domenica 23 febbraio 2014

Sentenza Lombardo: la gente di Sicilia destinata a morte lenta?


Sentenza Lombardo: la gente di Sicilia destinata a morte lenta?



 22 feb 2014   Scritto da Francesco Giordano           



SI ACCENDE IL DIBATTITO DOPO LA CONDANNA DELL’EX PRESIDENTE DELLA REGIONE SICILIANA, RAFFAELE LOMBARDO. LA PAROLA A…FRANCESCO GIORDANO (in allegato altri punti di vista sul caso)

La sentenza di primo grado, che ha condannato per il reato di concorso esterno in associazione di tipo mafioso, l‘ex Presidente della Regione Siciliana Raffaele Lombardo, non è solo una infamità grande per il presunto colpevole, a cui auguriamo di cuore nei seguenti gradi di giudizio, in base alla vigente presunzione d’innocenza, di discolparsi in pieno dalle accuse che gli vengono rivolte, ma anche per l’ìntero popolo della Sicilia.
Possiamo dirlo con cognizione di causa, essendo stati personalmente, negli anni del ‘lombardismo’, vergin di servo encomio e di codardo oltraggio, per parafrasare il Manzoni. Anzi, sono ancora online alcuni nostri articoli di quegli anni, in particolare uno del 2010, dove affermavamo, pur non avendolo votato alla suprema carica regionale (considerate le nostre assenze da’ ludi cartacei nell’ultimo decennio), che egli nel piano di governo dell’isola era a un bivio, potendo scegliere se essere ‘Ntoni Malavoglia o Timoleonte, ovvero un vinto verghianamente, o un vincitore nella migliore tradizione della Sicilia ellenistica.
La sua scelta è stata, in virtù forse di tradizioni ataviche, quella del personaggio del celebre romanzo del conterraneo, non già emulare le gesta dello straniero corinzio che, pur accusato in Patria sua di omicidio, si diede in Sicilia nel IV secolo alla “elefterìa” (libertà) delle città oppresse da tirannide, ritirandosi poi cieco e vecchio in Siracusa ed egli medesimo rifiutando la suprema magistratura, ritenendo di aver compiuto il dovere catartico per cui era stato chiamato dalle pòlis siceliote. Raffaele Lombardo politico (sulla caratura dell’uomo non è qui il caso di indulgere, sebbene riteniamo che abbia indubbie qualità), ha intrapreso la propria via.
Crediamo nondimeno che non vi sia nesso di conseguenzialità fra essa, le dimissioni del 2012 e l’attuale condanna, pronunziata “in nome del popolo italiano” (a noi sicilianisti sentire codesta frase da un magistrato fa un po’ effetto, ma è sensazione personale; pur siamo consapevoli e certo partecipi, specie quando ci troviamo all’estero, della comune fratellanza italica… che a volte, malauguratamente, è un fattore estrinseco tuttavia, e fors’anche psicologico), dal GUP, nel procedimento con rito abbreviato. Nè ci pare necessario disquisire sulla definizione di “associazione a delinquere di stampo mafioso”, su cui da lustri han martellato e le immagini e le cronache e i films d’ogni genere, per non dire dei fatti di sangue.
Qualche parola invece sul reato di concorso esterno: nel marzo 2012, cassando la sentenza di condanna a sette anni per il medesimo capo d’imputazione all’ex senatore Marcello Dell’Utri, il Sostituto Procuratore Generale della Cassazione, Francesco Iacoviello, affermava: “Il concorso esterno è un reato autonomo creato dalla giurisprudenza. Che prima lo ha creato, usato, dilatato. E ora lo sta progressivamente restringendo…non ci si crede più”. E’ infatti noto come tale fattispecie di reato non figuri nei codici ma nasca, in seguito all’articolo 416 bis della legge Rognoni La Torre del 1982, unitamente all’articolo 110 c.p.p., al fine di voler colpire la contiguità morale e pur esterna, della persona che in qualche modo favorisce gli interessi del’organizzazione criminale, pur non facendone organicamente parte.
Ultimamente nel normare il reato di voto di scambio (da cui peraltro Raffaele Lombardo è stato assolto nella sentenza di primo grado di cui sopra), il ddl votato dal Senato alla fine di gennaio del corrente anno, ha in qualche modo cercato di inserire nella legislazione il concorso esterno, che appunto è una costruzione ad hoc difficile da provare e ancor più difficile da sostenere. Nel caso in questione il magistrato ha ritenuto opportuno che vi siano gli elementi per condannare il Lombardo: noi auguriamo che i successivi gradi di giudizio, ma già in sede di Appello, dimostrino l’infondatezza del supposto reato. Così come all’epoca augurammo all’ex Presidente della Regione Cuffaro. Ma il punto è proprio codesto: se una comunità di popolo, come quella siciliana, ha due ex Presidenti accusati (uno addirittura in carcere), per reati in qualche modo legati a una organizzazione criminale che non è certo una bella carta da visita per l’immagine della Sicilia nel mondo, tale comunità di popolo muore. “La morte è termine della vita, la triste fama è un morbo per sempre”, affermava il grande sofista Gorgia da Lentini (V sec. a.C.), nella “difesa di Palamede”, ingiustamente accusato da Ulisse di tradimento. Cui prodest?
