Scritti, note ed articoli riguardanti la multiforme realtà di Catania, della Sicilia ed altro...
giovedì 2 ottobre 2014
La Madonna di rue du Bac a Parigi e la "medaglia miracolosa", un pellegrinaggio originale nella "ville lumiéré"
In una delle capitali del mondo fra le più belle nel senso pieno, quella Parigi di cui Emilio Zola scrisse che "fiammeggia sotto la semenza del sole divino", v'ha un sito recondito che non è secondo a nessun altro luogo per afflusso immenso di pellegrini da ogni angolo della terra: e però, a differenza della torre Eiffel così nota e visitata dalle masse, è seminascosto. Perchè mai? Uno dei tanti misteri dell'umano che si confonde col divino.
Recandoci nella capitale della Repubblica Francese, di quella monarchia divina che osò tagliare le teste dei Re -salvo poi pentirsene amaramente e comporre nella cripta di Saint Denis un monumento funebre a Luigi XVI e Maria Antonietta e agli altri sovrani le cui ossa furono disprezzate dai sanculotti nei giorni nefasti del terrore- non possiamo che ammirare la Senna, Notre Dame celeberrima per il romanzo di Hugo, il museo del Louvre, quello d'Orsay di arte moderna; ma immettendoci nel boulevard Saint Germain, zona universitaria, troviamo una via discreta punteggiata da negozi eleganti, di stile, una via senza pretese, sinuosa ma che racchiude un miracolo: è la rue du Bac. Senza fretta si giunge, ed è un percorso da fare a piedi a mo' di purificazione qualunque sia il luogo ove si alloggia -sebbene la metropolitana parigina, efficientissima, abbia la fermata nei pressi- al numero 140, una facciata anonima. La quale nasconde la sede generalizia delle Suore della Carità di San Vincenzo de' Paoli. E che, dirà lo scettico, tanta strada per vedere la casa delle monachelle dal velo bianco? No, perchè lì accade un fenomeno costante per chi crede ed anche per chi dubita. Nel novembre 1830 in quella chiesa interna ad un lungo cortile (ed è una ampia chiesa, che chiamare cappella sembra quasi riduttivo, ha tre navate e una loggia superiore), avvenne una apparizione alla novizia Caternia Labourè: pare che una Signora vestita di bianco le abbia parlato per ore, e fatto vedere una immagine da cui chiese di coniare una medaglia, la quale dipoi venne appellata "miracolosa", perchè durante l'epidemia del colera del 1832 a Parigi (in seguito dilagò in Francia e tutta Europa: in Sicilia giungeva nel 1837 e fu concausa della rivoluzione indipendentista di quell'anno) salvò parecchie persone che la indossavano "con fede", come disse l'apparizione. "O Marie conçue sains peché, priez pour nous qui avons recours à vous", è la scritta che Suor Caterina riferì le dettò la Signora, che lei subito identificava per la Madonna. Non era ancora stato proclamato, per consenso dei fedeli più che per fondamento teologico, il dogma dell'Immacolata Concezione (lo sarà nel 1854: Gregorio XVI e Pio IX porteranno la medaglia), ma era l'inizio del ritorno al marianesimo, in quel XIX secolo dilaniato da lotte intestine fra laici e clericali, dalla divisione, dall'odio di classe. L'apparizione diffuse armonia.
E' silenzioso il cortile profondo, ma addirittura surreale l'atmosfera nella chiesetta interna, laddove è sempre presente un nucleo di persone che pregano, e vi si trova visibile in una teca il corpo mummificato (pare incorrotto) della Suora veggente, che fu proclamata beata da Pio XI e santa da Pio XII nel 1947, quel grande Pontefice mariano che al più presto dovrebbe meritare gli onori degli altari come i suoi successori. La "medaglia miracolosa" in quel luogo è un semplice oggetto, un messaggio, un simbolo , un ritorno dell'anima alla concezione matriarcale ed ancestrale della storia, un "rovescio della storia" o meglio ancora, ha scritto sapientemente Jean Guitton, un luogo "che attira soltanto gli sguardi che si chiudono per vedere", al contrario della Parigi che fa spalancare gli occhi per materiali bellezze? Noi non pretendiamo di saperlo. Però possiamo trasmettere e testimoniare che in quel luogo regna ciò che gli antichi egizi, precursori della religione cristica, chiamavano Maat (identificandola con una dea specifica), cioè il concetto di Verità-Giustizia. E' una percezione indubitabile; se al più, si professa la religione cattolica, non si può che vedere nella "mamma del Cielo" (così le preghierine dei bambini dei tempi passati e presenti, che non si dimenticano, perchè i bambini sono i prediletti della Divinità, specie della mamma...) la solenne, intima, infrangibile protezione che il misero, il potente, il pusillo, l'orgoglioso e anche l'inflessibile ateo, ripongono nel Principio germinale della vita, che se è suffragato dalla scienza odierna e passata, s'arresta dinanzi ai fenomeni che non hanno spiegazione razionale.
