lunedì 23 giugno 2014

Con Felipe VI per la Catalogna il federalismo economico. Sulla scia dello Statuto siciliano


Con Felipe VI per la Catalogna il federalismo economico. Sulla scia dello Statuto siciliano


 22 giu 2014   Scritto da Francesco Giordano 


Come affronterà la spinta separatista catalana il nuovo re di Spagna? Secondo alcuni, proprio sulla spina nel fianco della politica spagnola, Felipe VI  dimostrerà di essere un monarca  più ‘moderno’ nel suo approccio con il diritto di autodeterminazione dei popoli.
E nel suo primo discorso ufficiale, in effetti, non mancano tracce di novità. Non abbastanza per  molti indipendentisti catalani, che hanno maldigerito i riferimenti all’Unità della Nazione. E che comunque sono anche repubblicani.  Esquerra Repubblicana, ad esempio, contattata da Linksicilia, non ha esitato a bocciare in toto il nuovo re, come vi abbiamo detto qui.
Eppure, le novità  portate da Filippo VI  potrebbero parlare di federalismo economico.   Certo non sarebbe l’indipendenza, ma, in fondo, stringendo, ciò che interessa ai catalani è di potere gestire direttamente le proprie risorse, senza l’intermediazione vampira di Madrid. 
Un modello di federalismo fiscale già disegnato per la Sicilia con lo Statuto speciale. E mai applicato veramente.
di Francesco Giordano

Il federalismo economico, più che il separatismo, all’orizzonte della Catalogna, si evince dal discorso della Corona del nuovo Re di Spagna Felipe VI “Una Monarquìa renovada para un tiempo nuevo”: questa la linea tracciata dal nuovo Re di Spagna, Don Felipe VI, nel discorso di insediamento della Corona, pronunziato il giorno 19 giugno innanzi alle Còrtes, il Parlamento iberico riunito solennemente per l’occasione.
E’ stato quello che si dice un momento storico per la grande ed importante Nazione d’Europa, rinnovare l’istituzione monarchica nel momento in cui, per le problematiche interne, nella persona del Re Juan Carlos ­che ha regnato per 39 anni­ essa era appannata e scalfita da macchie gravissime per l’etica pubblica della popolazione. Scegliendo di abdicare al momento giusto e lasciando il trono, e la scena al quarantaseienne Felipe, accompagnato dalla ex giornalista Letizia Ortiz, nuova Regina, e dalle belle bimbe Leonor e Sofia, le più giovani eredi al trono di tutte le case regnanti in Europa, Juan Carlos ha in ogni caso reso l’ultimo servigio notevolissimo alla sua Patria e all’idea della Monarchia in senso lato: non che, a parer nostro, sia stata una scelta assoluta (per gli scandali cui si accennava), però considerata la situazione, fu la migliore.