Ci mancava tale sentenza, nella deriva sociopolitica del momento, per ferire in modo affatto letale la coscienza dei singoli siciliani, anche coloro che verso il “lombardismo” furono nemici feroci. Ebbe ragione Benedetto Croce quando, nell’immediatezza della fine del secondo conflitto mondiale, disse che “noi italiani abbiamo perso una guerra tutti, anche coloro che hanno combattuto contro l’oppressione degli occupanti”? Se la si vuol riferire alla Sicilia, sì, è come se ogni sentenza di tal genere faccia perdere una guerra, la “guerra” del riscatto sociale e morale della gens sicula di contro ai dubbi non già del diritto giurisprudenziale nazionale, come può essere, secondo pareri autorevolissimi, il reato sopra contestato, ma anche e forse soprattutto, per la speranza dell’onestà delle nuove generazioni -ricordiamo la frase celebre scritta dopo l’omicidio Dalla Chiesa-, perchè i ragazzi si educano non con i disvalori, ma con l’esaltazione di quanto bello buono e orgogliosamente siciliano la nostra terra possieda, hic et nunc, qui e oltre, in Patria e nel mondo. Soprattutto nel mondo, perchè se leggiamo che in Spagna c’è la fila per accedere ai ristoranti che si denominano “mafia”, ci permettiamo di ricordare che dovrebbe esserci la fila per visitare i templi di Agrigento, il teatro greco-romano di Taormina e l’anfiteatro di Catania, il barocco di Modica e di Noto, i templi di Palermo e Monreale come le specialità gastronomiche e le realtà del terziario, oramai in decadimento insieme all’agricoltura, della Sicilia.
Vivremo ancora di queste sentenze mortifere e non già del turismo, se non possiamo più produrre nulla perchè la pressione fiscale impedisce il risorgere della impresa piccola e media in Sicilia e in Italia quando molti, e giustamente, delocalizzano all’estero e non si vede speranza pe’ nostri giovani? Non è intenzione del popolo, quello che non bada a’ tribunali nè alle trame occulte delle mazzette ma pensa a lavorare e produrre per la famiglia e per la comunità, il popolo della gente “d’onore”, che tradizionalmente è la realtà dei siciliani, lasciarsi schiacciare da tali ennesime dominazioni psicosociali dell’Essere che lo mortificano. O forse dobbiamo pensare, come alcuni amici, che la Sicilia è ancora una colonia, che non “deve” essere governata, perchè così si vuole “ove si puote ciò che si vuole”? Mysterium iniquitatis…
E’ in atto un tentativo di risollevare le sorti dell’economia regionale, si chiama Grano, è una proposta di iniziativa popolare di moneta complementare, che può attraverso la presentazione a norma di Statuto, di un disegno di legge da parte della gente, dare la possibilità di lavoro a chi non l’ha, e un reddito sociale a chi non può: l’ideatore è Giuseppe Pizzino già creatore dei marchi Castello e Sicily nel tessile; il 15 marzo ci sarà la presentazione del progetto all’ARS.
E’ una moneta sociale e nazionale (nel senso di nazione siciliana), strumento inderogabile per far ripartire l’occupazione, a cui son legati i consumi e tutta la realtà economica della nostra gente. Lo capirono benissimo i Vicerè, nei secoli XV-XVIII: infatti la moneta Grano era coniata in Sicilia in quei secoli, ove l’economia prosperava. “Ultima ratio regum”, scriveva Luigi XIV nei suoi cannoni: è l’ultimo tentativo, nella Sicilia travolta dalla implosiva “controrivoluzione” di Crocetta, prima di chiudere bottega e dichiarare il Commissariamento. Il quale, allineato alla sentenza Lombardo e al disastro per cui oltre il cinquanta per cento dei siciliani è senza lavoro (nel 2012 oltre il 50% non è andato a votare alle elezioni regionali… nel 2008 i tre quarti dei votanti, elessero Lombardo Presidente…), condanna un’isola meravigliosa al declino assoluto. Impietosa realtà, ma bisogna pur avere il coraggio che ebbe l’occhio fotografico di Phil Stern (di cui ricordiamo una bella mostra di scatti durante l’occupazione nel 1943 l’estate scorsa) nel delinearne i tragici chiaroscuri del bianconero.
Perchè qui i colori sono scomparsi, tristamente.
Rimane soltanto la “storia di li dui sùggi” (che liberamente trasponiamo, dal Pitrè): “un sùggi dissi a n’autru: ci veni a mangiari nni me ziu? Annàmu…. e trasennu ntra lu purtusu tunnu, lu primu chi dicia, si truvau ntra li granfi di na gatta. Accuminzau a fari: ziu, ziu, e l’amicu sò: minchiuni, e su tto ziu fa ccussì ccu tia, vidi chi mi succeri, e vutò tunnu d’unni avia vinutu”. Parabola significa…



