lunedì 13 luglio 2015

Alla Grecia è mancata la Paidèia: e la Sicilia non è l'Ellade italiana...





       Alla Grecia è mancata la Paidèia: e la Sicilia non è l'Ellade italiana...

In quell'opera indimenticabile, per chi ha percorso le strade del liceo classico in Italia, che è "l'educazione di Ciro", scritta da Senofonte, uno dei più famosi discepoli di Socrate, è instillato, nell'insieme degli insegnamenti morali, un principio indelebile, che manca ai greci di oggi, in riferimento alla tragica situazione economica in cui si trovano: la paidèia, che in italiano si traduce in 'educazione'. La Paidèia è essenziale ai popoli ma appare chiarissimo che, come l'ha perduta il popolo italiano, l'ha parimenti perduta quello greco. E' vero che un proverbio del paese ellenico dice a proposito degli italiani e greci "una faccia una razza", infatti così è anche nella politica, sia ieri che oggi.
Premessa inderogabile per la comprensione del frangente odierno è tuttavolta la questione razziale, o delle etnìe come si dice adesso con termine meno connotato. Così noi siciliani serbiamo poco o punto del sangue delle stirpi elleniche, corinzie calcidesi e doriche che ci colonizzarono tra l'ottavo e il settimo secolo a.C. specie nella parte orientale, medesimamente la composizione razziale dei greci attuali è turco bizantina, non più ellenica pura, per le vicende politiche e di devastazione dei territori che quelle popolazioni hanno subito negli ultimi due millenni (basti scorrere un semplice atlante storico per rendersene conto: ma evidentemente la storia si dimentica troppo spesso!). Pure nel linguaggio sono cambiati, in Grecia esiste la "khatarèvussa", il linguaggio antico e letterario, e quello moderno e popolare, la "dimotikì".  A dimostrazione di come ha inciso profondamente sulle popolazioni delle isole e del continente sia il periodo bizantino, sia quello turco tataro fino al XIX secolo ed al nuovo nazionalismo (che poi fu un portato delle potenze occidentali, da cui lo stato greco è stato letteralmente "inventato", si pensi a Lord Byron e alla ultima dinastia regnante ellenica).  Per estendere il parallelo alla Sicilia, il linguaggio greco fu corrente nell'isola anche per un secolo dopo la conquista romana (III secolo a.C.), ma già negli anni di Augusto e Tiberio, ovvero di Cristo per scendere fino al martirio di Agata (251  e.v.) le iscrizioni e il linguaggio sono quasi esclusivamente latine: il greco torna in Sicilia nella forma bizantina, dal VI al IX secolo, per poi essere travolto in parte dall'invasione mussulmana e serbato dai monaci basiliani fino alla conquista normanna (XII secolo), con la quale convivranno le tre lingue dell'isola, latino arabo greco, sino a Federico II il tedesco, nella cui epoca e grazie alla koinè creatasi alla corte, nasceva la lingua italiana, della cui genesi ricorda Dante, il primo fiume fu "loquatur sicilianum", la lingua siciliana.  Dal XIV secolo, subito dopo il Vespro, in Sicilia fu fortissima l'immigrazione dalla Spagna che cangiò molto l'etnìa isolana, con presenze catalane castigliane frammiste alle autoctone: il periodo dei Vicerè è la scaturigine della forma mentis siciliana di oggi.
E qui torniamo al dilemma e allo scioglimento di esso: l'accordo che i capi dell'Europa e degli stati hanno letteralmente imposto al governo di Tsipiras è non solo giusto ma necessario, indispensabile: si pensi a un capofamiglia che fa debiti per vent'anni a destra e a sinistra con le banche, non paga nessuno, gli pignorano le case che ha, poi torna dalle banche e chiede nuovi prestiti: come minimo, verrebbe cacciato a calci. I greci, da furbacchioni qual sono ed avendo eletto il più furbacchione sulla piazza a capo del governo, Alexis Tsipiras (un tipo scravattato, con la camicia fuori dai pantaloni: ma chi può dare fiducia, ha scritto bene un economista italiano, nei luoghi che contano delle aristocrazie del denaro, a colui che si presenta con la camicia sbracalata?) credevano di fare lo stesso servizio: ma nè la grande Germania (che è sempre una nazione ammirevole), ne gli altri stati del nord, sono fessi e ben conoscono le astuzie levantine e turchesche e bizantine de' greci (e in parte di molti popoli del sud Europa e mediterranei), per cui l'offesa pseudo orgogliosa dell'inutile referendum del 5 luglio, con cui i greci si espressero per il no alle politiche di austerità della cosiddetta Troika, si è trasformata in un vero