La statua della Madonna sull'altare maggiore, a rue du Bac, è quella classica a tutti nota con le mani abbassate e aperte da cui si dipartono i raggi, cioé le grazie che ella spande sugli uomini indistintamente; ma la figurazione che Caterina Labouré volle sulla sua tomba rappresenta un altro aspetto della "Signora", mentre ha lo sguardo in alto e tiene fra le mani un piccolo globo. Nelle testimonianze coeve, l'una immagine non contraddice l'altra, si completano. Anzi la Madonna col globo è quella missionaria -se qualcuno rammenta gli anni di Pio XII e dello zelo missionario mariano del dopoguerra: "o Madonna pellegrina, vieni in questa terra devastata dalla guerra..."- e ancora più incisiva, perchè esso è il cuore di ogni essere che viene accolto fra le mani della Madre. In veloce carrellata pensavamo che tutte le religioni, dai Sumeri fino a noi, hanno serbato intatto il principio materno e anzi che esso, più che la visione patriarcale poi prevalsa, è l'aspetto più autentico, occulto, "isiaco" se si vuole (l'antica Lutezia fu la città di Iside, Par-Isis), ma quanto più reale, della exoterica immagine del maschio dominante, la cui fragilità si appalesa dinanzi alle contingenze del quotidiano nonché ai grandi dolori. Allora non bastano parole, solo la Grande Madre: e si ritorna a rue du Bac, alla medaglia che è non solo un segno distintivo delle monache vincenziane (note in tutto il mondo per la carità verso gli ultimi), ma anche un percorso. Se è vero che la ragazzina di Lourdes, la casta Bernadette, quando fu testimone delle apparizioni mariane 28 anni dopo Caterina, aveva al collo la "medaglia miracolosa", l'oggetto smette di essere un feticcio e riporta al grande mistero: "monstra te esse matrem".
"Parole non ci appulcro", avrebbe detto un altro grande innamorato di Myriam, l'Alighieri che Foscolo definiva "il ghibellin fuggiasco": ma non fuggiasco da se medesimo, se colse nella luce sterminata della Vergine, il compimento sommo del poema. E per chi sorride scetticamente, cosa affatto comprensibile, potremmo citare i simboli ma la disamina sarebbe lunga: bastino le 12 stelle della medaglia, presenti nella bandiera di quella tanto vituperata Unione Europea da taluni tacciata quale causa d'ogni male economico delle Nazioni affiliate: e tuttavia, sembra che nel disegno originario poi approvato dalla laicissima commisione vi fosse proprio l'ispirazione mariana derivata dalla visione di Caterina Labouré: "ti coronano dodici stelle...", recita un canto popolare mariano. Sono anche i 12 segni dello zodiaco di Denderah e della tradizione astrologica delle società iniziatiche? Nulla è in contraddizione, anzi tutto è Uno, per chi crede.
A noi, per concludere, piace pensare che il trentatreenne Vincenzo Bellini, che a Parigi còlse il fulgore del successo e la mestizia della morte negli ultimi due anni della sua vita nella capitale francese (estate 1833-settembre 1835), mentre in sequenza nel delirio di quel tragico 23 settembre a Pouteaux vedeva la mamma, i parenti e Sant'Agata e Catania, solo, nel velo che gli coprì per sempre lo sguardo, lui così religioso (ma fu anche carbonaro e amico di molti esuli patrioti, dal Pepoli autore del libretto dei Puritani, alla principessa Belgioioso), abbia avuto in mano anche la già diffusissima a Parigi medaglia "miracolosa" e con quella visione mariana, e molto siciliana, si sia involato verso l'Infinita azzurrità, accolto come ognuno se vuole può, da quella Luce che non ha orizzonti, perché soffusa da scintille di assoluto.
Francesco Giordano
(Pubblicato sul quotidiano online LinkSicilia: http://www.linksicilia.it/2014/10/un-siciliano-a-parigi-alla-scoperta-della-madonna-di-rue-du-bac-e-la-medaglia-miracolosa/)
venerdì 12 settembre 2014
domenica 24 agosto 2014
Catania, in biblioteca internet si paga: si esentino almeno i disoccupati
Catania, in biblioteca internet si paga: si esentino almeno i disoccupati
Le grandi città d’Italia hanno internet gratis in biblioteca, a Catania, dal 2012, è a pagamento: perchè? Si esentino i poveri e disoccupati
Allorquando un servizio di pubblica utilità nasce con intenti positivi ed allargati indistintamente a tutti i cittadini, non si può che gioirne: così è nata la comune concezione, seppur distorta e mònca, della democrazia (che è, diceva il buon Churchill, “il meno peggio dei modi di governo”). Però accade che certi servizi degenerano o vengano limitati, ed è il caso di protestare come cittadini in quanto tali: se si è poi operatori dell’informazione (liberi, senza “u principali”), si ha l’obbligo deontologico di denunziare il grave vulnus.
Ciò accade nel comune di Catania, città quasi trimillenaria, fondata prima di Roma, e governata -dopo lunghi anni di centrodestra- nuovamente da colui che fu il “Sindaco della primavera”, oggi essenzialmente appannata, ovvero Enzo Bianco. Il caso riguarda il servizio internet della gloriosa Biblioteca comunale pubblica intitolata al Cigno etneo, e mondiale, Vincenzo Bellini (la cui sede centrale è all’inizio della cosiddetta “salita” di Sangiuliano, in pieno centro storico).
La precedente amministrazione comunale di Raffaele Stancanelli (che altro non fu che il gestore ‘commissariale’ degli anni di “visionarietà”, per usare un termine elegante, del fu Umberto Scapagnini -Sant’Agata sa perchè egli non è più in vita, e lo sanno anche molti catanesi, ma transeat-), ebbe la positiva idea, circa cinque anni fa, di inaugurare in biblioteca un servizio multimediale di postazioni internet, aperto a tutti e gratuito. Così allineandosi alle grandi città italiane che già nelle biblioteche comunali e statali lo possedevano (nei primi anni novanta, era anche allora Bianco Sindaco ma da noi ciò si immaginava, rammentiamo il collegamento internet alla Nazionale Centrale di Firenze, pubblico e gratis: quasi fantascienza, tra il 1993 e 1994…).
