Mentre fa in questi giorni discutere, in una città sonnacchiosa ed indolente come Catania (un vecchio detto, rammentato dall'ei fu professor S.Correnti, dice: "Pedi arsi sù li catanisi... forse per codesta ragione, amano muoversi in auto più che deambulando...), la chiusura al traffico, non del 'centro storico' (il concetto ed il perimetro di questo è ben vasto, e discutibile) ma della piazza del Duomo e di un breve tratto di via Vittorio Emanuele, col conseguente snodo viario deviato in strade adiacenti -e sarebbe stato molto meglio, da parte della pur solerte per altri versi (vedi aumento della TARSU assaj consistente) amministrazione comunale, vietare perennemente al traffico automobilistico sia tutta la via Vittorio Emanuele, da 'sardo' (ossia l'incrocio con via Plebiscito) alla 'statua' (piazza dei martiri), che via Garibaldi sino alle 'chianche' (incrocio con via Plebiscito : tali denominazioni popolari, ben note alla gens che frequenta il centro, non appajono sui fogli locali, vergati da inepte et indocte della storia civica... purtroppo...); mentre si attende dunque tale provvedimento il quale, lungi dal danneggiare la già inesistente poiché morta o moribonda, struttura dei commercianti di codeste vie -a parte i cinesi e gli indiani e mauriziani, che han mezzi diversi di mobilità- renderebbe il vero centro storico di Catania, finalmente libero dallo strangolamento quotidiano delle auto, e vivibile, segnaliamo con la foto qui acclusa, da noi scattata il 25 agosto, la situazione di piazza Stesicoro.
Sin dall'Ottocento, lo documentano le cartoline dell'epoca (chi si reca nella Biblioteca comunale, a parte chi lo possiede, può verificarlo nei bei volumi "Vecchie foto di Catania" del compianto giornalista e storico Salvatore Nicolosi), il lato ovest della piazza fu ornato di palme, che la abbellivano ai lati; rimasero solo quelle antistanti l'ingresso dell'anfiteatro romano, i cui discavi iniziati nel 1904, si conclusero nel 1906: opera meravigliosa di alta cultura, merito del Sindaco illuminato dell'epoca Giuseppe De Felice Giuffrida, socialista 'del cuore' alla De Amicis (sull'anfiteatro, cfr.F.Giordano, "l'Anfiteatro romano di Catania", Boemi 2002). Orbene quelle palme che da almeno cento e più anni ornavano la piazza non ci sono più, tranne una: le antiche phenix canariensis che hanno osservato la nostra storia del XX secolo, sono state tagliate, uccise.... dai giardinieri del Comune.
La 'giustificazione', se tale termine si può usare, ce la diede un Vigile Urbano ivi transitante: erano ammalate del noto parassita che da un pezzo le infestava. Ma non è logico. Molte altre palme del giardino Bellini soffrono dello stesso 'male', eppure continuano a vivere. Inoltre, tale morbo non era talmente nefasto da provocarne il taglio netto: cosa del resto già accaduta anni fa, nel più assoluto silenzio, nella parte sud del piano di S.Nicola, o piazza Dante, davanti l'ex monastero sede delle facoltà umanistiche. Inoltre anche un incompetente, in tempi di crisi, si rende conto della impossibilità di sostituire, per la secolarità delle radici inestirpabili, le vecchie palme con altre, se mai si fosse postulata tale eventualità. Troppo costoso, per le casse comunali. Ma era quindi necessario abbattere le vecchie, e secolari? Proprio indispensabile? Davano forse fastidio a qualcosa o qualcuno, dopo tantissimi anni? Vi è davvero da essere maliziosi...
Il dramma è che nessuno se ne lagna, quasi nessuno se ne accorge. I cittadini, la cui etnìa è mista e non allogena, sono abulici come non mai; i politici di qualunque bandiera -vil razza dannata, i politici, si diceva un tempo- pensano al proprio 'particulare'. Ma tutti, ahinoi tutti, imprecano per quel brevissimo tratto di 'centro storico' (che poi è un sessantesimo del centro storico vero!...), che si è osato chiudere alle automobili. E' proprio il caso di dire che si è come a Costantinopoli assediata dai Turchi nel 1453, durante il cui assalto i teologi discettavano sul sesso degli angeli... mentre la città moriva. Infatti le nostre palme sono morte, e non torneranno più, se non nelle cartoline, ad abbellire piazza Stesicoro innanzi l'anfiteatro. In altri tempi, per fatti del genere sarebbe bastata l'autorevole parola di illustri catanesi, da Mario Rapisardi a Salvatore Santangelo (per citare due nomi fra i tanti), per impedire codesto scempio. Chi uccide una pianta, affonda il coltello infatti nel cuore della Natura. Che, come giustamente afferma il motto agatino NOPAQUIE, non ha pietà per chi impunemente la offende. E se i veri catanesi sono oramai molto pochi, come gli indiani nelle riserve dopo la cattura dei grandi capi ribelli, ogni violenza allo spirito, come le offese allo Spirito Santo, non è perdonata.
F.Gio.
Nessun commento:
Posta un commento