Emozionato, come si conviene a chi ascende al trono anche se da sempre è preparato
a quello che gli scrittori di un tempo definivano “il mestiere di Re”, Felipe lo è e lo fu particolarmente, mentre il bacio finale di Letizia nuova Regina di ceppo borghese, lo sciolse dall’evidente imbarazzo: come la nivea bellezza delle bambine di otto e sette anni, che accompagnarono i genitori, scaturiva mòti di simpatia e sorrisi da parte di tutta la popolazione, che in Spagna e nel mondo ha seguito la diretta tv ed in streaming su internet, del giuramento alla Costituzione e dell’insediamento.
Proprio la “monarchia rinnovata” è stato il segno che il nuovo Re ha voluto dare come inizio del suo mandato da “Rey consitucional”. Ha tenuto a sottolineare la funzione di arbitro essenziale dei poteri dello Stato il nuovo Sovrano, in continuità con il ruolo del padre, che fu equilibrio importantissimo dopo la fine della dittatura del Generalissimo Francisco Franco (egli è morto nel 1975, quarant’anni non sono ancora trascorsi: crediamo che l’ombra lunga e non del tutto fuggevole del franchismo, non sia svanita dalla psicologia collettiva degli spagnoli), specie in momenti essenziali. Felipe è della nuova generazione cresciuta nella democrazia e nel pluralismo: per cui intende rinnovare il modo di interpretare il Regno.felipe
A questo riguardo, per noi fautori del federalismo a cui sono care tutte le cause dell’autodeterminazione dei popoli, come già leggevamo in un precedente intervento, la questione catalana è ad un bivio cruciale. Se Felipe ha precisato che “quiero reafirmar, como Rey, mi fe en la unidad de España, de la que la Corona es símbolo. Unidad que no es uniformidad, Señorías, desde que en 1978 la Constitución reconoció nuestra diversidad como una característica que define nuestra propia identidad, al proclamar su voluntad de proteger a todos los pueblos de España, sus culturas y tradiciones, lenguas e instituciones”,
il passaggio successivo è altamente chiarificatore, a nostro avviso, di quelli che saranno gli sviluppi della Catalogna in senso federale: “Una diversidad que nace de nuestra historia, nos engrandece y nos debe fortalecer. En España han convivido históricamente tradiciones y culturas diversas con las que de continuo se han enriquecido todos sus pueblos. Y esa suma, esa interrelación entre culturas y tradiciones tiene su mejor expresión en el concierto de las lenguas.Junto al castellano, lengua oficial del Estado, las otras lenguas de España forman un patrimonio común que, tal y como establece la Constitución, debe ser objeto de especial respeto y protección; pues las lenguas constituyen las vías naturales de acceso al conocimiento de los pueblos y son a la vez los puentes para el diálogo de todos los españoles. Así lo han considerado y reclamado escritores tan señeros como Antonio Machado, Espriu, Aresti o Castelao”.
In altre parole e leggendo fra le righe, come deve farsi perchè proprio per l’alta sua funzione un Re non può esprimersi direttamente nelle questioni politiche nazionalistiche delle varie parti dello Stato, si nota bene l’intenzione che, conoscendo la personalità di Felipe e sapendolo slegato da visioni passatistiche, potrà attuare, in tempi brevi: concedere, d’autorità da parte della Corona, un nuovo Statuto alla Catalogna, che inglobi la parte che ora è assente nella loro carta autonomista, approvata nel 2006: l’autogestione delle risorse finanziarie locali, poichè essendo la Catalogna la prima delle regioni spagnole a contribuire al bilancio nazionale in termini di PIL, è chiaro che attualmente i tre quarti di esso vengono drenati verso Madrid, mentre solo infimo è il ritorno in beni e servizi, alla comunità catalana.
Ciò, al netto delle (legittime) rivendicazioni nazionaliste ed anche separatiste, è quello che chiede la maggioranza dei catalani, la gestione in casa delle risorse locali. Che, in altri termini, si appella federalismo, in senso onnicomprensivo. La Spagna con Felipe VI diventerà uno Stato moderno quindi federale, unito tuttavia nella figura sovrana? Crediamo che andrà a finire così, anche perchè, data l’autogestione economica alla Catalogna, anche i paesi Baschi la chiederanno ­e l’otterranno­, come la Galizia e le minori comunità autonome montane.referendum catalogna
Da non dimenticare che in Spagna tutti i partiti, dal centrista al socialista (se si escludono gli estremisti di sinistra), sono convintamente monarchici: specie, ed è significativo, i socialisti… (situazione che avremmo potuto avere in Italia: si rivedano, per chi intende approfondire, i libri “La Monarchia socialista” del grande giornalista Mario Missiroli, che è del 1913, e ­dato che da noi c’è sempre stata la presenza della Chiesa­ il volume dottissimo “Il papato socialista”, di quel fine intellettuale seppure repubblicano, che fu Giovanni Spadolini, testo del 1950, riedito nel 1969).
In Sicilia conosciamo bene questo percorso poichè, dal 1943 al 1946, ne fùmmo antesignani. Solo dopo la guerra civile tra la maggioranza dei siciliani infatti e i governi nazionali dell’epoca (da Badoglio a Parri a Bonomi a De Gasperi: e citiamo politici comunque di altissima levatura… lasciamo perdere l’oggi!), il movimento indipendentista isolano, guidato da Andrea Finocchiaro Aprile e dagli agrari e nobili (monarchici) Lucio Tasca e Franz e Guglielmo di Carcaci, sebbene avesse una minoritaria componente estremista anarchica facente capo ad Antonio Canepa (non a caso perito in un agguato, che giustamente molti ritengono oscuro, il 17 giugno del 1945, in quel di Randazzo), ottenne dalla Corona di Savoja ciò che fra breve otterrà la Catalogna: lo Statuto Speciale (termine che è intercambiabile con quello di ‘federale’) della Regione Siciliana, che nasce il 15 maggio del 1946 in una Italia monarchica, e che la sovvenuta (e luetica come sempre ripetiamo, nata dall’imbroglio del falso referendum del 2 giugno del medesimo 1946) Repubblica accetterà e inserirà anzi nella Carta Costituzionale nel 1948.
Il quale Statuto prevede l’autogestione delle nostre ricchezze: se tale parte non viene compiutamente attuata, è colpa dei politici regionali e di chi li sostiene, invece di fare l’interesse del popolo siciliano.
Che poi oggi la discussione sulla riforma del titolo V e quindi sul ruolo delle Regioni a Statuto Speciale, e la Sicilia ha l’unicità di questo ed è la più “speciale” di tutte, possa limitarne le funzioni, è altra questione di cui non mancheremo di occuparci.
In Catalogna a novembre si terrà il referendum, contro la volontà del governo nazionale madrileno, per scegliere l’indipendenza o meno dalla Spagna. Si sa già che tale votazione non ha corso legale per la Costituzione spagnola, ma i catalani in gran maggioranza intendono svolgerla.
Pare che il nuovo Re ­il quale nel ringraziare alla fine del discorso della Corona, si è espresso nelle quattro lingue nazionali, castellano, catalano, basco e galiziano: vi immaginate un Presidente della Repubblica italiana che nel discorso di fine anno, si esprime nei saluti in italiano, siciliano, sardo, napoletano, romanesco, veneto e lombardo?
Questo può solo un Re…­ abbia in programma il primo viaggio ufficiale proprio a Barcellona, la bellissima e cosmopolita capitale catalana, dalla storia di grande libertà intellettuale e politica.
Se scorgiamo avvedutamente le mòsse del nuovo Sovrano ­che ha certamente presente la Storia passata ma anche quella futura: tanto per rimanere in tema, qualora la Scozia che anche deve esprimersi per l’indipendenza dalla Gran Bretagna, scegliesse di essere nazione autonoma, conserverebbe sempre la Regina come comune Capo dello Stato, quindi…­ egli agirà con determinazione ma anche con accorto rispetto della volontà popolare, evitando le trappole dell’estremismo come di intaccare il prestigio della Corona.
Ed è in fondo ciò che un Sovrano deve fare, se è veramente tale: integrare i popoli diversi e farne come la punta del triangolo, scintillare l’unità nella differenziazione di ciascuno, perchè tutti sono cari agli occhi del Divino, ma ogni essere vivente ha la propria unicità.
La sfida di Felipe è anche quella della Citta del Sole: però, portando egli il nome di Re a noi siciliani molto cari (sotto Filippo II l’isola, ove circolava la moneta Grano, ebbe prosperità economica e libertà nei commerci, come importante fu la sua classe di uomini colti, non raggiunta dipoi che nel XVIII secolo), crediamo che possa essere un monarca degno della tradizione.
                                                                                   Francesco Giordano

(Articolo pubblicato sul quotidiano online LinkSicilia: http://www.linksicilia.it/2014/06/con-felipe-vi-per-la-catalogna-il-federalismo-economico-sulla-scia-dello-statuto-siciliano/)

venerdì 23 maggio 2014

La festa di Santa Rita a Catania, 22 maggio 2014


E' molto sentita a Catania, seppure non sia autoctona, la devozione verso Santa Rita, detta anche "la Santa dell'Impossibile". Il centro del culto è sempre stato il tempio di Sant'Agostino in via Vittorio Emanuele, nel vero centro storico della città, elevato a Santuario nel 2013, con la denominazione "di Santa Rita in Sant'Agostino"; è retto da Monsignor Gianni Perni, e conta una numerosa comunità di fedeli, attenta e devota. 
Anche quest'anno si è celebrato il giorno dedicato alla Santa, in un tripudio di rose rosse, segno della mistica unione con la religiosa; il mese entrante giungerà da Cascia la reliquia. Da notare come la devozione sia molto composta, intensamente popolare e sentita, specie per il terribile periodo di crisi che si sta attraversando. Per dare l'idea, qui un nostro video breve della celebrazione.


mercoledì 23 aprile 2014

Riaperto il tetto della chiesa dell'ex monastero di san Nicola a Catania, una vista superba: lo si gestisca con giudizio



Catania, riaperto il tetto dell’ex monastero di San Nicola: sia gestito con giudizio…


