sabato 18 gennaio 2014

Il mercatino delle anticaglie di Catania resta a piazza Dante, una scelta giusta







Il mercatino delle anticaglie di Catania resta a piazza Dante, una scelta giusta

Avevamo riferito, nei mesi precedenti, dello spostamento dello storico mercatino delle anticaglie (o delle pulci o cose vecchie che dir si voglia) di Catania, dalla sede decennale della zona del mercato quotidiano (piazza Carlo Alberto, poi piazza Grenoble, infine sullo stradone di Corso martiri della libertà), nella antica platea dell'ex monastero dei Benedettini, in pieno centro storico della città dell'elefante, a poche centinaja di metri dal Duomo; così non solo assecondando la logica che vede il mercatino presente da un trentennio in città, tornare in un luogo adatto perchè antico e suggestivo (per chi lo ricorda, negli anni Ottanta le poche bancarelle dei venditori di francobollii e monete e libri, erano sotto i portici di piazza Mazzini...), ma anche seguire l'andazzo di tutte le grandi città del mondo che vedono lo svolgersi di tale commercio in luoghi siffatti.

Bisogna aggiungere che nella amministrazione comunale, ritornata, di Enzo Bianco, se c'è un Assessore attento perchè umanamente permeabile agli ultimi e ai bisognosi, è l'avvocato Angela Mazzola (così ci è stato riferito e non v'ha motivo di dubitarne: svolge attività di volontariato oltre la professione, in una comunità parrocchiale), alle Attività Produttive : a lei si deve il riordino dei bancarellari, che non sono abusivi come qualcuno sostiene perchè pagano il suolo pubblico alle casse comunali, compresi gli zingari a cui proprio per la sensibilità dell'Assessore, è stata riservata la parte sud della piazza, propspicente l'ex convento della Trinità adesso in ristrutturazione, nonchè la scelta, da settembre, del luogo. Scelta e svolgimento che, se nelle prime settimane (precisiamo che la nostra è cronaca da habitué, non orecchiamento de relato, poiché ogni domenica siamo in piazza sin da prima dell'alba) ha destato qualche mormorìo nei venditori, circa quattrocento, abituati alla zone precedenti, si è negli scorsi mesi stabilizzata, perchè è notevolissimo, specie nella tarda mattinata, l'afflusso di persone che continuano ad aquistare oggetti riciclati. Ciò tra le altre cose dimostra come è fiorente il mercato del riuso, e coloro che ne attingono sovente han la possibilità economica di acquistare il nuovo, ma preferiscono l'usato. Ovvero, non è più, come anni fa -rimangono pochissimi che ancora la vedono così- un vezzo da arricchiti o artisti bohemièn, ma una scelta precisa. A volte o sovente, necessità.

Per cui il luogo alla fine è piaciuto a tutti, operatori e amministrazione: la quale a' primi di gennaio con una apposita delibera ha deciso di prorogare l'autorizzazione, in via "sperimentale", del sito, sino alla fine di febbraio. Prevediamo che la "sperimentazione" sia prodromo della stabilizzazione, ovvero che il mercatino finalmente rimanga in piazza Dante, davanti il monastero sede delle Facoltà umanistiche della università catinense: questo per diverse ragioni, di carattere pratico, psicologico e contingente. Alcuni, si dice un centinaio, han raccolto delle firme per spostare il sito: ma sono la minoranza, la maggioranza degli operatori ha accettato il luogo, perchè in ogni caso l'affluenza di pubblico, come e più nelle sedi precedenti, c'è; il quartiere, e per quartiere limitrofo ne intendiamo più di uno, dalla zona di via Vittorio Emanuele-Garibaldi a tutto il circondario nord-ovest della via Plebiscito, ossia il Corso, i Cappuccini; senza dire di San Cristoforo più distante, ne trae giovamento economico (molte attività commerciali ambulanti e fisse incassano, compresi i posteggiatori); gli abitanti sono anche in alcuni casi gli stessi bancarellari, che non si spostano molto; per i rom o zingari, utilissimi sia ai vendotori (comprano molti da loro, e poi rivendono nella stessa mattinata, agli avventori ignari che arrivano tardi...) è un buon luogo perchè non solo essi regolamentati, ma controllati e settorializzati; la vigilanza non manca, seppure i VV.UU. del Comune siano pochi, non disertano l'appuntamento; la vicina caserma dei Carabinieri è utile presidio. In definitiva, più positività che negatività. Alcuni consiglieri di quartiere, in una apposita recente riunione, si sono lamentati degli "abusivi", un concetto fluttuante, specie a Catania e in tutta la Sicilia: lamentazioni strumentali per due ragioni: 1°, essi consiglieri han lo "stipendio" garantito dal Comune, anche se ridotto rispetto al passato, e rappresentano una minimissima parte della popolazione del quartiere; 2°, una volta tanto che l'amministrazione -la quale sa benissimo lo stato di disastro economico delle famiglie e dei singoli, anche se con i redditi fissi e rintracciabili fa l'esattore feroce- cerca di essere rappacificatrice e "chiude un occhio", v'ha chi mormora... Non ci si contenta mai.