(Articolo pubblicato sul quotidiano online LinkSicilia: http://www.linksicilia.it/2014/02/sentenza-lombardo-la-gente-di-sicilia-destinata-a-morte-lenta/)

martedì 4 febbraio 2014

Catania e la Sicilia riabbracciano Agata, la Santa in giro fra il popolo il 4 e 5 febbraio





Catania e la Sicilia riabbracciano Agata, la Santa in giro fra il popolo il 4 e 5 febbraio




 04 feb 2014   Scritto da Francesco Giordano                     



                   LE ORIGINI DI UN CULTO CHE AFFONDA LE SUE RADICI IN UN PASSATO LONTANISSIMO
Il giorno tanto atteso, in cui come ogni anno, i catanesi e tutti i siciliani devoti riabbracceranno le reliquie miracolose di Sant’Agata, la protomartire venerata in tutto il mondo per essere stata fra le più elette anime della novella religione del Messia Gesù, ad immolarsi per preservare il voto di verginità che un bieco figuro voleva violare, è giunto. La mattina del 4 febbraio usciranno dalla “cammaredda” del Duomo entro il busto reliquiario del XIV secolo, mirabile opera dell’argentiere Archifel, e la Santa in corpore e in spirito, dalla Chiesa che la custodisce, verrà consegnata ai cittadini di Catania e del mondo cristiano, per il cosiddetto “giro esterno”, che in realtà è il più importante e il clou della festa.
Qui teniamo da catanesi, a ribadire ad onta delle disinformazioni che sorgono ogni anno, che la terza festa più importante della Cristianità mondiale, ovvero quella di Sant’Agata, che richiama nella città dell’elefante migliaia e migliaia di siciliani, italiani e stranieri, in encomiabile ritrovo di commerci e festività allegre, che il vero giorno delle celebrazioni più sentite è il quattro, sia perchè fu quella sera che la Protomartire subì la morte, nell’anno 251, sia perchè è la giornata in cui essa vive carnalmente più a contatto con il popolo, stando fuori per oltre 24 ore e rientrando in Duomo la mattina del 5. L’uscita del 5 febbraio, la salita per via Etnea, i fuochi e il rientro probabilmente, come avviene negli ultimi anni, la mattina del 6, sono solamente scenografie utili e belle, ma per i turisti.sant'agata-300
La festa agatina dei Siciliani, dei catanesi, è il quattro: specie quando lei, la Vergine bella, unica nelle sue arti magiche (non sia creduto inopportuno tale termine, diremo subito il perchè) di protezione e di talismano civico, gira per la via del Plebiscito, ovvero il vero cuore pulsante della città di Catania. La via che abbraccia come in un cerchio tutti i quartieri storici e antichi ove vive la gente vera, non inquinata come molti affermano, dal letamaio della corruzione dell’anima, devota in modo estremo a volte e però pienamente cosciente, oltre le vicende tristi del quotidiano, che se salvezza può esservi, essa proviene dalla Luce dell’Altissimo, di cui la Buona (il significato del nome Agata, dal greco) è sacerdotessa.
Non si può qui non rammentare che, se è antichissima e sempre sentita dai cittadini di tutta la Sicilia (nel XVII secolo una annosa disputa voleva contendere i natali di Agata da Catania a Palermo, tanto era importante il suo culto, e molto legati le sono anche i panormiti, così anche i maltesi: e però, se è vero che la documentazione degli Atti vetusti danno incontrovertibilmente per città natale Catania, è anche indubitabile che conta più della nascita, il luogo del martirio, che è appiè dell’elefante; inoltre che il culto agatino sia universalmente siciliano, è manifesto da tutta la liturgia della Chiesa sin dal IV secolo, financo Roma la modellò su quella qui esemplata) la devozione per Sant’Agata, essa ha la radice storicamente ineludibile nelle feste in onore della Dea Iside, che particolarmente nella Sicilia orientale erano diffuse sin dal III secolo avanti Cristo, precisamente dopo lo sposalizio del basileus Agatocle di Siracusa con la principessaa egiziana Teossena, che promosse il culto della Magna Mater della terra d’Oriente qui da noi.