 22 apr 2014   Scritto da Francesco Giordano                     



Dopo circa dieci anni (noi vi salimmo l’ultima volta nel 2005, in seguito è rimasto chiuso per restauri e problemi amministrativi), la direzione Cultura del Comune di Catania, Sindaco Enzo Bianco, il sabato della Pasqua 2014 ha deciso di riaprire quel luogo che ha pomposamente denominato “percorso di gronda della copertura della chiesa di San Nicolò la Rena”, ovvero il tempio massimo di ciò che si diceva l’arca sacra, il possente monastero benedettino la cui grandezza, è bene ripeterlo, è seconda in Europa solo al monastero portoghese di Mafra. cupola ct
Quel complesso monastico eretto nel 1558, regnante Filippo II in Sicilia e in Ispagna, alla presenza del Vicerè De la Cerda Duca di Medinaceli, il quale fu sede prestigiosissima del vero potere in Sicilia per secoli e secoli, cioè quello ecclesiastico, innanzi a cui si piegavano, e a volte anche si umiliavano, gli stessi sovrani direttamente e nella persona dei Vicerè, fossero essi Absburgo o Borbone, ha resistito alla colata lavica del 1669 che lo lambì ma non distrusse, e persino al devastante tremuoto del 1693. Quel medesimo complesso che le leggi post-unitarie del 1866 avocarono allo Stato nazionale italiano, dette anche da parte cattolica ‘leggi eversive’, smembrandolo con la parte monasteriale dedicata a scuole e caserme, il tempio e la biblioteca benedettina, dagli anni ’30 Civica e unificata alla collezione del barone Ursino Recupero, all’amministrazione comunale catanese. La chiesa custodisce, fra le altre ricchezze come la meridiana del XIX secolo e l’organo che fu di Del Piano, il Sacrario dei Caduti nelle due guerre mondiali, inaugurato dal Re Vittorio Emanuele III e affrescato da Alessandro Abate.
Sin dal dopoguerra l’accesso al tetto della chiesa fastosissima, immensa, grandiosa e dalla facciata incompiuta dei monaci benedettini cassinesi legati a quelli palermitani (ma da questa parte dell’Isola ben più opulenti e ricchi, perchè ricetto dell’altissima nobiltà cadetta di tutta la Sicilia, munifici nel gestire le risorse idriche a vantaggio proprio e del quartiere circostante, denso delle storie raccontate da De Roberto nei “Vicerè” su le ganze de’ monaci e altro…) è stato libero e gratuito: ci racconta chi ha memoria e vigore di studioso, ovvero il noto appassionato di storia sacra nonchè già dirigente regionale professor Antonino Blandini, che i 133 gradini della stretta tromba delle scale che, da una piccola porticina all’interno del tempio, conducono perigliosamente sui tetti e fin sulla cupola, erano totalmente al bujo, al massimo si percorrevano con una candela: e però i monelli dell’epoca non avevano remore a scoprire i luoghi alti, da cui si gode una vista incomparabile a nord dell’Etna, a sud-est dell’intiera cittade e del mare e del porto, sino al capo di Siracusa e oltre.
Abbiamo rifatto il cammino ascoso sino alla vetta del tempio (l’accesso alla cupola, opera unica e superba di colui che ebbe il genio della perfezione e il nome di Stefano Ittar, della seconda metà del Settecento, ancor più precisa della stessa cupola di San Pietro in Roma, continua ad essere inaccessibile ma ci si dice che a breve tornerà alla pubblica fruizione), approfittando dell’apertura pasquale. Che non è sistematica purtroppo, per le note vicende comunali, ma fu occasionale, “passeggiata guidata”, l’hanno definita. Si pensa a maggio di ripetere il cammino: in ogni caso, dietro prenotazione telefonica alla direzione della chiesa, retta come il Museo Belliniano dall’attenta cura del dottor Silvano Marino, che è tra i (pochi) funzionari comunali appassionato alle patrie storie, i gruppi possono accedere al tetto ed al panorama: c’è, come un decennio fa, da firmare una manleva per cui, considerate la fatica e i rischi, il Comune si sgrava delle responsabilità per eventuali malori cardiaci di coloro che salgono, e i bimbi sotto i 12 anni devono essere accompagnati dai genitori. Ciò posto, a tali condizioni, salire in uno dei luoghi più belli, e misconosciuti dagli stessi catanesi, si può e si deve.
Pare che l’Associazione che cura le visite guidate all’ex monastero benedettino, come è noto sede dagli anni ’90 delle Facoltà umanistiche dell’Università etnea che ne acquisì la proprietà e lo restaurò con l’ìntervento di Giancarlo De Carlo durante la presidenza di quell’illustre storico che è Giuseppe Giarrizzo, ovvero Officine Culturali, sia interessata ad assumerne la gestione e quindi permettere l’accesso non occasionale ma organizzato. Il che crediamo sia positivo: a patto che, in tempi di difficoltà economiche per tutti, siano salvaguardati quelli che un tempo in linguaggio sindacale (ma quando i sindacati erano una cosa seria, con Di Vittorio, Giulio Pastore e Lama, non certo oggi!) erano detti i diritti acquisiti. In altre parole, come succede per un bene principalmente di proprietà dei Catanesi (e proprio perchè molti di loro non lo conoscono sarebbe il caso di fare tale deroga, se si vuole aggiungendo la cittadinanza di Palermo, al cui nucleo cassinese di San Martino delle Scale erano collegati i monaci, veri autori e proprietari, ieri come oggi, di cotale bellezza…), escludere dal pagamento di un eventuale biglietto -oggi l’ingresso gestito dal Comune è gratuito- i catanesi in quanto residenti e de facto “custodi” di questo bene dell’Umanità come il tempio di San Nicolò la Rena, che è di proprietà del Comune, come la splendida Biblioteca Civica: e aggiungere all’esenzione, come avviene già per i monumenti e luoghi gestiti dalla Regione Siciliana in virtù di apposita circolare assessoriale del 2000 nonchè della disposizione dirigenziale del 2008 che adegua alle normative nazionali, ribadita nel 2012, i rappresentanti della stampa.cataniaSono piccoli segnali, ma se l’amministrazione comunale di Catania, come può anche essere utile, da in gestione un bene pubblico ad una associazione privata che ha già delle benemerenze, è a parer nostro obbligato a delle garanzie verso i cittadini in primis e le altre categorie a seguire. Del resto anche l’attraversamento dello stretto di Messina prevede un consistente “sconto” nel biglietto per i messinesi ed i reggini, nè potrebbe essere diversamente: considerata però la difficoltà di accesso al tetto della chiesa dell’ex monastero qui è il caso di esentare dal pagamento di un eventuale biglietto i volenterosi catanesi residenti che hanno l’ardire di salir su (le persone anziane sono per ovvie ragioni escluse), qualora si decidesse di fare gestire codesto bene a dei privati, come si ipotizza. Oppure si mantenga da parte del Comune l’ingresso gratuito ma si apportino importanti migliorie.
Infatti per quanto bellissima la vista, essendo nel vero cuore della città etnea, dell’ “Etna e il mare, i miei due grandi amici”, come scriveva Mario Rapisardi in un suo celebre verso, dal tetto della chiesa, necessario anzi indispensabile appare migliorare l’illuminazione delle due trombe di scale di accesso e di discesa (perchè da una scala a chiocciola gemella si discende dopo aver attraversato il tetto): gli scalini già di per sè ripidi sono molto, molto malamente illuminati da brutti e bassi faretti risalenti approssimativamente agli anni ’80 (glissiamo sui fili elettrici a vista, oggi fuori norma), e il passamano a cui è indispensabile appoggiarsi per inerpicarsi, è assente in prossimità delle frequenti finestre d’aria che sono nel percorso, con il rischio, in offuscamento della vista dallo sfolgorante sole verso il tragitto di ritorno, di cadute pericolose (dalle cui responsabilità però, come dicemmo prima per il documento che si firma previa salita, il Comune è escluso). Se si adottano tali migliorie con una illuminazione molto adeguata, oggi possibile a costi bassi, e si completa il passamano nei tratti dove manca (nelle finestre areatorie della scala esso è pericolosamente assente…), sia la salita che la discesa verso il pinnacolo di quel tempio impressionante per la sua maestosità incompiuta, saranno sicure e affidabili come adesso sono in parte. E se negli anni passati si poteva passar sopra a certe carenze, adesso non si può più, nè si devono tacere.
Quanto era Abate del monastero benedettino, ricchissimo e possente, quel sant’uomo che fu Giuseppe Benedetto Dusmet, poi Beato e detto “padre dei Poveri”, Arcivescovo di Catania lui panormita, da ultima autorità religiosa lasciò il complesso alle subentranti italiane, nel 1867: aveva già veduto la rossa camicia di Giuseppe Garibaldi entrarvi, nel 1862, al grido di “Roma o morte!”… ; il barbuto condottiero, salito sulla cupola di Ittar e fin sul lucernario di essa, quella cupola che il nostro poeta Domenico Tempio dice essere “na magna cubùla, na cassàta” che non ha eguali, aspettava le navi per traghettare in continente, e dal punto più alto del tempio le accolse “con lo sguardo appassionato di un amante”, scrive nelle sue memorie. Il cuore del mangiapreti era appagato, proprio in cima ad un monastero di Santa Chiesa… ma Garibaldi non era ateo, questo sia chiaro: fu il “caudillo”, si può dire il fondatore moderno, della Massoneria italiana, che notoriamente nella sua concezione filosofica, ha alla base un Essere Supremo. E però, il tetto della chiesa e la cupola di “Santa Nicola”, come dicono i catanesi, stregò anche lui.
Sia posto a disposizione della repubblica letteraria e del popolo, codesto bene: con giudizio, e non “a còmu finìsci si cunta”, per dirla nella nostra bella lingua siciliana.


