venerdì 15 ottobre 2010

Premiazione concorso letterario premio Antonio Corsaro


Premiazione concorso letterario premio Antonio Corsaro


Con il Patrocinio dell'A.I.C.S.Comitato Provinciale di Catania Settore Cultura
L'Associazione Akkuaria promuove il
PREMIO ANTONIO CORSARO 2010

La cerimonia di premiazione si svolgerà sabato 6 novembre c.a. ore 11 presso l'Aula Magna dell'Orto Botanico
in via Via A. Longo, 19 Catania.

Parleranno della figura di Antonio Corsaro:
Vera Ambra, Presidente Associazione Akkuaria
Francesco Giordano, giornalista
Nino Amico, operatore culturale

Cremazione: ora in Sicilia è legge


Importante provvedimento approvato dall’ARS

La cremazione ora è legge in Sicilia

Disponibili 500 mila Euro per la costruzione di impianti di incinerazione – Il governo
regionale sceglie la strada del progresso, valorizzando la scelta cremazionista -

Finalmente anche la nostra Regione Sicilia ha una legge che disciplina la cremazione dei cadaveri, adeguandosi così alla normativa nazionale. E’ infatti dal DPR 285 del 1990 (Presidente Cossiga) che lo Stato disciplina le norme secondo cui il cittadino che intende scegliere la cremazione delle proprie spoglie mortali, invece che la classica tumulazione, può avvalersi di impianti a regola d’arte quali i crematori pubblici, nonché lasciare la volontà che i parenti od i collaterali discendenti possano disporre come meglio si vuole dei resti. E’ una scelta di civiltà, di progresso e di antica tradizione, la quale ha da circa un centennio nell’Italia del nord retroterra adeguato ed ampio consenso. La Toscana in particolare ha da molti anni regolamentato, anche prima delle disposizioni nazionali, la scelta della incinerazione non solamente utilissima dal punto di vista igienico, ma anche altamente etica e dignitosa del rispetto della persona. Seppure con un ritardo di vent’anni, l’Assemblea Regionale Siciliana nella seduta finale di chiusura estiva, il 5 agosto, su proposta del deputato del PD e già Sindaco di Misterbianco Nino Di Guardo, concordemente ed all’unanimità, ha approvato la legge 468 “Disposizioni in materia di cremazione delle salme e della conservazione, affidamento e/o dispersione delle ceneri”. E’ un provvedimento importante che supera le divisioni normali fra schieramenti politici (dònde la giusta soddisfazione del promotore) e che il Presidente Lombardo e l’Assessore alla Sanità Russo hanno fortemente voluto e varato, con uno stanziamento di cinquecento mila Euro. Prima di esaminarlo in dettaglio, ci si consenta una precisazione: la mentalità sicula deve cambiare e rimodernarsi nel solco della Tradizione anche in questo, ovvero riprendere l’antichissima usanza della incinerazione dei cadaveri degli antenati, onorando i Mani (si pensi a tutte le grandiose scene dell’Iliade e dell’Odissèa, per non citare Pindemonte con i suoi Sepolcri, artatamente imitati dal pur notevole poema del Foscolo), la quale nella Sicilia ellenica e punica –sia sufficiente, per chi non vi è ancor stato, una visita ai Musei archeologici di Siracusa, di Mozia e di Camarina: ivi le urne\anfore ove generazioni di morti si serbavano, sono esposte e si spiega che si tenevano in casa, esattamente come la legge oggi prevede- era ampiamente diffusa, prima che con l’avvento del Cristianesimo ed una pur non inaccettabile interpretazione della conservazione dei cadaveri in vista della resurrezione dei corpi e delle anime come invocato dalla dottrina cristiana, quasi imponesse la sepoltura mediante inumazione (era già pratica egiziana invero, di millenni precedente la predicazione di Gesù, ma per altre ragioni). Per fortuna anche la Chiesa Cattolica, mentre nel passato, e non senza ragione, bollava la cremazione quale segno tangibile della ribellione al suo magistero (nell’Italia post risorgimentale era vero, e furono molti che scelsero di farsi cremare in opposizione, larvata od aperta, ai dogmi della fede: uno di costoro fu il grande