E che analogie non già, ma esatte copie del “navigium Isidis” fossero le feste agatine sino al XVII secolo, ce lo testimoniano sia i documenti che i fatti; in ogni caso basti rileggere le Metamorfosi di Apulejo laddove lo scrittore descrive i culti isiaci, per ritrovare gran parte della festa agatina, nella sua vitalità popolare e polisemica. Anche gli studiosi religiosi del XX secolo, fra cui il massimo esperto Mons.Santo D’Arrigo, hanno riconosciuto la radice isiaca del culto di Agata, che nulla toglie alla pia devozione della donna integerrima e dalla verginità immacolata -Agata subì il martirio fra i 18 e 20 anni, pienamente incardinata nel regolare verginato religioso del primo Cristianesimo, oggi si sarebbe detta una Suora, o meglio una Diaconessa- avvolta nel Velo sacro, che ancora oggi fa parte del corredo delle reliquie e la raffigura nel primo esempio iconografico ricordato, il mosaico di Sant’Apollinare di Ravenna, del 550. Mentre il volto a noi tutti caro del busto attuale altro non è che il calco del viso della Regina di Sicilia Eleonora d’aragona, moglie del grande Re patrio Federico III, la cui tomba (XIV secolo) è pure nel Duomo catanese.
Nella prima “liturgia catanese” dopo il ritorno delle reliquie dalla cattività costantinopolitana, nel 1126, si legge: “Tu gloria di Trinacria, tu letizia della città di Catania, tu onore dei tuoi concittadini! Esulta o Catania per il nuovo avvento di Agata…La Sicilia tu difendi, o rosa stimatissima, e proprio la tua patria Catania tanto nobile”. Regnava a quel tempo Ruggero II, l’illuminato normanno fondatore col padre del Regno di Sicilia, da cui bisognerebbe prendere ancor oggi ispirazione. E così come Agata ha salvato Catania da lave e terremoti, e ispirato la Sicilia nelle rivoluzioni nazionaliste (“Sant’Agata e l’indipendenza della Sicilia, viva!” fu codesto il grido dei rivoluzionari che nell’estate del 1837 innalzavano sul pinnacolo del Duomo il vessillo giallo e rosso con la triscele, nell’insurrezione sanguinosamente repressa dai Borboni…), così possa in questi giorni di tribolazione salvare i Siciliani tutti, e i suoi figli più vicini di Catania, dalle difficoltà: lei che ha la predilezione per gli umili e i bisognosi, per i malati, per coloro che sono ristretti in cattività (come ha scritto un poeta coevo, Onarfe Dagoro, “spoglia dell’oro, fanciulla dei poveri, sei degli ultimi la finale speranza”), sia nel suo ritorno tra la gente prodiga di attenzioni.
Molte lacrime, silenti e vistose, si spargono ultimamente alla vista e al passaggio del fercolo argenteo della Santa: sono le lacrime di chi non ha più nulla, ma non ha cessato di credere: o che vuole credere, anche contro ogni evidenza. Per tutti, con i versi del noto Inno (le cui parole sono del camporotondese naturalizzato catanese Antonio Corsaro, Sacerdote illuminato e di libero pensiero, intellettuale finissimo amico di Pasolini, Pound e Ungaretti: insegnò letteratura francese a Palermo, è morto nel 1995) che si canta per le strade, ella è colei che “splende in Paradiso, coronata di vittoria… o Sant’Agata, la gloria, per noi prega, prega di lassu!”.