(Articolo pubblicato sul quotidiano online LinkSicilia: http://www.linksicilia.it/2014/04/catania-riaperto-il-tetto-dellex-monastero-di-san-nicola/)

giovedì 10 aprile 2014

Prima visita in Sicilia, a Catania, per l'Ambasciatore USA in Italia John Phillips



Catania, l’Ambasciatore USA si veste da ‘turista’ e visita i Benedettini


 09 apr 2014   Scritto da Francesco Giordano                     



IN SICILIA PER PRESENTARE UN PROGRAMMA DI STUDIO OFFERTO AI GIOVANI

Di Francesco Giordano
“Sono contento di essere per la prima volta a Catania, sono veramente impressionato dalla bellezza e cultura di questa città, spero di tornare presto qui e in Sicilia, che è molto amica e ospitale verso il popolo americano”. Così l’Ambasciatore degli USA in Italia, l’avvocato John R. Phillips, in visita ufficiale ieri a Catania, seconda tappa in terra di Sicilia del nuovo rappresentante della repubblica stellata, nominato dal Presidente Obama nel 2013. L’altro ieri Phillips era stato a Palermo, accolto dal vice Sindaco e dal Sindaco Orlando in videoconferenza.AMBASCIATORE
Felice di accogliere l’ospite, nel pomeriggio primaverile dell’otto aprile, il Sindaco etneo Enzo Bianco, che dopo un breve e intenso colloquio ha presentato alla stampa ivi convenuta (pochi ma significativi i colleghi, invero: peccato perchè l’uomo meritava e l’occasione era non frequente) l’ospite, accompagnato dal Console USA di Napoli (rappresentanza che ha inglobato le funzioni del consolato in Sicilia, soppresso), Colombia Barrosse, la quale più volte ha visitato la Sicilia.
“La Sicilia e in particolare Catania hanno un rapporto antico e intenso con gli americani: grazie agli alleati angloamericani la Sicilia fu liberata dal fascismo. Inoltre abbiamo comuni legami e ospitiamo una importante base militare, quella di Sigonella”, ha detto Enzo Bianco, specificando alla stampa a margine dell’incontro, che non si è assolutamente parlato della questione MUOS con l’Ambasciatore Phillips, poichè non in agenda.
E’ stato annunciato che in base a un preciso programma, diciassette scuole in Sicilia, di cui otto nella parte orientale, usufruiranno di una particolare borsa di studio messa a disposizione dal Governo americano per la reciproca conoscenza; sono poi stati affrontati temi concernenti il commercio e l’incremento delle relazioni sociali tra i due popoli.
“A nome del Presidente Obama ringrazio il popolo italiano per l’affettuosa accoglienza e sono grato della calorosa ospitalità in Sicilia”, ha concluso la dichiarazione l’Ambasciatore Phillips il quale, nonostante conosca la lingua italiana perchè discendente di emigrati dal Friuli (il vero cognome, Filippi, fu americanizzato), ha scelto come è giusto di esprimersi nella lingua inglese.
Alto, simpatico, occhi azzurri, un settantunenne di successo, si può dire l’avvocato Phillips, la cui moglie Linda Douglass è una celebre giornalista e già consulente di Hillary Clinton e poi responsabile della campagna elettorale di Obama. Phillips è famoso negli USA per aver vinto cause di oltre 10 miliardi di dollari con le case farmaceutiche americane a favore del Governo federale, e per la sua attività a pro della popolazione più bisognosa, che ha conosciuto di persona da sempre e soprattutto durante le ultime presidenziali. Un uomo di livello e umile, come si addice a chi deve impersonare l’american dream. benedettini
Nota di colore: nella mattinata l’Ambasciatore e alcuni amici, in assoluta riservatezza e con una automobile messa a disposizione dalla compagna del Sindaco Bianco, vestiti come qualunque turista, hanno fatto visita all’ex Monastero dei Benedettini, arca suprema del potere monastico e politico nei secoli dei Vicerè a Catania, oggi sede delle Facoltà universitarie, e poi si dilettarono negli acquisti di ceramiche. E dato che Enzo Bianco è stato anche Ministro degli Interni del governo nazionale, nonchè notorio amico degli USA (al bavero della giacca ha sfoggiato il “great seal” sigillo dello stato federale), questa prima visita dell’Ambasciatore americano in Sicilia, a Catania, ha la sua importanza più che simbolica. Perchè i simboli contano ancora, a dispetto di chi inopinatamente li dimentica.