Da ultra trentennali frequentatori di quel tempio laico che è ogni biblioteca, quindi anche la “Bellini” di Catania (nata biblioteca popolare, già durante il fascismo: nel dopoguerra ebbe anche sede nel distrutto da un incendio -doloso?- chiosco cinese della Villa comunale, fondi stanziati e mai più riocostruito…nella nostra storia giornalistica innumerevoli sono gli articoli dedicati a quella istituzione), apprezzammo l’iniziativa e ci tesserammo pure: un’ora al giorno e gratis, era qualcosa, nel 2010. Appena si sparse la voce, si formava la fila degli utenti per consultare la rete, considerando che tutti i punti internet privati di accesso erano, e sono, a pagamento. Non aveva ancora avuto larghissima diffusione lo smarthpone…
Mancando da oltre un anno dalla “Bellini”, apprendiamo recentemente da persona cara una notizia inquietante: “sai, il servizio internet ora si paga, in biblioteca…” “Si paga? Ma non era gratis? “Sì, costa un euro l’ora…”. Ci ripromettiamo di indagare, ed è presto fatto. Si da per scontato, ma qui necesse est, ribadire -come si potrà notare da una semplice verifica in rete- che tutte le grandi città italiane, nelle loro biblioteche pubbliche -qui citiamo Milano, Firenze, Roma per dare l’idea- forniscono attualmente l’uso gratuito del servizio internet, attraverso varie postazioni, ai cittadini residenti.
A Catania no, si è regrediti. Mercè la cortesia dell’impiegato responsabile (la buona creanza è sempre stata appannaggio del personale della biblioteca comunale Bellini, lo possiamo testimoniare sin da quando iniziammo a frequentarla, studenti delle medie: erano i tempi del dott.Nicolosi direttore e del signor Sapuppo bibliotecario e di Benito Fangani, barone e presidente dell’Accademia della Rosa Azzurra, che tutto sapevano dei libri, e pure dei temi di essi… anni eroici), constatiamo che l’ex Sindaco Stancanelli ha applicato il verso evangelico: “il Signore ha dato, il Signore ha tolto, benedetto il nome del Signore” (che Dio ci perdoni…). Ovvero, dalla Carta dei Servizi della Biblioteca e decentrate, “allegata alla delibera n.471 del 5.10.2012″ si apprende che è istituita da quella data la tessera Mediacard, con cadenza annuale ed al seguente costo: euro 18 ordinaria, euro 12 studenti, euro 5 over 65, per l’utilizzo dei servizi internet.
Non solo, si è voluto persino lucrare sulle addenda: chi volesse effettuare masterizzazione dati sui pc della biblioteca o usare la propria pendrive, deve pagare da 1 euro a 50 centesimi. Va da se che la consultazione per un’ora, è al costo di un euro. Rimaniamo basiti ma, per farla tutta, paghiamo l’euro (pensando che con quella monetina, un tempo non lontano quasi duemila lire, potevamo la stessa mattina comperare “a fera o luni” un chilo di banane o mezzo chilo di cozze nere “di Missìna”… ma pazienza) e ci mettiamo a navigare dal pc comunale, non prima di aver accusato tanto di ricevuta, firmata dal solerte impiegato (ci informa costui che tali fondi sono destinati alla manutenzione delle apparecchiature della biblioteca).
Rispetto a qualche anno fa i pc sono rinnovati, e pure il collegamento è più efficiente, questo è palese. Ma continuiamo a rimarcare l’incongruenza: passim per il servizio a pagamento, mentre nelle suddette citta d’Italia non esiste ed è gratis, ma in quale categoria inserire i disoccupati, gli inoccupati con meno di 65 anni e coloro che hanno reddito ISEE meno di 5 mila euro, i poveri insomma, i quali più dei salariati hanno diritto alla libera informazione?
Da qui l’invito all’attento e conscio delle sue responsabilità Enzo Bianco, affinchè voglia sanare la grave ingiustizia sociale ereditata dalla passata amministrazione: si crei ad hoc una tessera gratuita per i disoccupati e coloro che hanno reddito ISEE inferiore a 5 mila euro (ciò deve essere naturalmente documentato con autocertificazione posta al vaglio delle autorità), perchè nè costoro possono rientrare nella categoria ordinaria, ne in quella studentesca. Infatti in tempi di crisi terrifica, nessun padre di famiglia può spendere pure 18 euro l’anno per un’ora al giorno di connessione internet, che nacque gratuita e deve rimanerlo, se non per tutti, per quelle categorie che non hanno i mezzi economici per poter affrontare tale spesa, di cui il Comune deve farsi carico.
Già accade che la Regione, attraverso le ASL, certifica l’esenzione totale per quasi tutti i medicinali, a coloro che risultano disoccupati: perchè non adeguarsi e esentare questa categoria dalla consultazione a pagamento di internet, a parte il fatto che ciò potrebbe servire per eventuali possibilità lavorative? E si aggiunga che le esenzioni per i disoccupati del comune di Catania, a nostro avviso, sempre documentabili, dovevano essere estese a tutti gli spettacoli della cosiddetta “estate catanese” (molti sono a pagamento) come l’ingresso ai monumenti e musei di pertinenza comunale.
E meno male che l’assessore “ai Saperi e Bellezza” è un noto esponente di un partito di estrema sinistra, ormai fuori dal Parlamento…bella solidarietà con gli ultimi.
“Fin quando avremo un panettello, lo divideremo col povero, e non bastandoci denaro, una buona parola da noi verrà sempre”, fu la divisa della vita terrena (incisa sulla pietra del monumento che lo rappresenta nella piazza San Francesco, davanti la chiesa dell’Immacolata) del Beato Cardinale Giuseppe Benedetto Dusmet, panormita, benedettino, arcivescovo di Catania in sul finire del XIX secolo: rimpiangiamo una tempra siffatta, e lo invochiamo (la sua salma ornata de’ paramenti è esposta in Duomo, vicino Sant’Agata e Bellini) perchè illumini le menti di coloro che la sorte ha indicato reggano i pubblici uffici. Voglia quel sant’uomo che (con l’altro “santo” laico, Mario Rapisardi, pure chiamato benefattore degli ultimi) la città e l’isola di Sicilia rivedano la Luce del nuovo mattino, e non permangano nelle insidie di Mammòna. Anche una rettifica in senso sociale (socialista? “lo sono sempre stato”, rispondeva Dorelli-maestro Perboni, nella versione televisiva di Cuore…) come quella da noi invocata, può essere un segno. Poiché niun giorno, secondo i Romani antichi, era “sine linea”.