(Articolo pubblicato sul quotidiano online LinkSicilia: http://www.linksicilia.it/2014/02/catania-e-la-sicilia-riabbracciano-agata-la-santa-in-giro-fra-il-popolo-il-4-e-5-febbraio/)

Le prime due istantanee sono state scattate dall'autore del blog la mattina del 4 nel 'piano della Statua', l'ultima  nel pomeriggio in via del Plebiscito, a Catania...

sabato 18 gennaio 2014

Il mercatino delle anticaglie di Catania resta a piazza Dante, una scelta giusta







Il mercatino delle anticaglie di Catania resta a piazza Dante, una scelta giusta

Avevamo riferito, nei mesi precedenti, dello spostamento dello storico mercatino delle anticaglie (o delle pulci o cose vecchie che dir si voglia) di Catania, dalla sede decennale della zona del mercato quotidiano (piazza Carlo Alberto, poi piazza Grenoble, infine sullo stradone di Corso martiri della libertà), nella antica platea dell'ex monastero dei Benedettini, in pieno centro storico della città dell'elefante, a poche centinaja di metri dal Duomo; così non solo assecondando la logica che vede il mercatino presente da un trentennio in città, tornare in un luogo adatto perchè antico e suggestivo (per chi lo ricorda, negli anni Ottanta le poche bancarelle dei venditori di francobollii e monete e libri, erano sotto i portici di piazza Mazzini...), ma anche seguire l'andazzo di tutte le grandi città del mondo che vedono lo svolgersi di tale commercio in luoghi siffatti.

Bisogna aggiungere che nella amministrazione comunale, ritornata, di Enzo Bianco, se c'è un Assessore attento perchè umanamente permeabile agli ultimi e ai bisognosi, è l'avvocato Angela Mazzola (così ci è stato riferito e non v'ha motivo di dubitarne: svolge attività di volontariato oltre la professione, in una comunità parrocchiale), alle Attività Produttive : a lei si deve il riordino dei bancarellari, che non sono abusivi come qualcuno sostiene perchè pagano il suolo pubblico alle casse comunali, compresi gli zingari a cui proprio per la sensibilità dell'Assessore, è stata riservata la parte sud della piazza, propspicente l'ex convento della Trinità adesso in ristrutturazione, nonchè la scelta, da settembre, del luogo. Scelta e svolgimento che, se nelle prime settimane (precisiamo che la nostra è cronaca da habitué, non orecchiamento de relato, poiché ogni domenica siamo in piazza sin da prima dell'alba) ha destato qualche mormorìo nei venditori, circa quattrocento, abituati alla zone precedenti, si è negli scorsi mesi stabilizzata, perchè è notevolissimo, specie nella tarda mattinata, l'afflusso di persone che continuano ad aquistare oggetti riciclati. Ciò tra le altre cose dimostra come è fiorente il mercato del riuso, e coloro che ne attingono sovente han la possibilità economica di acquistare il nuovo, ma preferiscono l'usato. Ovvero, non è più, come anni fa -rimangono pochissimi che ancora la vedono così- un vezzo da arricchiti o artisti bohemièn, ma una scelta precisa. A volte o sovente, necessità.