Un problema, posto che la piazza è il luogo di raccolta in caso di disastro sismico, potrebbe essere l'ingombro di essa: ma sarebbe una fatalità assoluta se un eventuale terremoto coincidesse con la domenica -invero non evitabile per i misteri della Natura-, e comunque date le condizioni purtroppo non perfette dei palazzi settecenteschi circostanti, la prospettiva di ricovero sarebbe in parte risibile. E' anche vero, come alcuni hanno notato ed anche da parte nostra è stato riscontrato, che la pulizia della piazza nelle ore pomeridiane procede non velocissima, e vi sono alcuni bisognosi che rovistano negli oggetti lasciati dai bancarellari: ma se questo può impressionare, c'è da dire che in tutte le grandi metropoli del mondo sono milioni i diseredati che attingono ai rifiuti e alle minutaglie, per mancanza del necessario. Chi critica senza ragionare non si immette nel vissuto di quei poveretti che han l'unica speranza di scavare nei cassonetti o di rovistare tra i rifiuti. Quindi anche lo scarto dello scarto è comunque riciclabile: in epoche come quelle attuali non si getta, o non si dovrebbe gettare, che il necessario, mentre il consumismo imperante permette ed anzi amplifica un "indotto" inevitabile, e utilissimo, del riciclo: che i più dandy han deciso di appellare "vintage" e la gente comune, cose vecchie.

Dunque ben venga e rimanga il mercatino delle anticaglie nell'area di S.Nicolò la Rena di Catania, prospicente l'ex monastero reso celebre da Federico De Roberto ne "I Vicerè", ladddove i monaci cadetti delle più aristocratiche famiglie di Sicilia, erano gaudenti e peccaminosi pur all'ombra della magnifica cupola del tempio incompiuto, opera del cavaliere di Malta Stefano Ittar, autore anche del palazzo dei Cavalieri nell'isola mediterranea. Quella "arca" suprema ospitò Re e letterati, musicisti sommi e oscuri viaggiatori delle misteriosofie di ieri e di oggi, da Goethe a Bellini; vi fu Abate il Beato Cardinale palermitano Giuseppe Benedetto Dusmet, era mèta prediletta dei Borboni, dei due Ferdinando, e Garibaldi dal lucernario della cupola guardava, come scrive nelle Memorie, Catania e il mare di Sicilia "con lo sguardo appassionato d'un amante". Il tempo trascorre, ma le dieci colonne spezzate della facciata della chiesa di San Nicola, opera dei Battaglia, proteggono i pacifici commerci, le opere dell'Uomo non contaminato dalle impurità.

Francesco Giordano

(Le fotografie del mercatino e del tempio di San Nicolò la Rena, sono dell'autore dell'articolo, scattate il 12 gennaio 2014)

"La bella addormentata nel bosco", fiaba musicale, al Piccolo Teatro di Catania, 4-6 gennaio 2014






"La bella addormentata nel bosco", fiaba musicale, al Piccolo Teatro di Catania, 4-6 gennaio 2014

Nell'ambito della stagione 2013-2014 del Piccolo Teatro di Catania, grande successo ha riscosso la favola musicale "La bella addormentata nel bosco", da Perrault e Grimm, adattata e rielaborata da Domenico Carboni, con la regia di Gianni Salvo, che del Teatro è l'artifex discreto e attento. Collaborato da Oriana Sessa per scene e costumi, da Simone Raimondo per luci e suoni e dal maestro Pietro Cavalieri per le musiche originali, il regista da un quarantennio versato per le fiabe che trasmettono a grandi e piccini il messaggio universale del viaggio immenso nel sogno e nella fantasia la quale è il fiume carsico della vita, ha dato luogo ad una rappresentazione leggera e intensa, vagante fra l'onirico e il musicale, senza discostarsi dalla tradizione che vede "la bella addormentata" fra le più celebri storie della letteratura per bambini.