Francesco Giordano
(Pubblicato sul quotidiano online LinkSicilia: http://www.linksicilia.it/2014/08/catania-in-biblioteca-internet-si-paga-si-esentino-almeno-i-disoccupati/)
sabato 9 agosto 2014
Popolo e autonomia in Sicilia, ieri e oggi: e una lezione storica da Israele...
Popolo e autonomia in Sicilia, ieri e oggi: e una lezione storica da Israele...
Un articolo uscito pochi giorni fa sul quotidiano online LinkSicilia, a firma Riccardo Gueci (http://www.linksicilia.it/2014/07/in-tanti-paesi-del-mondo-si-lotta-per-lautonomia-tranne-che-in-sicilia/) mi spinge a dare quel piccolo contributo personale, in quanto studioso di Storia siciliana con all'attivo alcune pubblicazioni (l'appellativo di "storico" lasciamolo ai grandi, da Giuseppe Giarrizzo al fu Santi Correnti, nella linea di March Bloch: anche perchè "storici" si diventa almeno dopo la sessantina, e per noi c'è ancora qualche tempo...) che ritengo necessario sul presunto ruolo del popolo nell'Autonomia siciliana, ieri e oggi.
Una nota di commento dell'economista palermitano Massimo Costa riassume ciò che ogni persona mediamente colta in Sicilia sa: cioè che le cosiddette classi dominanti, che per secoli furono la nobiltà, il clero e le corporazioni cittadine, mercantili in primis (il concetto di borghesia ebbe concretezza in Sicilia nella rivoluzione del 1848-49: ancora a' tempi della Costituzione 'inglese' del 1812, un sincero democratico come Domenico Tempio poteva sbeffeggiare i novelli "putiàri spillacchiùni" assisi "sulli pisòla" nella Catania del Bentinck: e nessuno poteva accusare Tempio di essere antipopolare, anzi...), allorchè si videro costrette a scegliere fra un Sovrano straniero e uno locale, scelsero sempre quello straniero, perchè il fatto di essere distante dalla madrepatria, ne garantiva i privilegi e le tutele personali molto di più che uno autoctono o residente nell'Isola. Giustamente ci gloriamo del Vespro, che se fu mòto di popolo, venne anche perfettamente organizzato come una congiura strategica da uomini determinati (ci ha insegnato il Runciman nella sua opera fondamentale): non volevamo più l'esoso fiscalismo di Carlo d'Angiò, ma neppure l'approfittarsi di Giacomo d'Aragona delle libertà che i Re normanni avevano concesso ai siciliani: ed elegemmo sia a Palermo che a Catania un Re "nostro", Federico III, nel 1296. Egli fu davvero il simbolo, ben più degli avi, della indipendenza siciliana: tanto più che concesse al baronaggio ed alle città amplissimi poteri, come fecero i suoi successori. Ma quando nella seconda metà del XIV secolo la Sicilia, dilaniata dalle faide dei quattro Giustizieri, vide la rinnovata occupazione spagnola-catalana di Martino il giovane (1392), nonchè pochi anni dopo, nel congresso di Caspe, l'assegnazione della corona siciliana alla transeunte dinastia dei Trastamàra, "il paese era troppo esaurito per reagire, ovvero la dominazione straniera era positivamente desiderata come una liberazione dal caos" (D.Mack Smith, Storia della Sicilia medievale e moderna, ed.1971, pag.118).
Non solo: si rimase felicissimi, nei secoli successivi, di essere governati dai Vicerè: occasionalmente il popolo si ribellava ma quando erano intaccati gli interessi di una fazione, di una casta, non già per puro sentimento nazionalista o indipendentista. Era molto meglio, per il siciliano medio, essere governati da un funzionario inviato da Madrid (che all'occorrenza, come accadde, si poteva benissimo fare sloggiare appellandosi al Re in persona), che essere legati a Napoli. A Messina si batteva moneta, e nei minuscoli "pìccioli" erano presenti nel XVII secolo le iniziali degli zecchieri: privilegio che poteva avere una moneta sovrana, con l'aquila siciliana, ma emessa a nome di Sua Maestà il Re di Spagna, che era anche Sovrano in Sicilia. E nella moneta Grano dei Vicerè, in rame purissimo come i pìccioli, era scritto "ut commodius", come a dire: fate ciò che volete, il governo c'è, ma è abbastanza lontano perchè i siciliani siano liberi. "Per i siciliani, i Vespri e la chiamata degli spagnoli nel 1282 divennero il simbolo stesso delle libertà locali contro il desiderio di Napoli di dominare e sfruttare. In Sicilia c'era la tendenza a detestare e criticare qualsiasi governo, ma l'animosità era diretta molto meno contro la Spagna che contro Napoli" (Mack Smith, op.cit., pag. 152). Da ciò si può arguire perchè in Sicilia nel XIX secolo vi furono diverse rivolte "borghesi" e popolari contro i Borbone di Napoli: Ferdinando III di Sicilia e IV di Napoli, nel 1816 Ferdinando I delle Due Sicilie, aveva più volte tradito il giuramento e soppresso dopo secoli il Parlamento Siciliano, accorpando l'isola ai domìni di là del faro. Per le medesime ragioni le elìtes siciliane (Tomasi di Lampedusa e Pirandello, ne I vecchi e i giovani, ben lo scrissero), preferirono un Re "straniero" e lontano come Vittorio Emanuele II, che un sovrano oppressivo e ottuso come Ferdinando II, che per giunta non s'era fatto scrupolo di bombardare le città costiere siciliane nel 1849, Palermo e Catania in primis, mandando poi a sterminare la gente gli svizzeri del famigerato reggimento Riedmatten. Doveva cambiare tutto e nulla, con la sostituzione dello "stellone" monarchico, e pure frammassonico, italiano (qualcuno sa che il cosiddetto "palancòne", la moneta da 10 centesimi di Vittorio Emanuele II, fu coniata, oltrechè a Parigi e Brussèlle, anche a Birmingham? Eppure è così), alla bandiera gigliata. Sbagliò il governo nazionale nella soppressione degli enti ecclesiastici, "derubando" i beni della Chiesa, e mal gliene incolse: lì il popolo si ribellava, ma perchè non aveva più la garanzia del "pane" che le infinite rendite della Chiesa gestivano... non certo per indipendentismo allo stato puro, tranne alcuni intellettuali. Così il regio decreto 28 luglio 1861, che istituiva in tutto il novello Regno d'Italia il sistema metrico decimale, abolendo -dopo un periodo di transizione di due anni- in Sicilia e nel Napoletano le vecchie misure di peso lunghezza e capacità, creò non poco disappunto nei commercianti abituati a frodare e farla sempre franca, dònde le sommosse, per interessi particolari. Quindi il popolo in tutti questi contesti, non si è mai distinto dalle classi dominanti.