Per cui il luogo alla fine è piaciuto a tutti, operatori e amministrazione: la quale a' primi di gennaio con una apposita delibera ha deciso di prorogare l'autorizzazione, in via "sperimentale", del sito, sino alla fine di febbraio. Prevediamo che la "sperimentazione" sia prodromo della stabilizzazione, ovvero che il mercatino finalmente rimanga in piazza Dante, davanti il monastero sede delle Facoltà umanistiche della università catinense: questo per diverse ragioni, di carattere pratico, psicologico e contingente. Alcuni, si dice un centinaio, han raccolto delle firme per spostare il sito: ma sono la minoranza, la maggioranza degli operatori ha accettato il luogo, perchè in ogni caso l'affluenza di pubblico, come e più nelle sedi precedenti, c'è; il quartiere, e per quartiere limitrofo ne intendiamo più di uno, dalla zona di via Vittorio Emanuele-Garibaldi a tutto il circondario nord-ovest della via Plebiscito, ossia il Corso, i Cappuccini; senza dire di San Cristoforo più distante, ne trae giovamento economico (molte attività commerciali ambulanti e fisse incassano, compresi i posteggiatori); gli abitanti sono anche in alcuni casi gli stessi bancarellari, che non si spostano molto; per i rom o zingari, utilissimi sia ai vendotori (comprano molti da loro, e poi rivendono nella stessa mattinata, agli avventori ignari che arrivano tardi...) è un buon luogo perchè non solo essi regolamentati, ma controllati e settorializzati; la vigilanza non manca, seppure i VV.UU. del Comune siano pochi, non disertano l'appuntamento; la vicina caserma dei Carabinieri è utile presidio. In definitiva, più positività che negatività. Alcuni consiglieri di quartiere, in una apposita recente riunione, si sono lamentati degli "abusivi", un concetto fluttuante, specie a Catania e in tutta la Sicilia: lamentazioni strumentali per due ragioni: 1°, essi consiglieri han lo "stipendio" garantito dal Comune, anche se ridotto rispetto al passato, e rappresentano una minimissima parte della popolazione del quartiere; 2°, una volta tanto che l'amministrazione -la quale sa benissimo lo stato di disastro economico delle famiglie e dei singoli, anche se con i redditi fissi e rintracciabili fa l'esattore feroce- cerca di essere rappacificatrice e "chiude un occhio", v'ha chi mormora... Non ci si contenta mai.

Un problema, posto che la piazza è il luogo di raccolta in caso di disastro sismico, potrebbe essere l'ingombro di essa: ma sarebbe una fatalità assoluta se un eventuale terremoto coincidesse con la domenica -invero non evitabile per i misteri della Natura-, e comunque date le condizioni purtroppo non perfette dei palazzi settecenteschi circostanti, la prospettiva di ricovero sarebbe in parte risibile. E' anche vero, come alcuni hanno notato ed anche da parte nostra è stato riscontrato, che la pulizia della piazza nelle ore pomeridiane procede non velocissima, e vi sono alcuni bisognosi che rovistano negli oggetti lasciati dai bancarellari: ma se questo può impressionare, c'è da dire che in tutte le grandi metropoli del mondo sono milioni i diseredati che attingono ai rifiuti e alle minutaglie, per mancanza del necessario. Chi critica senza ragionare non si immette nel vissuto di quei poveretti che han l'unica speranza di scavare nei cassonetti o di rovistare tra i rifiuti. Quindi anche lo scarto dello scarto è comunque riciclabile: in epoche come quelle attuali non si getta, o non si dovrebbe gettare, che il necessario, mentre il consumismo imperante permette ed anzi amplifica un "indotto" inevitabile, e utilissimo, del riciclo: che i più dandy han deciso di appellare "vintage" e la gente comune, cose vecchie.

Dunque ben venga e rimanga il mercatino delle anticaglie nell'area di S.Nicolò la Rena di Catania, prospicente l'ex monastero reso celebre da Federico De Roberto ne "I Vicerè", ladddove i monaci cadetti delle più aristocratiche famiglie di Sicilia, erano gaudenti e peccaminosi pur all'ombra della magnifica cupola del tempio incompiuto, opera del cavaliere di Malta Stefano Ittar, autore anche del palazzo dei Cavalieri nell'isola mediterranea. Quella "arca" suprema ospitò Re e letterati, musicisti sommi e oscuri viaggiatori delle misteriosofie di ieri e di oggi, da Goethe a Bellini; vi fu Abate il Beato Cardinale palermitano Giuseppe Benedetto Dusmet, era mèta prediletta dei Borboni, dei due Ferdinando, e Garibaldi dal lucernario della cupola guardava, come scrive nelle Memorie, Catania e il mare di Sicilia "con lo sguardo appassionato d'un amante". Il tempo trascorre, ma le dieci colonne spezzate della facciata della chiesa di San Nicola, opera dei Battaglia, proteggono i pacifici commerci, le opere dell'Uomo non contaminato dalle impurità.