E' infatti nel XIX secolo, con il celebre balletto di Ciaikowski, che la fiaba assume diffusione mondiale: da lì gli adattamenti, sino al notissimo cartone animato della Disney, del 1959. La rilettura di Carboni è rispettosa della tradizione e innovativa quel tanto necessario per non segnalare sbavature e rientra nei canoni ricettivi di un pubblico per lo più di bimbi, ma anche intende far leva sul "fanciullino" pascoliano degli adulti, poichè attraverso l'inserzione delle musiche di Cavalieri, dona un tocco di visione operettistica ad una narrazione che ha il sapore dell'onirico e del partecipato.

Gli attori, Maria Rita Sgarlato, Giuseppe Carbone, Davide Sbrogiò e Tiziana Bellassai, riescono perfettamente all'altezza dei loro ruoli, evidentemente con una lunga dimestichezza nei personaggi. La più incisiva risulta la Fata Celestina-Bellassai, con la verve assoluta che la caratterizza in un crescendo di intensità e coinvolgimento verso il pubblico; ma non meno partecipati i ruoli degli altri protagonisti, per una pièce di circa un'oretta che ha coinvolto (il 4, 5 e 6 gennajo c.a.) il numeroso pubblico intervenuto, confermando la tradizione del Piccolo Teatro come ritrovo di alta classe ove si "galoppa con la fantasia", per dirla con la versione di Carboni, perchè "le fiabe sono sempre di moda ieri e oggi come domani".

E se il principe atteso da Aurora non sarà sempre l'ideale, suggerisce sottilmente la versione di Salvo-Carboni, nondimeno lo scioglimento iniziatico del messaggio permetterà all'Amore, ovvero alla speranza, di superare ogni ostacolo sia interiore che esteriore (il bosco incantato, la tristezza adolescenziale della fanciulla), e giungere alla via, il cui futuro percorso non si sa quanto sarà determinato (la fiaba si chiude con una festa di fidanzamento fra il maturo principe, che forse non è principe ma si crede tale, e la ragazza: fidanzamento, si badi, non matrimonio...) e possa essere, forse è, di sostanziale positività. Non è facile modulare nel XXI secolo messaggi e segni, simboli e storie iniziatiche di due secoli fa o senza tempo, come quella qui riportata. L'abilità dei maestri ciò permette, e la ricezione conscia o inconsapevole del pubblico, specie dei più puri, ovvero dei piccoli, fa sì che il messaggio passi. E soprattutto, come il seme di antica memoria, doni frutto, che il tempo renderà denso di emozioni.

F. Gio.

lunedì 4 novembre 2013

Il murgo a Gioiosa marea (Me), tra storia e letteratura






Il Murgo a Gioiosa, fra storia e narrativa

Nella celebre cena di Trimalchione, descritta con sapiente maestrìa in quel romanzo scintillante che è il Satyricon di Petronio (duemila anni... e non li dimostra, tale è la modernità di codeste opere immortali), l'autore fa entrare in scena uno scheletro, manovrato dallo schiavo, che si muove nelle più strane forme, mentre Trimalchione canta:

Eheu nos miseros, quam totus homuncio nil est!

Sic erimus cuncti, postquam nos auferet Orcus.