scrittore Luigi Pirandello), e vi era tutta una corrente di pensiero che invocava la cremazione quale scelta di libertà a fronte di un certo oscurantismo clericale (visione in parte estrema, non sopita neppure oggi, specie nelle Americhe), dall’avvento del mirifico Papa Giovanni XXIII ha compreso l’inanità del bando alla cremazione, il cui veto è infatti caduto con i documenti del Concilio Vaticano II, nel 1963; per cui l’attuale Catechismo recita che “la Chiesa non si oppone alla cremazione”, purché essa non sia manifestazione di rifiuto nella credenza della resurrezione. E’ quindi da eradicare il luogo comune della persistenza fisica del corpo dopo che l’anima, o pnéuma secondo la corretta dizione greca (nonché gnostica, filosofica) lo ha tristemente abbandonato. Quel che era non sarà mai più, secondo la interpretazione leopardiana: quel che era, tornerà nella Luce del Risorto, secondo chi ha od anela alla fede dei padri.
La Legge regionale, in dieci articoli, è pertanto fondamentale sin nei suoi assunti: “1. La Regione, ai sensi degli articoli 2 e 19 della Costituzione, sostiene il diritto di ciascun individuo di disporre delle proprie spoglie mortali. 2. La presente legge disciplina la cremazione, la conservazione delle ceneri derivanti dalla cremazione dei defunti, l'affidamento delle medesime e la loro dispersione, nel rispetto dei principi sanciti dalla normativa statale e secondo le modalità stabilite dalla medesima.
3. La Regione valorizza la scelta della cremazione per ragioni igienico-sanitarie e in quanto
pratica funeraria di minor impatto sull'ambiente, salvaguardando la dignità di ogni persona, la sua
libertà di scelta, le sue convinzioni religiose e culturali, il suo diritto a una corretta e adeguata
informazione. 4. La Regione garantisce, attraverso una adeguata formazione, la professionalità del personale addetto ai crematori”. Importante il terzo comma di codesto articolo, il quale pone la valorizzazione della cremazione quale volontà precipua del governo regionale, il quale è evidentemente sin dal suo vertice non solo ben conscio della grande dignità di essa, ma anche della notevole ed intramontabile Tradizione di Luce e di Carità che tale scelta comporta. Si prosegue con le modalità di cremazione del cadavere, studiate in modo che le ceneri siano perfettamente riconoscibili mediante l’apposizione di “sistemi identificativi non termodeperibili” che evitino spiacevoli, e già accaduti in altri luoghi, casi di confusione. Ma è l’articolo 3 che merita particolare plauso, verificando che il governo regionale –così glissando sulle sterili ed a volte tristi e capziose polemiche sollevate ad arte anche da una certa parte interessata di ambienti settàri- è altamente sensibile alle situazioni familiari private di ciascuno: l’affidamento delle ceneri del defunto, come disposto dal medesimo o dai familiari, può essere svolto consegnando l’urna contenente i resti non solo al coniuge, ai parenti diretti od affini, ma anche nelle mani “del convivente, in quanto non vi siano o non si oppongano altri aventi titolo” (comma 2). Se si pensa che, tanto per dare il quadro della attuale situazione, ai funerali dei Carabinieri morti nell’attentato di Nassirya in Iraq nel 2003 alla convivente di un militare è stato impedito di assistere ai funerali di Stato perché non legalmente sposata, è un grande segno concreto che la nostra regione manifesta, di illuminatismo contro la tenebrosità di certi atteggiamenti fanatici i quali sono del tutto inaccettabili.
Importante pure la disposizione che le ceneri possono essere disperse, ove non si voglia conservarle, in apposite aree create entro il perimetro dei cimiteri (denominate campi della memoria), ovvero in natura ed in spazi privati (non però entro i centri abitati). Si prevede inoltre un piano regionale di coordinamento che istituisca per ogni Comune, o meglio consorzio di comuni, degli impianti di cremazione per far fronte alle prevedibili e crescenti esigenze dei cittadini. Anche questa è una volontà meritevole.