E' una fiaba bella e buona, artatamente letta con le lenti deformanti del veteromarxismo otto e novecentesco, che "il popolo" in Sicilia abbia o possa avere un significativo riscontro, ieri come oggi. Avvicinandoci adunque a tempi recenti, se è vero che nel 1944 il Movimento Indipendentista di Andrea Finocchiaro Aprile (e dei nobili Tasca e Carcaci, nonché dei "sostenitori occulti", fra i quali il noto Calogero Vizzini da Villalba, già Sindaco del suo paese nominato dall'AMGOT, avente vastissimo seguito: alcuni lo dissero "capo" di organizzazioni criminose, così lo definì il brillante giornalista e politico Michele Pantaleone, che noi conoscemmo: però il Vizzini, che è morto libero nel suo letto, ebbe fratelli sacerdoti e fu perseguitato dalla dittatura fascista...) ebbe migliaja di iscritti in tutti gli strati popolari e quindi un consenso grandissimo da più della metà dei siciliani che desideravano autogovernarsi in un momento di crisi terribile e non più essere vessati dopo tre anni di mefitici bombardamenti sui civili (rammentatelo sempre: questa fu la cagione della rabbia siciliana... noi ora tendiamo a dimenticare, ma i nostri genitori erano sotto le bombe per tre anni, come adesso i nostri coevi ebrei in Israele sono sotto i missili del terrorismo palestinese...), è anche altrettanto vero che il lucidissimo leader di Lercara Friddi scrisse molto chiaramente che, nel futuro assetto del mondo, la Sicilia doveva essere sì indipendente, ma legata a doppio filo ai governanti vincitori. Cioè gli USA e la Gran Bretagna. Pare che (casualmente?) sia successo proprio questo: un federalismo "concesso" dalla Monarchia il 15 maggio 1946, e l'Isola nell'orbita dell'Alleanza Atlantica. Dispiace che molti indipendentisti vecchi e nuovi lo vogliano rimuovere, ma la frase che Finocchiaro Aprile scriveva ad Eleanor Roosevelt il 15 febbario 1945 non si presta ad equivoci, ed è bene riportarla ancora: "E' nostro proposito di prendere a modello per la Sicilia l'ordinamento costituzionale degli Stati Uniti, e d'intrattenere con essi i migliori e più intimi rapporti politici ed economici. Saremmo lieti ed orgogliosi se la Sicilia potesse essere la longa manus degli Stati Uniti in Europa". E chi vuole capire, capisca...
Ultima e non meno importante precisazione: il Gueci cita "il popolo palestinese, che lotta per la sua indipendenza, con enormi sacrifici umani, contro il dominio israeliano". Purtroppo egli dimentica di rammentare -ma sta succedendo troppo spesso ultimamente, e invero ne siamo stufi- le immense e ben più gravi sofferenze che la popolazione di Israele subisce a cagione dei razzi dei terroristi di Hamas. E che sin dalla nascita nel 1948, Israele è stato attaccato e combattuto dagli arabi ed ha sempre vinto tutte le guerre per la sopravvivenza, poichè non si era mai vista la rinascita di una stirpe schiacciata per diciotto secoli, che decide finalmente di risorgere dal lungo sonno e tornare a casa, in quella Terra (Eretz Israel) che il Padre assegnò per divino diritto. La storia della nascita del moderno stato di Israele, sia contro la potenza mandataria britannica che contro gli arabi, per la sacra Libertà (Herut!, è il grido che prorompe da ogni cuore...), è un insegnamento e una lezione storica per qualunque popolo, i sicilianisti ne tengano conto. Agli scettici consigliamo, e soprattutto agli indipendentisti siciliani, la lettura delle memorie di Menachem Begin (pubblicate in Italia nel 1981 da Ciarrapico), artefice degli accordi di Camp David e Premio Nobel per la Pace nel 1978: ma anche "comandante" dell'Irgun, la formazione paramilitare che lottò aspramente per la fondazione dello Stato sionista: "Soltanto così", fu il motto dell'Irgun, una mano che regge un fucile. "Che ogni uomo giusto sondi la sua anima e risponda con giustizia, perchè in ultima istanza la speranza di ogni popolo risiede nella disponibilità dei suoi figli a mettere in gioco la propria vita "per la madre", per la Libertà che l'uomo ama, contro l'asservimento che l'uomo odia e deve odiare in nome dell'amore": così Begin scriveva nell'introduzione al libro. Non ci pare che tutto ciò si attagli al popolo, in Sicilia. Ma, come gli ebrei d'Israele che combattono per la Libertà, siamo lo stesso orgogliosi di essere nativi della Nazione tricuspide, perchè -canta semplicemente Lucio Dalla, che amava l'isola- "tra un greco, un normanno e un bizantino, io son rimasto comunque siciliano".
