mercoledì 18 novembre 2009

Ricordo di padre Giovanni Piro, sacerdote di rara sensibilità


Fondò la comunità di SS.Pietro e Paolo


Addio a padre Giovanni Piro, un uomo buono



Animatore per quarant’anni della parrocchia nel quartiere Sanzio-Giuffrida, fu persona mite e disponibile
con tutti – Le porte della chiesa, ieri come oggi, aperte ai poveri ed a ognuno che lo chiedesse -






Con la concelebrazione della Messa da parte dell’Arcivescovo di Catania e di circa una ventina di sacerdoti, affollatissima cerimonia, tanto che ad un certo punto –nelle due ore della durata- divenne quasi impossibile accedere al tempio, si è dato il 14 settembre l’ultimo abbraccio terreno a padre Giovanni Piro, parroco emerito della parrocchia, e fondatore della omonima comunità, dei Santi Pietro e Paolo in Catania, morto a quasi ottanta anni l’undici settembre. Intensa commozione, fra i convenuti, nel salutare l’uomo buono, noto per la sua mitezza, il suo candore, la sua adamantina umiltà, che nel 1969 inaugurava la chiesa, sòrta nel nuovo quartiere Sanzio-Giuffrida che prendeva forma negli anni Sessanta, oggi uno dei centri più movimentati della città, e dedicava anima e corpo alla edificazione di un centro di aggregazione sociale molto conosciuto, anche e soprattutto per la visione moderna del rapporto che il frequentatore di quella chiesa doveva avere, per volontà degli animatori, con la religione: conseguenze del post-Concilio, che tra i meriti ha avuto quello di avviare il Cattolicesimo, chi lo ha recepito, verso le fonti originarie, il rapporto diretto con gli ultimi, i diseredati, i poveri, i bisognosi: ma anche quello di far pensare autonomamente onde giungere da soli, se lo si voleva o se era possibile, all’incontro colla fede; e qualora ciò non avveniva, rimanere comunque legati a quel luogo eretto in modo semplice, spartano, in cemento armato contro ogni tradizionalismo degli edifizi ecclesiastici, con lo sguardo rivolto alla sostanza, senza fronzoli, senza orpelli.
Padre Piro era un uomo che alla sostanza guardava, con profonda fede, e grande ‘humilitade’, per citare il San Francesco del Cantico, alle cui orme egli sempre guardò. Siamo oggi felici di aver ricevuto dalle sue mani, che osservammo già preda del misterioso gòrgo della morte, nella esposizione del corpo che in chiesa si fece dopo la cerimonia, sia l’imposizione del Battesimo che la prima Comunione, avendo frequentato in anni lontani ma decisivi per la traccia che la formazione da lui voluta, unitamente ai coadiutori –di cui l’attuale parroco e suo primo sodale, padre Alfio Carciola, è degnissimo erede- ha lasciato nell’animo nostro. "Mentalità aperta ed irrituale", è stato scritto nel sito della Comunità, quella che padre Piro trasmetteva ai giovani di diverse generazioni: anche a noi, ed è assolutamente vero. Epperò è anche a cagione di codesta irritualità che, se la Chiesa Cattolica ha un futuro, senza obliare la tradizione, dal punto di vista filosofico e sostanziale è destinata a vivere indefinitamente. Padre Piro, come lo ricordiamo, era il fulcro di un amore al messaggio evangelico non astratto ma concreto: per cui il sostegno verso i poveri e le opere (notevole quella in Burkina Faso) edificate, lo denotano costruttore di pace. Ma è la assoluta unicità della sua accoglienza verso tutti, in particolare verso i dubbiosi, i non credenti, i lontanissimi dalla struttura canonica della Chiesa cristiana, che ha per quarant’anni caratterizzato la comunità di San Pietro e Paolo. Qui ognuno di noi, per breve o lungo tempo, ha potuto formarsi