Appare infatti assolutamente vergognoso che cinque milioni e mezzo di siciliani, tra cui molti che desidererebbero effettuare codesta scelta, debbano avere la infima possibilità dell’unico impianto crematorio regionale, quello di Palermo (il quale peraltro ci si dice funziona a singhiozzo): laddove urgente è l’esigenza della costruzione di moderni ed efficienti apparecchi. Invero a Catania il Consiglio Comunale anni fa approvò una delibera per l’istituzione del crematorio civico: ma tutto finì in mera volontà d’intenti, come era prevedibile. Adesso non sarà più così, od almeno ne abbiamo maggiori speranze. L’articolo 5, in virtù di un corretto “senso comunitario della morte”, istituisce delle banche dati informatiche ove gli incinerati potranno, od i discendenti qualora vogliano, inserire le proprie note biografiche, tali da non farne disperdere perlomeno il ricordo. E’ una scelta diremmo all’avanguardia del progresso civile ed in linea con le grandi nazioni del nord Europa, che anch’essa merita il plauso di tutti coloro che hanno a cuore la tradizione coniugata con la modernità intelligente. Si pensi che ciascuno di noi ove lo voglia potrà inserire la propria biografia, e le immagini, nel computer il quale custodirà per i nipoti e pronipoti tali informazioni. Come avremmo gradito che dei nostri bis e trisnonni ci fosse stato ciò concesso, invece di scartabellare vecchie carte ed ìre in cerca di ingialliti fotogrammi o disegni…!
E’ infine prevista l’incinerazione gratuita, a cura dei comuni di ultima residenza, per gli indigenti accertati, il piano di informazione ai cittadini su costi e modalità, l’erezione di “luoghi di commiato” entro i cimiteri ove chi vuole (e non desidera funerali in Chiesa, o dopo di questi) può far svolgere brevi e sobrie cerimonie di addio al defunto, nonché l’articolazione dello stanziamento finanziario pel triennio 2010-12 in 440 mila euro per la costruzione degli impianti di cremazione, e 60 mila euro per la pubblicità. Resta inteso che gli impianti debbono sorgere all’interno dei cimiteri. Forse tale somma per la costruzione dei crematori non è del tutto sufficiente, ma da parte nostra auspichiamo l’intervento, anche pubblicitario, di investitori privati. Ed a tal riguardo: esiste da decenni in Italia la SOCREM, società privata che dietro iscrizione si occupa della cremazione dei cadaveri (implicitamente citata nella suddetta legge, quale eventuale affidataria di servizi): le strutture della quale, se al nord Italia hanno da tempo una lunga efficienza, non ci pare in Sicilia negli ultimi tempi abbiano brillato per trasparenza e diffusione. Quindi auspicabile altresì sarebbe l’apertura del mercato della libera morte, ci si passi la metafora, ove numerosi operatori privati offrano al cittadino di codesti servizi: dappoiché i regimi di monopolio nel XXI secolo sono affatto anacronistici, e non sarebbe giusto che la legge testé approvata, anche involontariamente, ne agevolasse uno od altro. Pertanto verificheremo la strategìa pubblicitaria che la Regione sceglierà per tale scelta di miglioramento della società, oramai irreversibile.
“In quell’ultimo momento, soprattutto, \ quando sentirò di sfuggire a me stesso… in tutte quelle ore buie, \ donami, mio Dio, di comprendere \ che sei tu (ammesso che la mia fede sia così grande)\ che separi dolorosamente le fibre del mio essere \ per penetrare fino al midollo della mia sostanza \ e trascinarmi in te” (P.Teilhard de Chardin, All’ultimo momento da Le Milieu divin, Paris 1957). Le sapienti parole dello scienziato gesuita forse ci consentono meglio di comprendere tale incredibile mistero, innanzi al quale è necessario il silenzio, nella consapevolezza che “come è in alto così in basso, per la bellezza della Cosa Una” (tavola Smeraldina): ma già lo si ripete nel Padre Nostro: “sicut in caelo et in terra”.