(Articolo pubblicato sul quotidiano online LinkSicilia: http://www.linksicilia.it/2014/04/catania-lambasciatore-usa-si-veste-da-turista-e-visita-i-benedettini/)


Il video della visita dell'Ambasciatore al Municipio di Catania, a cura di Sicilia Liberata, è su Youtube a questo link: https://www.youtube.com/watch?v=Gx7tgXpesKI
 

domenica 23 febbraio 2014

Sentenza Lombardo: la gente di Sicilia destinata a morte lenta?


Sentenza Lombardo: la gente di Sicilia destinata a morte lenta?



 22 feb 2014   Scritto da Francesco Giordano           



SI ACCENDE IL DIBATTITO DOPO LA CONDANNA DELL’EX PRESIDENTE DELLA REGIONE SICILIANA, RAFFAELE LOMBARDO. LA PAROLA A…FRANCESCO GIORDANO (in allegato altri punti di vista sul caso)

La sentenza di primo grado, che ha condannato per il reato di concorso esterno in associazione di tipo mafioso, l‘ex Presidente della Regione Siciliana Raffaele Lombardo, non è solo una infamità grande per il presunto colpevole, a cui auguriamo di cuore nei seguenti gradi di giudizio, in base alla vigente presunzione d’innocenza, di discolparsi in pieno dalle accuse che gli vengono rivolte, ma anche per l’ìntero popolo della Sicilia.
Possiamo dirlo con cognizione di causa, essendo stati personalmente, negli anni del ‘lombardismo’, vergin di servo encomio e di codardo oltraggio, per parafrasare il Manzoni. Anzi, sono ancora online alcuni nostri articoli di quegli anni, in particolare uno del 2010, dove affermavamo, pur non avendolo votato alla suprema carica regionale (considerate le nostre assenze da’ ludi cartacei nell’ultimo decennio), che egli nel piano di governo dell’isola era a un bivio, potendo scegliere se essere ‘Ntoni Malavoglia o Timoleonte, ovvero un vinto verghianamente, o un vincitore nella migliore tradizione della Sicilia ellenistica.
La sua scelta è stata, in virtù forse di tradizioni ataviche, quella del personaggio del celebre romanzo del conterraneo, non già emulare le gesta dello straniero corinzio che, pur accusato in Patria sua di omicidio, si diede in Sicilia nel IV secolo alla “elefterìa” (libertà) delle città oppresse da tirannide, ritirandosi poi cieco e vecchio in Siracusa ed egli medesimo rifiutando la suprema magistratura, ritenendo di aver compiuto il dovere catartico per cui era stato chiamato dalle pòlis siceliote. Raffaele Lombardo politico (sulla caratura dell’uomo non è qui il caso di indulgere, sebbene riteniamo che abbia indubbie qualità), ha intrapreso la propria via.
Crediamo nondimeno che non vi sia nesso di conseguenzialità fra essa, le dimissioni del 2012 e l’attuale condanna, pronunziata “in nome del popolo italiano” (a noi sicilianisti sentire codesta frase da un magistrato fa un po’ effetto, ma è sensazione personale; pur siamo consapevoli e certo partecipi, specie quando ci troviamo all’estero, della comune fratellanza italica… che a volte, malauguratamente, è un fattore estrinseco tuttavia, e fors’anche psicologico), dal GUP, nel procedimento con rito abbreviato. Nè ci pare necessario disquisire sulla definizione di “associazione a delinquere di stampo mafioso”, su cui da lustri han martellato e le immagini e le cronache e i films d’ogni genere, per non dire dei fatti di sangue.
Qualche parola invece sul reato di concorso esterno: nel marzo 2012, cassando la sentenza di condanna a sette anni per il medesimo capo d’imputazione all’ex senatore Marcello Dell’Utri, il Sostituto Procuratore Generale della Cassazione, Francesco Iacoviello, affermava: “Il concorso esterno è un reato autonomo creato dalla giurisprudenza. Che prima lo ha creato, usato, dilatato. E ora lo sta progressivamente restringendo…non ci si crede più”. E’ infatti noto come tale fattispecie di reato non figuri nei codici ma nasca, in seguito all’articolo 416 bis della legge Rognoni La Torre del 1982, unitamente all’articolo 110 c.p.p., al fine di voler colpire la contiguità morale e pur esterna, della persona che in qualche modo favorisce gli interessi del’organizzazione criminale, pur non facendone organicamente parte.
Ultimamente nel normare il reato di voto di scambio (da cui peraltro Raffaele Lombardo è stato assolto nella sentenza di primo grado di cui sopra), il ddl votato dal Senato alla fine di gennaio del corrente anno, ha in qualche modo cercato di inserire nella legislazione il concorso esterno, che appunto è una costruzione ad hoc difficile da provare e ancor più difficile da sostenere. Nel caso in questione il magistrato ha ritenuto opportuno che vi siano gli elementi per condannare il Lombardo: noi auguriamo che i successivi gradi di giudizio, ma già in sede di Appello, dimostrino l’infondatezza del supposto reato. Così come all’epoca augurammo all’ex Presidente della Regione Cuffaro. Ma il punto è proprio codesto: se una comunità di popolo, come quella siciliana, ha due ex Presidenti accusati (uno addirittura in carcere), per reati in qualche modo legati a una organizzazione criminale che non è certo una bella carta da visita per l’immagine della Sicilia nel mondo, tale comunità di popolo muore. “La morte è termine della vita, la triste fama è un morbo per sempre”, affermava il grande sofista Gorgia da Lentini (V sec. a.C.), nella “difesa di Palamede”, ingiustamente accusato da Ulisse di tradimento. Cui prodest?