Francesco Giordano
(Articolo ripreso e pubblicato sul giornale online Kolot News: http://www.kolotnews.it/index.php?option=com_content&view=article&id=106:popolo-e-autonomia-in-sicilia-ieri-e-oggi-e-una-lezione-storica-da-israele&catid=36&Itemid=242)
giovedì 7 agosto 2014
venerdì 18 luglio 2014
Zichichi: "L'ideale sarebbe una dittatura illuminata che risolva i problemi della gente", e sul MUOS: "le carezze non fanno male"
Zichichi: "L'ideale sarebbe una dittatura illuminata che risolva i problemi della gente", e sul MUOS: "le carezze non fanno male"
Il trapanese Antonino Zichichi è un fisico e scienziato arcinoto a livello mondiale, vanto della Sicilia e dell'Italia nelle nazioni, sia per le sue scoperte scientifiche, che per le doti di organizzatore e di uomo di pace. Oggi quasi ottantacinquenne, fu protagonista nel periodo d'oro del Centro Ettore Maiorana di Erice, di una convergenza eccezionale dei massimi leaders mondiali, negli anni Ottanta, vòlta a ridurre le potenzialità degli arsenali nucleari ed a limitare l'attività dei laboratori segreti, che ancora funzionano: per queste ragioni si fece mediatore fra Reagan, Gorbaciov e Deng Tsiaoping, i leaders delle tre superpotenze.
A volte controverso poichè, da divulgatore, tiene a precisare di coniugare bene la sua fede nel Cristianesimo cattolico con la Scienza e la ricerca,ha rilasciato una intervista il 6 luglio u.s. al quotidiano online LiveSicilia, raccolta dal collega Daniele Valenti.
Tale dichiarazione di Zichichi è stata a parere nostro trascurata, tranne per la parte in cui, giustamente, egli disgustato dal comportamento del Presidente della Regione Siciliana Crocetta, sconsiglia di averci più a che fare; ma contiene affermazioni molto importanti, specie di fronte alla caotica e informe società in cui viviamo. Rileggiamole, e chi ha voglia ascolti l'audio con la voce del fisico, in questo link: http://livesicilia.it/2014/07/06/lavorare-con-crocetta-non-lo-suggerirei-a-nessuno_512701/
"L'ideale di governo sarebbe quello di una dittatura illuminata che venisse incontro ai problemi della gente, risolvendoli"
"La democrazia ha i suoi difetti e, come disse Churchill, è la meno peggio fra le forme di governo che noi possiamo immaginare"
"Realizzare il nucleare in Sicilia mettendo questo in mano alla grande scienza, sarebbe stata la fortuna della Sicilia..."
"Il MUOS: le risulta che le carezze fanno male? Noi viviamo in un mondo pieno di elettromagnetismo, di onde elettromagnetiche. Per il MUOS, sono potenti sistemi di emissione di onde elettromagnetiche e, se queste cose vengono fatte correttamente, non hanno nessun pericolo. Se si vuole combattere il MUOS, lo si combatte in maniera politica"
"Da Crocetta consiglierei di non accettare nulla!"
"Veniamo da uno spazio a 43 dimensioni, il supermondo, ma affichè questo sia dimostrabile, bisogna scoprire la prima particella, ciò su cui siamo fortemente impegnati"
Capito? Se qualunque politico avesse detto oggi di volere una dittatura illuminata che risolve i problemi, qui e nel mondo, sarebbe stato additato come un mostro, un novello Attila! Ma cosa è importante per la gente, che i problemi si risolvano o che si sguazzi nella melma della mediocrità?
E anche sul MUOS, delle parole chiare: è un affare di scontro politico e, come chiarisce la scienza, non ci sono pericoli per la popolazione. Un semplice telefonino è magari molto più pericoloso, perchè la maggior parte della gente lo tiene appiccicato all'orecchio (quando i manualetti suggeriscono che la distanza minima è di almeno 2,5 cm, e di usare le cuffie, che pochi adoperano): ma risulta facile abboccare alle sirene delle ideologie.
Per quanto riguarda Crocetta, stendiamo un velo pietoso. E sul nucleare in Sicilia, sarebbe un affare, se avessimo dei veri amministratori politici, e non la gente che conosciamo (si è compreso, difatti nel 2012, alle ultime regionali, la maggioranza dei siciliani, caso mai accaduto, non si è recata alle urne: per cui l'attuale compagine all'ARS e il Presidente, sono de facto espressioni di una minoranza di minoranza).
Infine, anche noi siamo come l'illustre scienziato, convinti che esistano molte più dimensioni di quelle che percepiamo. Il Supermondo è da sempre una realtà. Attendiamo le dimostrazioni di ciò che è nei fatti, alla Luce del Sapere.
Ad maiora, professor Zichichi, ce ne fossero di persone che parlano oggi così schiettamente!