Ergo uiuiamus, dum licet esse bene

che in italiano si può tradurre: "poveri noi miseri, che siamo nulla e ci crediamo il tutto! Così tutti finiremo, dopo che cadremo nelle Tenebre. Perciò viviamo, finchè si può stare bene". E' la sensazione indimenticabile che provammo pochi giorni fa a Gioiosa marea, ridente centro del Tirreno siculo e perla della costa nord della nostra amata isola del sole, assaporando il Murgo, una specialità gastronomica tipica locale che è stata associata alla tradizione gioiosana del carnevale, ma che si può gustare tutto l'anno mercè l'arte culinaria dei ristoratori del ridente paese esposto sul promontorio di capo Calavà. L'artefice e creatrice della promozione del piatto che assòmma in sè le tradizioni mediterranee e orientali e arcaiche della Sicilia, fondendole in una miscela armoniosa e poetica, è Giuliana Scaffidi, scrittrice e poliforme operatrice culturale gioiosana, che fra un gòccio di bianco di Piraino (della azienda vinicola Amato, denominato appunto il Murgo) e il sorriso ineffàbile che ella, dal biondo crine, dispensa in modo elegante e garbato come solo le donne dotate di senso artistico san fare, ci spinse con grazia a gustare il piatto. Che è la pasta col nero delle seppie ben nota in tutte le sicule coste: solo che in quel di Gioiosa s'arricchisce delle specialità dei calamari e gamberetti assommati alle seppioline, pinoli e salsa di Pachino, con il tòcco leggero ma incisivo del finocchietto. Il grano isolano, movente millenario della Sicilia qual custode della vita e per cui sovrani e imperatori e dèi guerreggiarono indefinitamente, è il perno del piatto, che Giuliana ha voluto associare all'omonima maschera carnascialesca gioiosana del Murgo, promossa da emigrati i quali nel secondo dopoguerra diedero vita alle manifestazioni tipiche del Carnevale locale. Miscela cromatica, filiazione d'intenti, promozione del luogo, a parer nostro ben riuscita.

E se la donna è artefice suprema, nei millenni, della creazione del cibo e della vita così come le Divinità hanno stabilito sin dal germogliare dei tempi, la Sicilia ha oggi vieppiù necessità di riscoprire l'importanza del parallelo gastronomia-cultura letteraria e tradizione, anche e forse soprattutto attraverso la valorizzazione e la promozione delle realtà locali, come quella di Gioiosa di cui noverammo, condivise con estremo entusiasmo in una comunità viva, giovane, partecipata. Basti dire che l'Associazione culturale che Giuliana Scaffidi presiede si è fatta promotrice del premio letterario Il Murgo, giunto alla seconda edizione, e continua a creare, magmaticamente, iniziative belle e appassionanti. Lei non lo disse, ma noi comprendemmo subito l'animo poetico: infatti Giuliana scrive, e non son di secondaria importanza i suoi "pensieri", che un dì raccoglierà in volume in forma di prosa, come cameo senza tempo di uno stile, intenso e matèrico, oltre la materialità del contingente, che farà onore alla sua comunità e alla sicula terra.

Ebbe ragione Idrisi, geografo mussulmano del XII secolo, concludendo così la sua descrizione dell'Isola: "Non si trova in nessuna parte del mondo, come in Sicilia, maggior numero di paesi e regioni più prosperose". Le stelle del mare di Trinacria, annuiscono in silenzio.

F. Gio.

(Questo articolo è stato pubblicato sul sito che documenta le attività di Gioiosa marea: http://lnx.gioiosani.it/2013/11/01/il-murgo-a-gioiosa-fra-storia-e-narrativa-il-piatto-il-murgo-varca-le-soglie-della-provincia/#.UnearEhd7IV)

lunedì 21 ottobre 2013

Chiesa San Giuseppe al Transito, Catania: triduo solenne in rito Romano antico, ottobre-novembre 2013



Riceviamo e pubblichiamo:







Chiesa di

San Giuseppe al Transito

DOMENICA 27 OTTOBRE 2013

Solennità di N. S. Gesù Cristo Re dell’Universo

Ore 10,30: S. Messa in Rito Romano Antico.


VENERDÌ 1 NOVEMBRE 2013

Solennità di Ogni Santi

Ore 10,30: S. Messa Cantata.

 
SABATO 2 NOVEMBRE 2013

Commemorazione dei Fedeli Defunti

Ore 18,00: S. Messa in suffragio di tutti i Fedeli Defunti.


DOMENICA 3 NOVEMBRE 2013

Festa della Traslazione di Maria SS.ma dell’Aiuto

Ore 11,00: S. Messa Solenne. La celebrazione avrà luogo presso


la chiesa parrocchiale, Santuario S. Maria dell’Aiuto, in

occasione del 372° Anniversario della Traslazione della Venerata

Immagine della Vergine SS.ma dell’Aiuto.
 
 
 

mercoledì 16 ottobre 2013

Il popolo siciliano abolisca lo stipendio scandaloso dei deputati regionali: non ne avevano nel XIX secolo, non ne abbiano oggi!