Bar.Sea.

Pubblicato su Sicilia Sera n°332 del 5 ottobre 2010

lunedì 20 settembre 2010

Mostra e Seminario su Colera e rivoluzioni in Sicilia all'Archivio Storico Comunale di Catania, 25-26 settembre 2010




Nell'ambito delle Giornate Europee del Patrimonio 2010 "Italia tesoro d'Europa" a cui partecipa il Comune di Catania, l'Archivio Storico Comunale di Catania organizza una mostra ed un seminario su "Colera e Rivoluzioni in Sicilia: due sciagure dentro e fuori i monasteri nelle lettere dei Verga (1854-1866)".E' una laudevole iniziativa di cui è artefice primiera la Dott.ssa Marcella Minissale, direttrice dell'Archivio, affiancata dai solerti collaboratori. Inaugurerà l'Assessore alla Cultura Marella Ferrera.


Con questi eventi la Luce intramontabile della Cultura splenderà sempre oscurando le tenebre dell'ignoranza.


Qui riportiamo la locandina dell'evento.


Relatori:Prof. Antonio Di Silvestro, della Facoltà di Lettere dell'Università di Catania, sul tema "Momenti e temi della religiosità della famiglia Verga"


Dott. Francesco Giordano, giornalista pubblicista studioso di storia patria, sul tema: "Aspetti politico sociali del colera del 1837"


Dott. Giovanni Verga, giornalista pubblicista, pronipote dello scrittore


Leggerà alcuni brani delle lettere in esposizione l' attrice Agata Tarso, della compagnia "Amici del Teatro" di Nicolosi.




Ulteriori informazioni sull'iniziativa possono essere ottenute al seguente indirizzo:www.comune.catania.it/informazioni/news/cultura/musei/archivio-storico/default.aspx?news=16097, ove è la scheda storico tecnica della mostra.

lunedì 2 agosto 2010

Salvatore Gristina, da otto anni Metropolita di Catania


Da otto anni regge la diocesi etnea


Salvatore Gristina, un Vescovo di valore

Dotto e fermo nella applicazione della dottrina, fedele al Concilio, applica i precetti dell’umiltà e della carità – Un Arcivescovo verso il popolo -