F.Gio
lunedì 23 giugno 2014
Con Felipe VI per la Catalogna il federalismo economico. Sulla scia dello Statuto siciliano
Con Felipe VI per la Catalogna il federalismo economico. Sulla scia dello Statuto siciliano
Come affronterà la spinta separatista catalana il nuovo re di Spagna? Secondo alcuni, proprio sulla spina nel fianco della politica spagnola, Felipe VI dimostrerà di essere un monarca più ‘moderno’ nel suo approccio con il diritto di autodeterminazione dei popoli.
E nel suo primo discorso ufficiale, in effetti, non mancano tracce di novità. Non abbastanza per molti indipendentisti catalani, che hanno maldigerito i riferimenti all’Unità della Nazione. E che comunque sono anche repubblicani. Esquerra Repubblicana, ad esempio, contattata da Linksicilia, non ha esitato a bocciare in toto il nuovo re, come vi abbiamo detto qui.
Eppure, le novità portate da Filippo VI potrebbero parlare di federalismo economico. Certo non sarebbe l’indipendenza, ma, in fondo, stringendo, ciò che interessa ai catalani è di potere gestire direttamente le proprie risorse, senza l’intermediazione vampira di Madrid.
Un modello di federalismo fiscale già disegnato per la Sicilia con lo Statuto speciale. E mai applicato veramente.
di Francesco Giordano
Il federalismo economico, più che il separatismo, all’orizzonte della Catalogna, si evince dal discorso della Corona del nuovo Re di Spagna Felipe VI “Una Monarquìa renovada para un tiempo nuevo”: questa la linea tracciata dal nuovo Re di Spagna, Don Felipe VI, nel discorso di insediamento della Corona, pronunziato il giorno 19 giugno innanzi alle Còrtes, il Parlamento iberico riunito solennemente per l’occasione.
E’ stato quello che si dice un momento storico per la grande ed importante Nazione d’Europa, rinnovare l’istituzione monarchica nel momento in cui, per le problematiche interne, nella persona del Re Juan Carlos che ha regnato per 39 anni essa era appannata e scalfita da macchie gravissime per l’etica pubblica della popolazione. Scegliendo di abdicare al momento giusto e lasciando il trono, e la scena al quarantaseienne Felipe, accompagnato dalla ex giornalista Letizia Ortiz, nuova Regina, e dalle belle bimbe Leonor e Sofia, le più giovani eredi al trono di tutte le case regnanti in Europa, Juan Carlos ha in ogni caso reso l’ultimo servigio notevolissimo alla sua Patria e all’idea della Monarchia in senso lato: non che, a parer nostro, sia stata una scelta assoluta (per gli scandali cui si accennava), però considerata la situazione, fu la migliore.
Emozionato, come si conviene a chi ascende al trono anche se da sempre è preparato a quello che gli scrittori di un tempo definivano “il mestiere di Re”, Felipe lo è e lo fu particolarmente, mentre il bacio finale di Letizia nuova Regina di ceppo borghese, lo sciolse dall’evidente imbarazzo: come la nivea bellezza delle bambine di otto e sette anni, che accompagnarono i genitori, scaturiva mòti di simpatia e sorrisi da parte di tutta la popolazione, che in Spagna e nel mondo ha seguito la diretta tv ed in streaming su internet, del giuramento alla Costituzione e dell’insediamento.
Proprio la “monarchia rinnovata” è stato il segno che il nuovo Re ha voluto dare come inizio del suo mandato da “Rey consitucional”. Ha tenuto a sottolineare la funzione di arbitro essenziale dei poteri dello Stato il nuovo Sovrano, in continuità con il ruolo del padre, che fu equilibrio importantissimo dopo la fine della dittatura del Generalissimo Francisco Franco (egli è morto nel 1975, quarant’anni non sono ancora trascorsi: crediamo che l’ombra lunga e non del tutto fuggevole del franchismo, non sia svanita dalla psicologia collettiva degli spagnoli), specie in momenti essenziali. Felipe è della nuova generazione cresciuta nella democrazia e nel pluralismo: per cui intende rinnovare il modo di interpretare il Regno.
A questo riguardo, per noi fautori del federalismo a cui sono care tutte le cause dell’autodeterminazione dei popoli, come già leggevamo in un precedente intervento, la questione catalana è ad un bivio cruciale. Se Felipe ha precisato che “quiero reafirmar, como Rey, mi fe en la unidad de España, de la que la Corona es símbolo. Unidad que no es uniformidad, Señorías, desde que en 1978 la Constitución reconoció nuestra diversidad como una característica que define nuestra propia identidad, al proclamar su voluntad de proteger a todos los pueblos de España, sus culturas y tradiciones, lenguas e instituciones”,
il passaggio successivo è altamente chiarificatore, a nostro avviso, di quelli che saranno gli sviluppi della Catalogna in senso federale: “Una diversidad que nace de nuestra historia, nos engrandece y nos debe fortalecer. En España han convivido históricamente tradiciones y culturas diversas con las que de continuo se han enriquecido todos sus pueblos. Y esa suma, esa interrelación entre culturas y tradiciones tiene su mejor expresión en el concierto de las lenguas.Junto al castellano, lengua oficial del Estado, las otras lenguas de España forman un patrimonio común que, tal y como establece la Constitución, debe ser objeto de especial respeto y protección; pues las lenguas constituyen las vías naturales de acceso al conocimiento de los pueblos y son a la vez los puentes para el diálogo de todos los españoles. Así lo han considerado y reclamado escritores tan señeros como Antonio Machado, Espriu, Aresti o Castelao”.