Ci mancava tale sentenza, nella deriva sociopolitica del momento, per ferire in modo affatto letale la coscienza dei singoli siciliani, anche coloro che verso il “lombardismo” furono nemici feroci. Ebbe ragione Benedetto Croce quando, nell’immediatezza della fine del secondo conflitto mondiale, disse che “noi italiani abbiamo perso una guerra tutti, anche coloro che hanno combattuto contro l’oppressione degli occupanti”? Se la si vuol riferire alla Sicilia, sì, è come se ogni sentenza di tal genere faccia perdere una guerra, la “guerra” del riscatto sociale e morale della gens sicula di contro ai dubbi non già del diritto giurisprudenziale nazionale, come può essere, secondo pareri autorevolissimi, il reato sopra contestato, ma anche e forse soprattutto, per la speranza dell’onestà delle nuove generazioni -ricordiamo la frase celebre scritta dopo l’omicidio Dalla Chiesa-, perchè i ragazzi si educano non con i disvalori, ma con l’esaltazione di quanto bello buono e orgogliosamente siciliano la nostra terra possieda, hic et nunc, qui e oltre, in Patria e nel mondo. Soprattutto nel mondo, perchè se leggiamo che in Spagna c’è la fila per accedere ai ristoranti che si denominano “mafia”, ci permettiamo di ricordare che dovrebbe esserci la fila per visitare i templi di Agrigento, il teatro greco-romano di Taormina e l’anfiteatro di Catania, il barocco di Modica e di Noto, i templi di Palermo e Monreale come le specialità gastronomiche e le realtà del terziario, oramai in decadimento insieme all’agricoltura, della Sicilia.
Vivremo ancora di queste sentenze mortifere e non già del turismo, se non possiamo più produrre nulla perchè la pressione fiscale impedisce il risorgere della impresa piccola e media in Sicilia e in Italia quando molti, e giustamente, delocalizzano all’estero e non si vede speranza pe’ nostri giovani? Non è intenzione del popolo, quello che non bada a’ tribunali nè alle trame occulte delle mazzette ma pensa a lavorare e produrre per la famiglia e per la comunità, il popolo della gente “d’onore”, che tradizionalmente è la realtà dei siciliani, lasciarsi schiacciare da tali ennesime dominazioni psicosociali dell’Essere che lo mortificano. O forse dobbiamo pensare, come alcuni amici, che la Sicilia è ancora una colonia, che non “deve” essere governata, perchè così si vuole “ove si puote ciò che si vuole”? Mysterium iniquitatis…
E’ in atto un tentativo di risollevare le sorti dell’economia regionale, si chiama Grano, è una proposta di iniziativa popolare di moneta complementare, che può attraverso la presentazione a norma di Statuto, di un disegno di legge da parte della gente, dare la possibilità di lavoro a chi non l’ha, e un reddito sociale a chi non può: l’ideatore è Giuseppe Pizzino già creatore dei marchi Castello e Sicily nel tessile; il 15 marzo ci sarà la presentazione del progetto all’ARS.
E’ una moneta sociale e nazionale (nel senso di nazione siciliana), strumento inderogabile per far ripartire l’occupazione, a cui son legati i consumi e tutta la realtà economica della nostra gente. Lo capirono benissimo i Vicerè, nei secoli XV-XVIII: infatti la moneta Grano era coniata in Sicilia in quei secoli, ove l’economia prosperava. “Ultima ratio regum”, scriveva Luigi XIV nei suoi cannoni: è l’ultimo tentativo, nella Sicilia travolta dalla implosiva “controrivoluzione” di Crocetta, prima di chiudere bottega e dichiarare il Commissariamento. Il quale, allineato alla sentenza Lombardo e al disastro per cui oltre il cinquanta per cento dei siciliani è senza lavoro (nel 2012 oltre il 50% non è andato a votare alle elezioni regionali… nel 2008 i tre quarti dei votanti, elessero Lombardo Presidente…), condanna un’isola meravigliosa al declino assoluto. Impietosa realtà, ma bisogna pur avere il coraggio che ebbe l’occhio fotografico di Phil Stern (di cui ricordiamo una bella mostra di scatti durante l’occupazione nel 1943 l’estate scorsa) nel delinearne i tragici chiaroscuri del bianconero.
Perchè qui i colori sono scomparsi, tristamente.
Rimane soltanto la “storia di li dui sùggi” (che liberamente trasponiamo, dal Pitrè): “un sùggi dissi a n’autru: ci veni a mangiari nni me ziu? Annàmu…. e trasennu ntra lu purtusu tunnu, lu primu chi dicia, si truvau ntra li granfi di na gatta. Accuminzau a fari: ziu, ziu, e l’amicu sò: minchiuni, e su tto ziu fa ccussì ccu tia, vidi chi mi succeri, e vutò tunnu d’unni avia vinutu”. Parabola significa…