una libertà di pensiero, ed è straordinario affermarlo se si bada al contesto della storia della Chiesa dalla parte dei fedeli degli ultimi mille e settecento anni, che ha poi nella crescita individuale di ciascuno, permesso di fare le proprie personali scelte, diversissime magari, e tuttavia convergenti verso quel luogo, divenuto un simbolo, un fulcro di Luce, discreto, silente ma stabile, ove padre Piro, ed ora padre Carciola, era il ‘gran cofto’ di quella lectio evangelica basata sull’amore e sulla libertà. Concezioni ribelli, se si vuole: le quali diedero, sovente con ragione altre volte con duri pregiudizi, dovuti magari a precise posizioni di qualcuno, la scaturigine per etichettare la comunità come sovversiva, appartenente ad una determinata parte politica, in opposizione al potere comunque. Vero è, lo ricordiamo noi perché vivemmo quella stagione, che anche da parte del Vescovado a volte si desiderò zittire quella voce fuori dal coro. Ma poi non si ebbe la forza di calcare la mano: ove si sapeva che la mitezza, il sorriso sovente silenzioso di padre Piro era la garanzia della continuità evangelica e della applicazione, senza se e senza ma, dell’autentico lascito di Gesù, l’amore verso il prossimo, e precipuamente verso gli ultimi, senza speculare, senza pretendere nulla in cambio: anzi donare. Sia sufficiente un ‘quadretto’, che denota la diversità della ‘chiesa di padre Piro’ dalle altre: egli, ed è così anche oggi, non pretese mai –come purtroppo molti altri sacerdoti, alcuni addirittura propagandandolo, o peggio…- che si versasse un obolo prestabilito per le cerimonie religiose che si tenevano nel tempio: così ottenendo, senza discussioni, che la immancabile generosità di coloro che han chiesto un qualunque ufizio in chiesa, si esplicasse nel silenzio e nell’anonimato, attraverso la cassetta delle offerte, all’ingresso. Era questi padre Piro, un prete senza tempo, un prete di Luce. Un uomo di Chiesa che ha insegnato ai moltissimi giovani che ha conosciuto, e molto amato, poi divenuti adulti, a pensare con la propria testa. Ed a capire taluni, scegliere altri, rimanere fedeli altri ancora.
Una figura rara di pastore, se si volge lo sguardo al panorama odierno, ma anche a quello del passato, fra i parroci. Assolutamente benefica per il corpo della Chiesa, come lo furono Don Milani, Papa Giovanni e Papa Luciani, per citare tre personaggi a cui istintivamente lo si può avvicinare. Vedendolo fasciato nell’orrore della morte, per noi si chiuse un’epoca che ha coinciso colla fanciullezza. Esperienza condivisa da molti. L’augurio è che il messaggio di ecumenismo, di solidarietà e di libertà sia nell’alveo del Cristianesimo che fuori da questo, continui oltre il suo cammino, come già si persegue da tempo nella comunità da lui fondata: ed anche in diverse altre forme e luoghi si possa esplicare. "Camminate mentre avete la luce, affinché la tenebra non vi sorprenda, perché chi cammina nella tenebra, non sa dove va. Mentre avete la luce, credete nella luce, onde diveniate figli della luce" (Gv.12, 35-36). Se il percorso dell’Uomo è sperimentare da solo, come il pellegrino eremita, la propria via, il messaggio di tolleranza di umiltà di rispetto ed amore di padre Piro è stato cercare di far comprendere il significato di quella Luce che, simbolicamente, fiammella delicata si accese,attraverso la candela, salutandone le spoglie verso l’estrema dimora. Quella Luce che, sin quando il soffio della vita abbrancherà con fervida passione le carni belle ma al disfacimento avviate, rimane.



Bar.Sea.