In altre parole e leggendo fra le righe, come deve farsi perchè proprio per l’alta sua funzione un Re non può esprimersi direttamente nelle questioni politiche nazionalistiche delle varie parti dello Stato, si nota bene l’intenzione che, conoscendo la personalità di Felipe e sapendolo slegato da visioni passatistiche, potrà attuare, in tempi brevi: concedere, d’autorità da parte della Corona, un nuovo Statuto alla Catalogna, che inglobi la parte che ora è assente nella loro carta autonomista, approvata nel 2006: l’autogestione delle risorse finanziarie locali, poichè essendo la Catalogna la prima delle regioni spagnole a contribuire al bilancio nazionale in termini di PIL, è chiaro che attualmente i tre quarti di esso vengono drenati verso Madrid, mentre solo infimo è il ritorno in beni e servizi, alla comunità catalana.
Ciò, al netto delle (legittime) rivendicazioni nazionaliste ed anche separatiste, è quello che chiede la maggioranza dei catalani, la gestione in casa delle risorse locali. Che, in altri termini, si appella federalismo, in senso onnicomprensivo. La Spagna con Felipe VI diventerà uno Stato moderno quindi federale, unito tuttavia nella figura sovrana? Crediamo che andrà a finire così, anche perchè, data l’autogestione economica alla Catalogna, anche i paesi Baschi la chiederanno e l’otterranno, come la Galizia e le minori comunità autonome montane.
Da non dimenticare che in Spagna tutti i partiti, dal centrista al socialista (se si escludono gli estremisti di sinistra), sono convintamente monarchici: specie, ed è significativo, i socialisti… (situazione che avremmo potuto avere in Italia: si rivedano, per chi intende approfondire, i libri “La Monarchia socialista” del grande giornalista Mario Missiroli, che è del 1913, e dato che da noi c’è sempre stata la presenza della Chiesa il volume dottissimo “Il papato socialista”, di quel fine intellettuale seppure repubblicano, che fu Giovanni Spadolini, testo del 1950, riedito nel 1969).
In Sicilia conosciamo bene questo percorso poichè, dal 1943 al 1946, ne fùmmo antesignani. Solo dopo la guerra civile tra la maggioranza dei siciliani infatti e i governi nazionali dell’epoca (da Badoglio a Parri a Bonomi a De Gasperi: e citiamo politici comunque di altissima levatura… lasciamo perdere l’oggi!), il movimento indipendentista isolano, guidato da Andrea Finocchiaro Aprile e dagli agrari e nobili (monarchici) Lucio Tasca e Franz e Guglielmo di Carcaci, sebbene avesse una minoritaria componente estremista anarchica facente capo ad Antonio Canepa (non a caso perito in un agguato, che giustamente molti ritengono oscuro, il 17 giugno del 1945, in quel di Randazzo), ottenne dalla Corona di Savoja ciò che fra breve otterrà la Catalogna: lo Statuto Speciale (termine che è intercambiabile con quello di ‘federale’) della Regione Siciliana, che nasce il 15 maggio del 1946 in una Italia monarchica, e che la sovvenuta (e luetica come sempre ripetiamo, nata dall’imbroglio del falso referendum del 2 giugno del medesimo 1946) Repubblica accetterà e inserirà anzi nella Carta Costituzionale nel 1948.
Il quale Statuto prevede l’autogestione delle nostre ricchezze: se tale parte non viene compiutamente attuata, è colpa dei politici regionali e di chi li sostiene, invece di fare l’interesse del popolo siciliano.
Che poi oggi la discussione sulla riforma del titolo V e quindi sul ruolo delle Regioni a Statuto Speciale, e la Sicilia ha l’unicità di questo ed è la più “speciale” di tutte, possa limitarne le funzioni, è altra questione di cui non mancheremo di occuparci.
In Catalogna a novembre si terrà il referendum, contro la volontà del governo nazionale madrileno, per scegliere l’indipendenza o meno dalla Spagna. Si sa già che tale votazione non ha corso legale per la Costituzione spagnola, ma i catalani in gran maggioranza intendono svolgerla.
Pare che il nuovo Re il quale nel ringraziare alla fine del discorso della Corona, si è espresso nelle quattro lingue nazionali, castellano, catalano, basco e galiziano: vi immaginate un Presidente della Repubblica italiana che nel discorso di fine anno, si esprime nei saluti in italiano, siciliano, sardo, napoletano, romanesco, veneto e lombardo?
Questo può solo un Re… abbia in programma il primo viaggio ufficiale proprio a Barcellona, la bellissima e cosmopolita capitale catalana, dalla storia di grande libertà intellettuale e politica.
Se scorgiamo avvedutamente le mòsse del nuovo Sovrano che ha certamente presente la Storia passata ma anche quella futura: tanto per rimanere in tema, qualora la Scozia che anche deve esprimersi per l’indipendenza dalla Gran Bretagna, scegliesse di essere nazione autonoma, conserverebbe sempre la Regina come comune Capo dello Stato, quindi… egli agirà con determinazione ma anche con accorto rispetto della volontà popolare, evitando le trappole dell’estremismo come di intaccare il prestigio della Corona.
Ed è in fondo ciò che un Sovrano deve fare, se è veramente tale: integrare i popoli diversi e farne come la punta del triangolo, scintillare l’unità nella differenziazione di ciascuno, perchè tutti sono cari agli occhi del Divino, ma ogni essere vivente ha la propria unicità.
La sfida di Felipe è anche quella della Citta del Sole: però, portando egli il nome di Re a noi siciliani molto cari (sotto Filippo II l’isola, ove circolava la moneta Grano, ebbe prosperità economica e libertà nei commerci, come importante fu la sua classe di uomini colti, non raggiunta dipoi che nel XVIII secolo), crediamo che possa essere un monarca degno della tradizione.
Francesco Giordano
(Articolo pubblicato sul quotidiano online LinkSicilia: http://www.linksicilia.it/2014/06/con-felipe-vi-per-la-catalogna-il-federalismo-economico-sulla-scia-dello-statuto-siciliano/)
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