La casta/ Ars: niente stipendio ai deputati. Come era una volta…



 14 ott 2013   Posted by Francesco Giordano                     



IL POPOLO SICILIANO ABOLISCA LO STIPENDIO SCANDALOSO DEI PARLAMENTARI REGIONALI: NON NE AVEVANO NEL XIX SECOLO, NON NE ABBIANO OGGI

Quest’anno, stiamo assistendo in Sicilia al tracollo ignominioso di quello che fu il Parlamento più antico del mondo, accartocciato su se stesso e morente in senso assolutamente vergognoso. La popolazione siciliana è alla miseria, fuorchè le ‘caste’ degli stipendiati, dei pescecani del mercato nero, dei politici e dei religiosi (che comunque sono una buona metà dei cinque milioni e mezzo della intiera compagine sicula); ma ciò che fa più vergogna è la constatazione che l’aula parlermitana dell’Assemblea governativa è sovente vuota. E’ un vuoto pneumatico non solo dovuto alla inanità del governo del Presidente Crocetta -dopo la fine ignava di quello di Lombardo, l’illusione del cambiamento durò poche settimane-, che fa proclami e non fatti, ma anche l’assenza dei cosiddetti Deputati regionali dai lavori, che impressiona il siciliano oramai sveglio e non più “addùrmisciutu”. palazzo reale
Il lato positivo dell’informazione online alla quale tutti noi operatori ci siamo adeguati, trascinando (anche attraverso gli smartphone) il comune popolo, è che -sia per le news, sia facebook, siano i blog- tutti oramai sanno, o per curiosità, o per interesse, o perchè l’amico ti dice di averlo letto su internet. Pochi rimangono ignari. Per cui le immagini inserite nella rete (da alcuni deputati pentastellati, ci pare) dell’ARS vuota, sono eloquenti. Anche perchè i parlamentari siculi, e anche questo adesso lo sanno anche le pietre, fra stipendi benefit e aggiunte varie, incassano dall’ente regionale circa 20 mila euro al mese. Così come tutti sono edotti della importante decurtazione del cosiddetto “stipendio” autopromossa dai deputati del M5Stelle, unici ad aver istituito questa novità. E’ un segnale di cambiamento, insufficiente ma valido. In ogni caso, la Storia è l’inderogabile “memento”.
E la nostra Storia Patria, ovvero della Nazione Sicilia, ci dice che solo negli ultimi 50-60 anni i cosiddetti Deputati al Parlamento dell’Isola, hanno goduto di quel che si suole chiamare stipendio mensile. E’ a questo proposito opportuno rileggersi, e spesso, le due carte fondative che precedono lo Statuto autonomista del 1946 e di quel documento sono “padri”, ossia la Costituzione cosiddetta “inglese” del 1812 (entrata in vigore l’anno successivo, poi tristamente abrogata tre anni dopo dal medesimo Ferdinando III di Sicilia e IV di Napoli, divenuto I delle Due Sicilie, che dopo 800 anni soppresse il Parlamento e quindi negò dopo averla giurata, la Libertà ai Siciliani), e lo Statuto Costituzionale del Regno di Sicilia del 1848, espressione della rivoluzione antiborbonica durata un anno e quattro mesi nell’Isola (altro che cinque giornate di Milano…!!!), e soffocata nel sangue nell’aprile del 1849 dalle truppe del Principe di Satriano con l’ausilio degli Svizzeri del Reggimento Riedmatten a Catania nella famosa strage dell’aprile di sangue, nonchè col cannoneggiamento delle maggiori città costiere di Sicilia. Quelle Carte costituzionali furono scritte col sangue dei patrioti isolani e sono molto degne, forse più dello Statuto del 1946, della nostra storica epopea.
Basti segnalare che nello Statuto del 1848 l’articolo 2 recita: “la Sicilia sarà sempre Stato indipendente”… Sempre, vuol dire sempre…!
Così la Costituzione del 1812, a proposito del finanziamento dei Deputati, allora divisi all’uso britannico in Camere dei Pari e dei Comuni -non si sala d'ercoledimentichi che quella fu la Costituzione che aprì l’Isola al mondo moderno perchè abolitrice della feudalità, del maggiorascato, dei fidecommesso, rivoluzionaria e quasi ‘eversiva’ dell’antico ordine feudale siciliano il quale, se non andò in pezzi da subito, venne disgregato negli anni a venire mercé quel fenomenale documento, come attesta la realtà dei fatti e comprovano tutti gli storici della Sicilia, specie gli stranieri, britannici in testa- precisava, al Capo VI paragrafo 10: “Qualunque persona