(Articolo pubblicato sul quotidiano online LinkSicilia: http://www.linksicilia.it/2014/02/sentenza-lombardo-la-gente-di-sicilia-destinata-a-morte-lenta/)

martedì 4 febbraio 2014

Catania e la Sicilia riabbracciano Agata, la Santa in giro fra il popolo il 4 e 5 febbraio





Catania e la Sicilia riabbracciano Agata, la Santa in giro fra il popolo il 4 e 5 febbraio




 04 feb 2014   Scritto da Francesco Giordano                     



                   LE ORIGINI DI UN CULTO CHE AFFONDA LE SUE RADICI IN UN PASSATO LONTANISSIMO
Il giorno tanto atteso, in cui come ogni anno, i catanesi e tutti i siciliani devoti riabbracceranno le reliquie miracolose di Sant’Agata, la protomartire venerata in tutto il mondo per essere stata fra le più elette anime della novella religione del Messia Gesù, ad immolarsi per preservare il voto di verginità che un bieco figuro voleva violare, è giunto. La mattina del 4 febbraio usciranno dalla “cammaredda” del Duomo entro il busto reliquiario del XIV secolo, mirabile opera dell’argentiere Archifel, e la Santa in corpore e in spirito, dalla Chiesa che la custodisce, verrà consegnata ai cittadini di Catania e del mondo cristiano, per il cosiddetto “giro esterno”, che in realtà è il più importante e il clou della festa.
Qui teniamo da catanesi, a ribadire ad onta delle disinformazioni che sorgono ogni anno, che la terza festa più importante della Cristianità mondiale, ovvero quella di Sant’Agata, che richiama nella città dell’elefante migliaia e migliaia di siciliani, italiani e stranieri, in encomiabile ritrovo di commerci e festività allegre, che il vero giorno delle celebrazioni più sentite è il quattro, sia perchè fu quella sera che la Protomartire subì la morte, nell’anno 251, sia perchè è la giornata in cui essa vive carnalmente più a contatto con il popolo, stando fuori per oltre 24 ore e rientrando in Duomo la mattina del 5. L’uscita del 5 febbraio, la salita per via Etnea, i fuochi e il rientro probabilmente, come avviene negli ultimi anni, la mattina del 6, sono solamente scenografie utili e belle, ma per i turisti.sant'agata-300
La festa agatina dei Siciliani, dei catanesi, è il quattro: specie quando lei, la Vergine bella, unica nelle sue arti magiche (non sia creduto inopportuno tale termine, diremo subito il perchè) di protezione e di talismano civico, gira per la via del Plebiscito, ovvero il vero cuore pulsante della città di Catania. La via che abbraccia come in un cerchio tutti i quartieri storici e antichi ove vive la gente vera, non inquinata come molti affermano, dal letamaio della corruzione dell’anima, devota in modo estremo a volte e però pienamente cosciente, oltre le vicende tristi del quotidiano, che se salvezza può esservi, essa proviene dalla Luce dell’Altissimo, di cui la Buona (il significato del nome Agata, dal greco) è sacerdotessa.
Non si può qui non rammentare che, se è antichissima e sempre sentita dai cittadini di tutta la Sicilia (nel XVII secolo una annosa disputa voleva contendere i natali di Agata da Catania a Palermo, tanto era importante il suo culto, e molto legati le sono anche i panormiti, così anche i maltesi: e però, se è vero che la documentazione degli Atti vetusti danno incontrovertibilmente per città natale Catania, è anche indubitabile che conta più della nascita, il luogo del martirio, che è appiè dell’elefante; inoltre che il culto agatino sia universalmente siciliano, è manifesto da tutta la liturgia della Chiesa sin dal IV secolo, financo Roma la modellò su quella qui esemplata) la devozione per Sant’Agata, essa ha la radice storicamente ineludibile nelle feste in onore della Dea Iside, che particolarmente nella Sicilia orientale erano diffuse sin dal III secolo avanti Cristo, precisamente dopo lo sposalizio del basileus Agatocle di Siracusa con la principessaa egiziana Teossena, che promosse il culto della Magna Mater della terra d’Oriente qui da noi.
E che analogie non già, ma esatte copie del “navigium Isidis” fossero le feste agatine sino al XVII secolo, ce lo testimoniano sia i documenti che i fatti; in ogni caso basti rileggere le Metamorfosi di Apulejo laddove lo scrittore descrive i culti isiaci, per ritrovare gran parte della festa agatina, nella sua vitalità popolare e polisemica. Anche gli studiosi religiosi del XX secolo, fra cui il massimo esperto Mons.Santo D’Arrigo, hanno riconosciuto la radice isiaca del culto di Agata, che nulla toglie alla pia devozione della donna integerrima e dalla verginità immacolata -Agata subì il martirio fra i 18 e 20 anni, pienamente incardinata nel regolare verginato religioso del primo Cristianesimo, oggi si sarebbe detta una Suora, o meglio una Diaconessa- avvolta nel Velo sacro, che ancora oggi fa parte del corredo delle reliquie e la raffigura nel primo esempio iconografico ricordato, il mosaico di Sant’Apollinare di Ravenna, del 550. Mentre il volto a noi tutti caro del busto attuale altro non è che il calco del viso della Regina di Sicilia Eleonora d’aragona, moglie del grande Re patrio Federico III, la cui tomba (XIV secolo) è pure nel Duomo catanese.
Nella prima “liturgia catanese” dopo il ritorno delle reliquie dalla cattività costantinopolitana, nel 1126, si legge: “Tu gloria di Trinacria, tu letizia della città di Catania, tu onore dei tuoi concittadini! Esulta o Catania per il nuovo avvento di Agata…La Sicilia tu difendi, o rosa stimatissima, e proprio la tua patria Catania tanto nobile”. Regnava a quel tempo Ruggero II, l’illuminato normanno fondatore col padre del Regno di Sicilia, da cui bisognerebbe prendere ancor oggi ispirazione. E così come Agata ha salvato Catania da lave e terremoti, e ispirato la Sicilia nelle rivoluzioni nazionaliste (“Sant’Agata e l’indipendenza della Sicilia, viva!” fu codesto il grido dei rivoluzionari che nell’estate del 1837 innalzavano sul pinnacolo del Duomo il vessillo giallo e rosso con la triscele, nell’insurrezione sanguinosamente repressa dai Borboni…), così possa in questi giorni di tribolazione salvare i Siciliani tutti, e i suoi figli più vicini di Catania, dalle difficoltà: lei che ha la predilezione per gli umili e i bisognosi, per i malati, per coloro che sono ristretti in cattività (come ha scritto un poeta coevo, Onarfe Dagoro, “spoglia dell’oro, fanciulla dei poveri, sei degli ultimi la finale speranza”), sia nel suo ritorno tra la gente prodiga di attenzioni.
Molte lacrime, silenti e vistose, si spargono ultimamente alla vista e al passaggio del fercolo argenteo della Santa: sono le lacrime di chi non ha più nulla, ma non ha cessato di credere: o che vuole credere, anche contro ogni evidenza. Per tutti, con i versi del noto Inno (le cui parole sono del camporotondese naturalizzato catanese Antonio Corsaro, Sacerdote illuminato e di libero pensiero, intellettuale finissimo amico di Pasolini, Pound e Ungaretti: insegnò letteratura francese a Palermo, è morto nel 1995) che si canta per le strade, ella è colei che “splende in Paradiso, coronata di vittoria… o Sant’Agata, la gloria, per noi prega, prega di lassu!”.

(Articolo pubblicato sul quotidiano online LinkSicilia: http://www.linksicilia.it/2014/02/catania-e-la-sicilia-riabbracciano-agata-la-santa-in-giro-fra-il-popolo-il-4-e-5-febbraio/)

Le prime due istantanee sono state scattate dall'autore del blog la mattina del 4 nel 'piano della Statua', l'ultima  nel pomeriggio in via del Plebiscito, a Catania...

sabato 18 gennaio 2014

Il mercatino delle anticaglie di Catania resta a piazza Dante, una scelta giusta







Il mercatino delle anticaglie di Catania resta a piazza Dante, una scelta giusta

Avevamo riferito, nei mesi precedenti, dello spostamento dello storico mercatino delle anticaglie (o delle pulci o cose vecchie che dir si voglia) di Catania, dalla sede decennale della zona del mercato quotidiano (piazza Carlo Alberto, poi piazza Grenoble, infine sullo stradone di Corso martiri della libertà), nella antica platea dell'ex monastero dei Benedettini, in pieno centro storico della città dell'elefante, a poche centinaja di metri dal Duomo; così non solo assecondando la logica che vede il mercatino presente da un trentennio in città, tornare in un luogo adatto perchè antico e suggestivo (per chi lo ricorda, negli anni Ottanta le poche bancarelle dei venditori di francobollii e monete e libri, erano sotto i portici di piazza Mazzini...), ma anche seguire l'andazzo di tutte le grandi città del mondo che vedono lo svolgersi di tale commercio in luoghi siffatti.