Francesco Giordano

(Le fotografie del mercatino e del tempio di San Nicolò la Rena, sono dell'autore dell'articolo, scattate il 12 gennaio 2014)

"La bella addormentata nel bosco", fiaba musicale, al Piccolo Teatro di Catania, 4-6 gennaio 2014






"La bella addormentata nel bosco", fiaba musicale, al Piccolo Teatro di Catania, 4-6 gennaio 2014

Nell'ambito della stagione 2013-2014 del Piccolo Teatro di Catania, grande successo ha riscosso la favola musicale "La bella addormentata nel bosco", da Perrault e Grimm, adattata e rielaborata da Domenico Carboni, con la regia di Gianni Salvo, che del Teatro è l'artifex discreto e attento. Collaborato da Oriana Sessa per scene e costumi, da Simone Raimondo per luci e suoni e dal maestro Pietro Cavalieri per le musiche originali, il regista da un quarantennio versato per le fiabe che trasmettono a grandi e piccini il messaggio universale del viaggio immenso nel sogno e nella fantasia la quale è il fiume carsico della vita, ha dato luogo ad una rappresentazione leggera e intensa, vagante fra l'onirico e il musicale, senza discostarsi dalla tradizione che vede "la bella addormentata" fra le più celebri storie della letteratura per bambini.

E' infatti nel XIX secolo, con il celebre balletto di Ciaikowski, che la fiaba assume diffusione mondiale: da lì gli adattamenti, sino al notissimo cartone animato della Disney, del 1959. La rilettura di Carboni è rispettosa della tradizione e innovativa quel tanto necessario per non segnalare sbavature e rientra nei canoni ricettivi di un pubblico per lo più di bimbi, ma anche intende far leva sul "fanciullino" pascoliano degli adulti, poichè attraverso l'inserzione delle musiche di Cavalieri, dona un tocco di visione operettistica ad una narrazione che ha il sapore dell'onirico e del partecipato.

Gli attori, Maria Rita Sgarlato, Giuseppe Carbone, Davide Sbrogiò e Tiziana Bellassai, riescono perfettamente all'altezza dei loro ruoli, evidentemente con una lunga dimestichezza nei personaggi. La più incisiva risulta la Fata Celestina-Bellassai, con la verve assoluta che la caratterizza in un crescendo di intensità e coinvolgimento verso il pubblico; ma non meno partecipati i ruoli degli altri protagonisti, per una pièce di circa un'oretta che ha coinvolto (il 4, 5 e 6 gennajo c.a.) il numeroso pubblico intervenuto, confermando la tradizione del Piccolo Teatro come ritrovo di alta classe ove si "galoppa con la fantasia", per dirla con la versione di Carboni, perchè "le fiabe sono sempre di moda ieri e oggi come domani".

E se il principe atteso da Aurora non sarà sempre l'ideale, suggerisce sottilmente la versione di Salvo-Carboni, nondimeno lo scioglimento iniziatico del messaggio permetterà all'Amore, ovvero alla speranza, di superare ogni ostacolo sia interiore che esteriore (il bosco incantato, la tristezza adolescenziale della fanciulla), e giungere alla via, il cui futuro percorso non si sa quanto sarà determinato (la fiaba si chiude con una festa di fidanzamento fra il maturo principe, che forse non è principe ma si crede tale, e la ragazza: fidanzamento, si badi, non matrimonio...) e possa essere, forse è, di sostanziale positività. Non è facile modulare nel XXI secolo messaggi e segni, simboli e storie iniziatiche di due secoli fa o senza tempo, come quella qui riportata. L'abilità dei maestri ciò permette, e la ricezione conscia o inconsapevole del pubblico, specie dei più puri, ovvero dei piccoli, fa sì che il messaggio passi. E soprattutto, come il seme di antica memoria, doni frutto, che il tempo renderà denso di emozioni.