eletta sia come rappresentante di un distretto, sia di una città o terra parlamentaria, dovrà recarsi in Palermo a proprie spese; qualora le università volessero dai sopravanzi contribuire alle dette spese, saranno in tal caso in libertà di farlo; ben vero la sovvenzione non potrà eccedere un’oncia al giorno, e ciò dovrà farsi col consenso del consiglio civico”. In altri termini, se i Pari ovvero i Signori, era logico avessero i mezzi per gestire quella carica, era anche normale l’avessero i Deputati dei Comuni ossia i rappresentanti di città e distretti siciliani, perchè erano eletti (si stabilisce in altro capo del documento), in base alla rendita personale, al proprio patrimonio: ma qualora abbisognassero di un contributo, la costituzione stabiliva che solo i Comuni (università) potevano darlo, in misura ridotta e dopo l’assenso di tutta l’assemblea dei consiglieri.
Pensate se oggi uno qualunque dei Deputati siciliani debba pagarsi l’onore di essere tale dalle proprie tasche, senza sperare rimborsi dalla Regione; se osasse chiedere finanziamenti al proprio Comune di pertinenza, questi gliene concederebbe pochi (un’oncia al giorno, come dire dieci euro…) e solo dopo che il Consiglio comunale verifichi se costui lo meriti…!
Siamo nel medioevo oggi, o nel 1812-13? Ognuno tragga le conclusioni. Siamo nella “dittatura” oggi o in quel tempo?
Lo Statuto del 1848, scritto fra l’altro basandosi sulla Costituzione del 1812 (che richiama in più punti), in frangenti di grande eccitazione politica e fremiti di libertà mondiale, teneva lievemente conto della mutazione dei tempi e dei problemi che i Deputati e Senatori rappresentanti del popolo Siciliano (così in quella carta erano nominati), ma non mutava atteggiamento a proposito dei finanziamenti ad essi. Neppure cennava ai Senatori per questo tema, essendo essi come i Pari del 1812 perfettamente in grado di autofinanziarsi, ma per i Deputati, similmente al documento pregresso, precisava all’articolo 15: “Potranno i Comuni concedere ai Rappresentanti per il periodo delle sessioni una indennità non eccedente tarì venti al giorno, tranne a coloro che risiedono nella Capitale“. Già nel 1848, come si nota e piacerà a qualcuno oggi, i Deputati di Sicilia erano formalmente appellati “Rappresentanti”, perchè questo e solo questo erano e dovevano essere, portavoce o rappresentanti del loro popolo: per alcuni di costoro che ne avevano necessità -ma anche la carta costituzionale quarantottesca definiva l’elezione essere deliberata per censo e rendita personale, quindi era sempre minimo il numero di coloro che potevano ricorrere ad un eventuale contributo o rimborso dei Comuni- i consessi civici potevano dare venti tarì al giorno (un pochetto più della misera oncia del 1812, ma neppure tanto differente: si intuisce da ciò che erano più cifre simboliche che altro), aggiungendo la novità che i residenti in Palermo ne erano esclusi.
La logica regnava sovrana in quei giorni di ideali, non l’arzigogolo delle ruberìe legalizzate. E del resto come potrebbe essere stato diversamente, se fra i capi dell’insurrezione sicula del 1848 vi furono, e citiamo solo due nomi altissimi, Ruggero Settimo e Michele Amari, i quali poi scontavano con l’esilio la prova di libertà contro la tirannide, e fu proprio fra Malta e Parigi (dove poi vide la luce) che l’illuminato Amari scrisse quell’opera che valicherà i secoli, ovvero la “Guerra del Vespro”, nonchè la “Storia dei Musulmani di Sicilia”! Questi erano gli uomini, davvero d’onore, allora. Si aggiunga infine che i lavori del Parlamento sia nel 1812-13 che nel 1848-49 erano stabiliti non dover durare un quinquennio come oggi, ma convocarsi l’assemblea almeno una volta all’anno, e per non più di tre mesi; 0 (5)l’ufizio di Deputati e Senatori (nel 1848) era stabilito in due e sei anni, rieleggibili. Ma sempre senza alcun indennizzo pubblico, come abbiamo visto.
Per chi è cristiano, citiamo San Paolo, lettera prima a Timoteo (6,9-10): “Quelli invece che vogliono abbondare in ricchezze, cadono nella tentazione, nei lacci, in molte cupidigie insensate e funeste che sommergono gli uomini nella rovina e nella perdizione. Infatti la radice di tutti i mali è l’amore per il denaro. E alcuni che hanno cercato di averlo si sono smarriti lontani dalla fede e si sono trafitti con innumerevoli tormenti”.