(pubblicato su Sicilia Sera n°322 del 1° novembre 2009)

Pedonalizzare tutto il centro storico di Catania


Dopo il provvedimento di chiusura della ‘ztl’


Purgato dalle auto il rione del Teatro Bellini: si pedonalizzi tutto il centro storico


Mentre sono evidenti gli effetti salutari del provvedimento, che si auspica anche per la zona dell’ex monastero
dei Benedettini, si riflette sul significato – Conservare la bellezza artistica degli antichi edifici -



La chiusura, durante la trascorsa estate, prima in via provvisoria e da settembre definitiva, della porzione del centro storico delimitata dalle vie Vittorio Emanuele parte est, piazza Università, di San Giuliano e Ventimiglia –ossia la zona detta del Teatro Bellini- , è senza dubbio un buon risultato raggiunto dalla attuale amministrazione comunale. Noi sovente critici, qui accettiamo la decisione che, oltre le normali proteste di quei pochi che si opposero, inizia un percorso di pedonalizzazione completa di talune vie del centro, già operativo e molto apprezzato nelle città e luoghi d’arte del Nord. Siccome non è nostro costume scrivere per sentito dire, abbiamo per due volte, la seconda in bicicletta, visitato la definitiva ‘ztl’, onde constatare l’andamento della situazione. Aggiungasi che il trasferimento, dal largo Paisiello a via Teatro Massimo, del commissariato di PS ‘centrale’ avvenuto da poco, ha senza dubbio messo in ulteriore sicurezza la zona. Accedendo alla quale, specie in giornate di intenso traffico (il catanese, come è noto, usa più che altri italiani attaccarsi all’automobile anche solo per pochi tratti: ben minore è il numero di coloro che scelgono di spostarsi a piedi, ancon più esigui i velocipedisti), si passa dal noto frastuono dei mezzi a scoppio, ad atmosfere quasi irreali: silenzio e tranquillità sembrano regnare fra le vie che delimitano il Teatro intitolato al Cigno etneo, mentre transenne provvisorie (abbiamo letto della prossima costruzione di quelle elettroniche, iniziativa plausibile) ne delimitano l’ingresso, come è giusto, ai soli residenti.
Ma costoro, chi sono? Notasi case disabitate, come i molti ‘pubs’ che ivi animavano la vita notturna, in vendita col cartello ‘cedesi attività’. Naturalmente altri, specie in via Landolina, rimangono attivi nelle ore della notte: epperò è inevitabile constatare il già avviato, e dal presente provvedimento accelerato, spopolamento del rione, un tempo abitato da molti, ora pullulante di appartamenti vuoti od in vendita. Quindi è quasi spontaneo il sorgere di alcune questioni, le quali sono evidenti all’osservazione di ciascuno: se è evidentemente un bene, in luoghi teatro per molto tempo di episodi criminosi (spaccio di droghe, presenza di alcolizzati, rapine, prostituzione), circoscriverne il movimento al fine di stroncare tali fenomeni, nel tempo breve, quale sarà a raggio medio e lungo, il destino di codesta zona? E qualora, come è apparso nelle parole, più che nelle intenzioni, del Sindaco, di voler continuare la chiusura di altri tratti del grande centro storico di Catania (il quale, come si dovrebbe sapere, si estende da piazza Stesicoro al Duomo a piazza Palestro sino a piazza dei Martiri), di che genere sarebbe il destino dei residenti, molti in età avanzata, di quest’ultimo, ovvero quali attività e sopra tutto quali proprietà, in zone dalla mutazione antropica molto veloce, considerati i tempi di multiculturalismo, subentreranno e quindi decideranno del futuro degli antichi edifizi settecenteschi? Sia per questo sufficiente ipotizzare, considerando l’ampiezza della zona gravitante attorno all’ex monastero dei Benedettini ora sede delle Facoltà umanistiche dell’Università, la pedonalizzazione della parte alta delle vie Vittorio Emanuele e Garibaldi, dal Duomo all’incrocio con