boomerang, con conseguenze ben più dure da pagare per loro: e il premier greco ha dovuto cedere su tutta la linea perchè altro non aveva da fare. Una canzone del periodo fascista modulava : "contro Giuda, contro l'oro, sarà il sangue a far la storia", ma la storia col sangue (lo abbiamo visto in Tunisia e in Egitto e in parte lo vediamo in Libia) la fanno i popoli giovani, mentre quello greco (e quello italiano, peggio) son popoli vecchi, anzi psicologicamente vecchissimi, oltrechè etnograficamente: un popolo, quello greco, abituato a vivere di stipendio fisso e con pochi risparmi privati accumulati (mentre v'ha da dire che il popolo italiano ha miliardi di euro di risparmi liquidi in banca e di più come beni immobili) e diciamolo, scialacquatore, che per questo ora si ritrova alla fame: ma non può chiedere come l'esempio di cui sopra, linee di credito all'infinito dopo aver sperperato e non onorato i debiti! Pertanto la linea dura tedesca e del gruppo maggioritario dell'Eurozona è non solo giusta ma anche troppo buona: se non fosse stato per le pressioni degli Stati Uniti dovute alla loro strategia mondiale, nessuno avrebbe speso un centesimo per tenere la Grecia nell'Euro, da cui sarebbe stata cacciata meritatamente. Ce la sorbiremo, mantenendola (come l'Italia ha già fatto e farà, purtroppo: si sa, noi popolo di Fantozzi, "com'è buono lei...").
Infine, è del tutto inesatto il paragone di taluni della situazione della Sicilia a quella greca : lorsignori -che potevano leggere e riflettere prima di sproloquiare- dimenticano che l'elettorato attivo dei siciliani nelle elezioni regionali ultime dell'ottobre 2012 ha de facto sconfessato l'intiera classe politica locale, non andando in maggioranza a votare: si recò infatti alle urne in quel giorno solo il 47% degli aventi diritto, caso mai successo dal 1946, e questo vuol dire che i siciliani sono assolutamente razionali e non intendono più dare mandato, se non nella loro minoranza di privilegiati e interessati ai favoritismi, alle classe politica della Regione. Per cui Roma la commissari o ne sopprima nelle linee guida lo Statuto, frutto di secoli di lotta e derivante dalla Costituzione inglese del 1812, non è scelta che può spettare alla maggioranza del popolo siciliano: se la democrazia è -come è- il governo delle maggioranze, qui siamo guidati da minoranze di minoranze, le cui scelte saranno pure rilevanti ma non politicamente nè eticamente valide.     A differenza dei greci che andarono in massa a votare il 5 luglio "no" alla troika e ora si ritrovano con una serie di provvedimenti che peggio per loro non potrebbe essere, i siciliani nell'ottobre 2012 in maggioranza han detto: no, votate voi minoranza interessata, noi non partecipiamo a questo scempio, abbiamo anche un governo nazionale? Faccia la sua parte!
Non esiste nelle carte dell'Unione Europea, infine, che la Grecia (o qualunque altro popolo) debba essere "mantenuto" a vita dagli altri stati: c'è invece nell'articolo 38 dello Statuto speciale della Regione Siciliana (statuto frutto della guerra civile 1944\46 fra lo Stato e l'Isola) emanato il 15 maggio 1946 regnante S.M. Umberto II di Savoja e parte integrante della Costituzione della Repubblica Italiana che lo accolse nel 1948, un articolo, il 38, il quale dice che "lo Stato verserà alla Regione annualmente una somma a titolo di solidarietà nazionale", da impiegarsi per lavori pubblici: quell'articolo nasce quale risarcimento dei danni che la forzata Unità nazionale fece con la mancanza per molti decenni di infrastrutture logistiche che fiorivano al nord italia (coi proventi dei banchi di Napoli e di Sicilia) ma erano assenti da noi (battaglia combattuta da Andrea Finocchiaro Aprile e la sparuta pattuglia di parlamentari indipendentisti in seno all'assemblea Costituente).   Quindi è lo Stato italiano che deve aiutarci per legge, non l'UE che deve aiutare la Grecia per carte documentate: fin quando esisterà lo Statuto potremo precisarlo a voce alta.
Questo è quanto. Con le parole di un grande fratello nostro e dell'umanità, l'ateniese Platone (nel Liside, 220a): "Sovente diciamo di tenere in gran conto l'oro e l'argento, ma non è esatto: quello che noi teniamo in gran conto è ciò che appare come lo scopo in vista del quale ricerchiamo l'oro e ogni altro strumento".
                                                                                                                        F.Gio