Non troviamo altra spiegazione, pure laicamente, all’ingordigia dei nostri attuali Deputati regionali i quali sono peraltro garantiti dalle leggi dai loro immediati predecessori nei decenni precedenti esperite riguardo i loro “stipendi”, che questa paolina, di un convertito alla Luce: “la radice di tutti i mali, l’amore per il denaro”. Ma forse quel 53 % di Siciliani, cioè la maggioranza, e non lo si dimentichi mai, che nell’ottobre del 2012 non è andata a votare -caso mai accaduto dal 1946- ha compreso questo, che i nostri rappresentanti vanno a Palermo solo perchè assetati di denaro per se medesimi, e non li ha più votati? La gente non è stupida o “ammùccalapuni” come poteva esserlo negli anni passati. Sarà pure in parte mentalmente corrotta, collusa, connivente, complice: ma stupida, no.
Quale soluzione allora? Il governo attuale e il Parlamento tutto, non si autocastreranno finanziariamente, è impensabile, oltre le chiacchiere da salotto: non prima almeno di aver svolto più della metà della (falsa, poichè sono stati votati, tutti, dalla minoranza dei siciliani) legislatura, con l’unico scopo di maturare i requisiti pensionistici. Il “caso” dei deputati pentastellati, che comunque conservano un rimborso spese di 2500 euro che è pure una enormità (se avessero letto le Costituzioni siciliane predette, e i loro ‘santoni’ approvavano, potevano scegliere di imitare dignitosamente i predecessori del XIX secolo…), è isolato e non sarà imitato dalla ‘casta’. Unica via è una legge di iniziativa popolare, che raccolga le firme, almeno diecimila, dei siciliani tutti, onde riportare la situazione dei deputati al Parlamento siciliano alle condizioni dettate dalle Carte costituzionali del 1812 e del 1848.
E nessuno ci dica che ciò è antimoderno: poichè negli Stati Uniti, nazione all’avanguardia del progresso, i Deputati e Senatori del Congresso finanziano essi stessi la loro campagna elettorale, e i loro “supporters” pagano di tasca propria le reclàme durante il periodo della propaganda. Vada a rappresentare i Siciliani chi ha la rendita personale per farlo, e alla Regione Siciliana non sia consentito di dare un solo euro, o grano (se si intende adottare la moneta complementare di cui si parla molto ultimamente), a costoro. Se poi i Comuni intendono finanziare chi rendita personale non ha o l’ha minima, si deliberi al consiglio comunale e si verifichi la cifra e l’operato del beneficiario del sussidio. Non palermitano, certo, perchè per fare due passi nella medesima città fino a palazzo Reale può andarvi a piedi. Se invece un Deputato di Misilmeri o di Acireale deve andare lì a rappresentare i siciliani, presenti dipoi gli scontrini del biglietto dell’AST ai comuni propri, e questi glieli rimborseranno. bandiera siciliana
E pace. Fantapolitica, vi pare? Ma è una nazione civile, quella che ci permettiamo di delineare. Lo era la Sicilia nel 1812, lo era nel 1848 in piena guerra, volete che non lo sia nel 2013? E citiamo sempre esempi nobili: qualche settimana fa al Parlamento britannico si dibattè su l’eventuale sostegno agli USA per quella che si profilava essere una azione militare, poi per fortuna abortita, contro la Siria: ebbene il Premier Cameron è stato costretto a dire al Presidente Usa Obama che no, il Parlamento di Sua Maestà si oppone in maggioranza ad un eventuale finanziamento di missione militare, perchè…. ci sono i disoccupati britannici prima, da aiutare! Il tutto in diretta tv.
Questo è un popolo. Se vogliamo, prendiamo esempio. Se vogliamo. E senza dimenticare che furono i biondi Normanni con gli occhi chiari, cugini dei Normanni che contemporaneamente combattevano ad Hastings, a fondare il Parlamento (“Curiae generales”) in Sicilia nel XII secolo. Forse i Normanni violentavano le donne, come alcuni scherzosamente dicono, ma almeno erano civili politicamente: si pensi alle monete con scritte cufiche, latine, greche, della sicilia degli Hauteville. Cerchiamo di essere seri e liberarci dalle catene. Se vogliamo.
Francesco Giordano