultimo tentativo, nella Sicilia travolta dalla implosiva “controrivoluzione” di Crocetta, prima di chiudere bottega e dichiarare il Commissariamento. Il quale, allineato alla sentenza Lombardo e al disastro per cui oltre il cinquanta per cento dei siciliani è senza lavoro (nel 2012 oltre il 50% non è andato a votare alle elezioni regionali… nel 2008 i tre quarti dei votanti, elessero Lombardo Presidente…), condanna un’isola meravigliosa al declino assoluto. Impietosa realtà, ma bisogna pur avere il coraggio che ebbe l’occhio fotografico di Phil Stern (di cui ricordiamo una bella mostra di scatti durante l’occupazione nel 1943 l’estate scorsa) nel delinearne i tragici chiaroscuri del bianconero.
Perchè qui i colori sono scomparsi, tristamente.
Rimane soltanto la “storia di li dui sùggi” (che liberamente trasponiamo, dal Pitrè): “un sùggi dissi a n’autru: ci veni a mangiari nni me ziu? Annàmu…. e trasennu ntra lu purtusu tunnu, lu primu chi dicia, si truvau ntra li granfi di na gatta. Accuminzau a fari: ziu, ziu, e l’amicu sò: minchiuni, e su tto ziu fa ccussì ccu tia, vidi chi mi succeri, e vutò tunnu d’unni avia vinutu”. Parabola significa…



(Articolo pubblicato sul quotidiano online LinkSicilia: http://www.linksicilia.it/2014/02/sentenza-lombardo-la-gente-di-sicilia-destinata-a-morte-lenta/)

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