Bisogna aggiungere che nella amministrazione comunale, ritornata, di Enzo Bianco, se c'è un Assessore attento perchè umanamente permeabile agli ultimi e ai bisognosi, è l'avvocato Angela Mazzola (così ci è stato riferito e non v'ha motivo di dubitarne: svolge attività di volontariato oltre la professione, in una comunità parrocchiale), alle Attività Produttive : a lei si deve il riordino dei bancarellari, che non sono abusivi come qualcuno sostiene perchè pagano il suolo pubblico alle casse comunali, compresi gli zingari a cui proprio per la sensibilità dell'Assessore, è stata riservata la parte sud della piazza, propspicente l'ex convento della Trinità adesso in ristrutturazione, nonchè la scelta, da settembre, del luogo. Scelta e svolgimento che, se nelle prime settimane (precisiamo che la nostra è cronaca da habitué, non orecchiamento de relato, poiché ogni domenica siamo in piazza sin da prima dell'alba) ha destato qualche mormorìo nei venditori, circa quattrocento, abituati alla zone precedenti, si è negli scorsi mesi stabilizzata, perchè è notevolissimo, specie nella tarda mattinata, l'afflusso di persone che continuano ad aquistare oggetti riciclati. Ciò tra le altre cose dimostra come è fiorente il mercato del riuso, e coloro che ne attingono sovente han la possibilità economica di acquistare il nuovo, ma preferiscono l'usato. Ovvero, non è più, come anni fa -rimangono pochissimi che ancora la vedono così- un vezzo da arricchiti o artisti bohemièn, ma una scelta precisa. A volte o sovente, necessità.

Per cui il luogo alla fine è piaciuto a tutti, operatori e amministrazione: la quale a' primi di gennaio con una apposita delibera ha deciso di prorogare l'autorizzazione, in via "sperimentale", del sito, sino alla fine di febbraio. Prevediamo che la "sperimentazione" sia prodromo della stabilizzazione, ovvero che il mercatino finalmente rimanga in piazza Dante, davanti il monastero sede delle Facoltà umanistiche della università catinense: questo per diverse ragioni, di carattere pratico, psicologico e contingente. Alcuni, si dice un centinaio, han raccolto delle firme per spostare il sito: ma sono la minoranza, la maggioranza degli operatori ha accettato il luogo, perchè in ogni caso l'affluenza di pubblico, come e più nelle sedi precedenti, c'è; il quartiere, e per quartiere limitrofo ne intendiamo più di uno, dalla zona di via Vittorio Emanuele-Garibaldi a tutto il circondario nord-ovest della via Plebiscito, ossia il Corso, i Cappuccini; senza dire di San Cristoforo più distante, ne trae giovamento economico (molte attività commerciali ambulanti e fisse incassano, compresi i posteggiatori); gli abitanti sono anche in alcuni casi gli stessi bancarellari, che non si spostano molto; per i rom o zingari, utilissimi sia ai vendotori (comprano molti da loro, e poi rivendono nella stessa mattinata, agli avventori ignari che arrivano tardi...) è un buon luogo perchè non solo essi regolamentati, ma controllati e settorializzati; la vigilanza non manca, seppure i VV.UU. del Comune siano pochi, non disertano l'appuntamento; la vicina caserma dei Carabinieri è utile presidio. In definitiva, più positività che negatività. Alcuni consiglieri di quartiere, in una apposita recente riunione, si sono lamentati degli "abusivi", un concetto fluttuante, specie a Catania e in tutta la Sicilia: lamentazioni strumentali per due ragioni: 1°, essi consiglieri han lo "stipendio" garantito dal Comune, anche se ridotto rispetto al passato, e rappresentano una minimissima parte della popolazione del quartiere; 2°, una volta tanto che l'amministrazione -la quale sa benissimo lo stato di disastro economico delle famiglie e dei singoli, anche se con i redditi fissi e rintracciabili fa l'esattore feroce- cerca di essere rappacificatrice e "chiude un occhio", v'ha chi mormora... Non ci si contenta mai.

Un problema, posto che la piazza è il luogo di raccolta in caso di disastro sismico, potrebbe essere l'ingombro di essa: ma sarebbe una fatalità assoluta se un eventuale terremoto coincidesse con la domenica -invero non evitabile per i misteri della Natura-, e comunque date le condizioni purtroppo non perfette dei palazzi settecenteschi circostanti, la prospettiva di ricovero sarebbe in parte risibile. E' anche vero, come alcuni hanno notato ed anche da parte nostra è stato riscontrato, che la pulizia della piazza nelle ore pomeridiane procede non velocissima, e vi sono alcuni bisognosi che rovistano negli oggetti lasciati dai bancarellari: ma se questo può impressionare, c'è da dire che in tutte le grandi metropoli del mondo sono milioni i diseredati che attingono ai rifiuti e alle minutaglie, per mancanza del necessario. Chi critica senza ragionare non si immette nel vissuto di quei poveretti che han l'unica speranza di scavare nei cassonetti o di rovistare tra i rifiuti. Quindi anche lo scarto dello scarto è comunque riciclabile: in epoche come quelle attuali non si getta, o non si dovrebbe gettare, che il necessario, mentre il consumismo imperante permette ed anzi amplifica un "indotto" inevitabile, e utilissimo, del riciclo: che i più dandy han deciso di appellare "vintage" e la gente comune, cose vecchie.

Dunque ben venga e rimanga il mercatino delle anticaglie nell'area di S.Nicolò la Rena di Catania, prospicente l'ex monastero reso celebre da Federico De Roberto ne "I Vicerè", ladddove i monaci cadetti delle più aristocratiche famiglie di Sicilia, erano gaudenti e peccaminosi pur all'ombra della magnifica cupola del tempio incompiuto, opera del cavaliere di Malta Stefano Ittar, autore anche del palazzo dei Cavalieri nell'isola mediterranea. Quella "arca" suprema ospitò Re e letterati, musicisti sommi e oscuri viaggiatori delle misteriosofie di ieri e di oggi, da Goethe a Bellini; vi fu Abate il Beato Cardinale palermitano Giuseppe Benedetto Dusmet, era mèta prediletta dei Borboni, dei due Ferdinando, e Garibaldi dal lucernario della cupola guardava, come scrive nelle Memorie, Catania e il mare di Sicilia "con lo sguardo appassionato d'un amante". Il tempo trascorre, ma le dieci colonne spezzate della facciata della chiesa di San Nicola, opera dei Battaglia, proteggono i pacifici commerci, le opere dell'Uomo non contaminato dalle impurità.

Francesco Giordano

(Le fotografie del mercatino e del tempio di San Nicolò la Rena, sono dell'autore dell'articolo, scattate il 12 gennaio 2014)