F. Gio.

lunedì 4 novembre 2013

Il murgo a Gioiosa marea (Me), tra storia e letteratura






Il Murgo a Gioiosa, fra storia e narrativa

Nella celebre cena di Trimalchione, descritta con sapiente maestrìa in quel romanzo scintillante che è il Satyricon di Petronio (duemila anni... e non li dimostra, tale è la modernità di codeste opere immortali), l'autore fa entrare in scena uno scheletro, manovrato dallo schiavo, che si muove nelle più strane forme, mentre Trimalchione canta:

Eheu nos miseros, quam totus homuncio nil est!

Sic erimus cuncti, postquam nos auferet Orcus.

Ergo uiuiamus, dum licet esse bene

che in italiano si può tradurre: "poveri noi miseri, che siamo nulla e ci crediamo il tutto! Così tutti finiremo, dopo che cadremo nelle Tenebre. Perciò viviamo, finchè si può stare bene". E' la sensazione indimenticabile che provammo pochi giorni fa a Gioiosa marea, ridente centro del Tirreno siculo e perla della costa nord della nostra amata isola del sole, assaporando il Murgo, una specialità gastronomica tipica locale che è stata associata alla tradizione gioiosana del carnevale, ma che si può gustare tutto l'anno mercè l'arte culinaria dei ristoratori del ridente paese esposto sul promontorio di capo Calavà. L'artefice e creatrice della promozione del piatto che assòmma in sè le tradizioni mediterranee e orientali e arcaiche della Sicilia, fondendole in una miscela armoniosa e poetica, è Giuliana Scaffidi, scrittrice e poliforme operatrice culturale gioiosana, che fra un gòccio di bianco di Piraino (della azienda vinicola Amato, denominato appunto il Murgo) e il sorriso ineffàbile che ella, dal biondo crine, dispensa in modo elegante e garbato come solo le donne dotate di senso artistico san fare, ci spinse con grazia a gustare il piatto. Che è la pasta col nero delle seppie ben nota in tutte le sicule coste: solo che in quel di Gioiosa s'arricchisce delle specialità dei calamari e gamberetti assommati alle seppioline, pinoli e salsa di Pachino, con il tòcco leggero ma incisivo del finocchietto. Il grano isolano, movente millenario della Sicilia qual custode della vita e per cui sovrani e imperatori e dèi guerreggiarono indefinitamente, è il perno del piatto, che Giuliana ha voluto associare all'omonima maschera carnascialesca gioiosana del Murgo, promossa da emigrati i quali nel secondo dopoguerra diedero vita alle manifestazioni tipiche del Carnevale locale. Miscela cromatica, filiazione d'intenti, promozione del luogo, a parer nostro ben riuscita.

E se la donna è artefice suprema, nei millenni, della creazione del cibo e della vita così come le Divinità hanno stabilito sin dal germogliare dei tempi, la Sicilia ha oggi vieppiù necessità di riscoprire l'importanza del parallelo gastronomia-cultura letteraria e tradizione, anche e forse soprattutto attraverso la valorizzazione e la promozione delle realtà locali, come quella di Gioiosa di cui noverammo, condivise con estremo entusiasmo in una comunità viva, giovane, partecipata. Basti dire che l'Associazione culturale che Giuliana Scaffidi presiede si è fatta promotrice del premio letterario Il Murgo, giunto alla seconda edizione, e continua a creare, magmaticamente, iniziative belle e appassionanti. Lei non lo disse, ma noi comprendemmo subito l'animo poetico: infatti Giuliana scrive, e non son di secondaria importanza i suoi "pensieri", che un dì raccoglierà in volume in forma di prosa, come cameo senza tempo di uno stile, intenso e matèrico, oltre la materialità del contingente, che farà onore alla sua comunità e alla sicula terra.

Ebbe ragione Idrisi, geografo mussulmano del XII secolo, concludendo così la sua descrizione dell'Isola: "Non si trova in nessuna parte del mondo, come in Sicilia, maggior numero di paesi e regioni più prosperose". Le stelle del mare di Trinacria, annuiscono in silenzio.

F. Gio.

(Questo articolo è stato pubblicato sul sito che documenta le attività di Gioiosa marea: http://lnx.gioiosani.it/2013/11/01/il-murgo-a-gioiosa-fra-storia-e-narrativa-il-piatto-il-murgo-varca-le-soglie-della-provincia/#.UnearEhd7IV)