la via del Plebiscito. Da anni è codesta una iniziativa che auspichiamo, fra l’altro. E nondimeno, nell’invocarla anche ora, è necessario chiedersi chi ‘gestirebbe’, nel senso della micro e macro economìa –intendendo anche gli affitti agli studenti stagionali, oltre l’indotto della movimentazione extra automobilistica- tale passaggio importantissimo, ove si ricordi che sia l’ex Manifattura dei Tabacchi in via Garibaldi, edificio enorme e sinora inutilizzato, sia il deposito cavalli Stalloni di via Vittorio Emanuele prima di piazza Risorgimento, risultano di proprietà statale, e destinati, almeno negli intenti di circa un decennio orsono, ad usi di utilità pubblica e studentesca.
Insomma, o si crea un vero e proprio piano di concerto complessivo per l’intero centro storico catanese, magari segmentato in porzioni come già si è fatto, e coinvolgendo i comitati civici che spontaneamente sorgono in codesti casi i quali sono interlocutori indispensabili, e sopra tutto si intenda agire colla massima trasparenza, creando una bacheca –magari sul sito web del Comune- ove tutti gli atti e le delibere sono resi noti, anche nei progetti per cui se ne pòssa discutere prima della loro applicazione: oppure la pedonalizzazione del centro, se accontenterà noi ciclisti e pedoni, potrà non solo scontentare altri, ma dare il colpo definitivo non tanto al piccolo commercio, che anche per altre ragioni è destinato lentamente a svanire, ma snaturerà, filosoficamente come anche culturalmente e dal punto di vista antropologico, l’antico centro narrato nelle vecchie cronache, intriso di arcani profumi e dolci malìe. Sempre la plasticità degli esempi, ajuta a comprendere: dei molti ‘bed and breakfast’ sòrti nella ‘ztl’ di cui sopra, solo pochissimi rispettano le vestigia architettoniche dei palazzi settecenteschi, taluni opere somme di insigni ‘mastri architetti’ del secolo dei Lumi: ed è sintomatico che ciò accada ispirandosi ad esempi ove (si pensi a Firenze, ad un motore di condizionatore eretto sulle finestre di palazzo Vecchio… è inimmaginabile…!) certe brutture, in una città che sino a cinquant’anni or sono coltivava nettamente l’amore del bello e la sua conservazione. Insomma, si chiuda pure tutto il centro, proseguendo magari con l’area delimitata dal monastero ex benedettino: così rendendo felici i cittadini invasi dall’oramai vergognoso traffico automobilistico le cui strade non furono giammaj per esso concepite: epperò si agisca con criterio e razionalità, comminando sanzioni non indiscriminate, come troppo spesso e di recente si nota, e non ai privati, ma principalmente a quegli operatori commerciali che imbrattano la bellezza dei nostri antichi palazzi, con superfetazioni ed aggiunte che nulla hanno di gradevole, anzi costituiscono un obbrobrio inaccettabile. Ed inoltre, sia ciò detto senza polemiche ma con molto realismo e triste constatazione, si sorvegli davvero il centro, ove persevera e costantemente avanza la micro criminalità e l’esercizio, in molte case private, del meretricio etero ed omosessuale, mentre l’operazione detta ‘strade sicure’ a ben poco serve, se non è davvero incisiva, come da attenti osservatori non vedemmo, sperando magari di non essercene accorti. Per cui quelle belle ragazze (da qualche tempo, le donne son soldatesse) dalle forme notevoli accompagnate da baldi giovinotti, tutti fasciati da gloriose divise del nostro Esercito, non facciano solamente bella e giusta mostra di sé, ma perseverino nello stroncare comportamenti delinquenziali, donando così sicurezza ai cittadini, in qualunque ora. Il centro storico, il quale non avrebbe del resto bisogno di essere militarizzato, si difende, almeno per brevi tempi, anche così. Ma sul serio.


Bar.Sea.


(pubblicato su Sicilia Sera n° 322 del 1° novembre 2009)