Dominus regit me, et nihil mihi déerit", ‘il Signore mi governa, e nulla mi mancherà’: il meraviglioso inizio del Salmo 22 può a nostro parere essere un ottimo augurio, per gli otto anni che in questi dì si compiono, dacché alla guida dell’Arcidiocesi di Catania è Monsignor Salvatore Gristina, Vescovo Titolare di Musti in Numidia e dal prestigioso passato nella diplomazia vaticana, autorevole coadiutore della Diocesi di Palermo, nonché Vescovo di Acireale. Il pastore delle anime di Catania, lo rammentiamo, nominato dal Santo Padre Giovanni Paolo II il 7 giugno 2002, si insediò nell’agosto di quell’anno, accolto dalla festante popolazione. Succedeva a Luigi Bommarito, che sin dal 1988 aveva con mano sapiente guidato il Vescovato di Euplo e di Leone il taumaturgo: uomo estremamente comunicativo, impresse il suo stile peculiare ed al passo con i tempi che mutavano. Con lui la diocesi di Catania conobbe rinnovato vigore, e fu elevata a Metropolìa.
Mutatis mutandis, come è naturale nell’ordine dei fatti umani, che tuttavia hanno il beneplacito dello Spirito Santo, in questi otto anni di governo dell’Eccellenza l’Arcivescovo Gristina, si è assistiti ad un tono di rettorìa della diocesi differente dalle precedenti abitudini, con alcune, importanti, peculiarità. E’ innegabile nel popolo minuto adagiarsi ad inutili paragoni: certo è che Mons. Gristina, palermitano di Sciara (ove nacque nel giugno del 1946), uomo estremamente còlto, sobrio, che non ama apparire e mostrarsi sovente ma nella sostanza definire il "de sensu rerum", ha voluto e continua a desiderare di lanciare, alle masse dei fedeli come ai più fini orecchi, un messaggio sottile e preciso, importante e non scevro da profonde sollecitazioni. Egli –lo si nota dalle prediche- a volte sfiora argomenti fondamentali, in altri casi li scevera con vasta mèsse di argomentazioni eloquenti e brillanti, tanto da non far dimenticare, a coloro che hanno il dono della memoria e porte aperte ai carismi della spiritualità, il crisma della sua ordinazione sacerdotale.
Egli è stato infatti consacrato sacerdote il 17 maggio 1970 (simbolismo dènso di significati: il diciassette, giorno della stella, ed il mese mariano di maggio, "in spe resurrectionis") in Roma dalle venerabili mani di quell’illuminato Pontefice che fu Papa Paolo VI: egli, lo schiuditore del Concilio che copia di umanità fraterna ha prodotto nella Chiesa e fuori dalla Chiesa, così esprimevasi a riguardo della fede: "La fede, si dice, non è il dogma verbalmente considerato; questo consiste in formule fisse che tentano di definire e di racchiudere verità immense, ineffabili e inesauribili. E sta bene: anche San Tommaso c’insegna che l’atto di fede non termina alle formule che la espongono, ma alla realtà a cui esse si riferiscono; non senza però una visione integrale di questa dottrina… per rendersi conto dell’essenziale importanza che il Concilio, coerente con la tradizione dottrinale della Chiesa, attribuisce alla fede, alla vera fede, quella che ha per sorgente Cristo e per canale il magistero della Chiesa" (8 marzo 1967, in Oss.Rom.). Sotto l’augusta guida di cotal dottissimo Papa, il nostro Arcivescovo non poteva che essere anch’egli sapientemente illuminato dal cammino della Vera Fede e –come egli medesimo ha affermato nel giugno scorso, durante l’allocuzione finale del Corpus Domini, in piazza del Duomo- disposto ogni giorno ad insegnarla e spargerla, come i cinque pani e due pesci dell’evangelica novella, ai cari suoi fedeli catanesi. In verità in quella occasione, come in altre, il Vescovo Salvatore ha mostrato l’umiltà tutta cristiana di sentirsi in ambasce, quasi in difficoltà, nello spezzare il pane della mensa santa: ma dalle pagine del Sacro Libro egli coglie, precisamente nella lavanda dei piedi che come altri quadri, è uno dei simboli più forti del ministero di Cristo, la forza della umiltà e della coerenza, nella fraterna comunione dei consacrati in Gesù e del popolo. Verso il cui popolo, molti in questi otto anni (il cui numero è precisamente quello delle evangeliche beatitudini: nulla accade per caso, nelle superiori volontà…) sono stati gli affettuosi, paterni accenti dell’Arcivescovo: egli è uno di loro, e specialmente dei più bisognosi, dei più sofferenti, dei diseredati, di coloro che hanno bisogno –come insegnò il Beato Papa Giovanni- di "qualche lacrima da asciugare". Lo abbiamo veduto e udito, possiamo testimoniarlo: egli non si sottrae financo a ruoli che potrebbero non competergli (un giorno di anni fa, innanzi Sant’Agata la Vetere, primiera cattedrale, lo osservammo scendere dall’auto blu e spostare, come un qualunque perpetuo, i pesanti vasi di fiori onde permettere più largo spazio innanzi al sagrato…) e neppure risparmia parole dure e chiare a chi quasi le sollecita (in un recente incontro coi giovani imprenditori del Kiwanis, ad una dissertazione sul lavoro, chiedeva: "Tra di voi c’è qualcuno che non lavora? Ed allora", con un sorriso sornione, "come potete comprendere i problemi di chi il lavoro non l’ha?", facendo rimanere basito l’uditorio: ma compiendo il precetto divino). Interpreta la missione commessagli con santa umiltà e divina carità. Comprensivo con tutti: anche nel caso della applicazione del Motu Proprio del Sovrano Pontefice Benedetto XVI, che apertamente lascia la libertà accanto alle funzioni secondo il rito nelle lingue nazionali, di celebrare la S.Messa seguendo il Messale in lingua latina preconciliare, Monsignor Gristina ha accolto con fraterna benevolenza la richiesta di molti fedeli, e consentito che anche a Catania, come in molte altre diocesi, un sacerdote preparato ed entusiasta della dottrina tradizionale come di quella conciliare, pòssa officiare il sacro rito in un tempio di secoli càrco ove le lodi di Dio siano intonate con magniloquenza. E del resto egli medesimo non è estraneo a parteciparne i sentimenti: lo vedemmo alla chiusura del mese mariano in S.Maria dell’Aiuto, intonare con perfezione e saggezza il "Pange lingua". Un Arcivescovo a nostro parere completo, dunque: fermo nel messaggio di Luce che scaturisce come gemma preziosa dal Concilio Vaticano II, vicino alle molte forme della incrollabile Tradizione della Chiesa, che ne formano un prisma unico ed inscindibile. E’ un uomo di valore, che l’Altissimo lo serbi con felicità alla catinense diocesi per lungo tempo ancora. Con la chiusa del citato Salmo 22, "Et ut inhàbitem in domo Domini in longitùdinem diérum", ‘affinché per lunghi giorni io abiti nella casa del Signore’.

Bar.Sea. (Francesco Giordano)
Pubblicato su Sicilia Sera n° 331 del 1 agosto 2010

Raffaele Lombardo: è tempo delle scelte


Le analisi che propongono significati


Timoleonte o ‘Ntoni Malavoglia: la scelta di Raffaele Lombardo


Carattere ferreo, il Presidente della Regione ha inteso avviare un percorso
di orgogliosa identità autonomistica – Col concorso di molti: ma il tempo stringe -


Il discorso che il Presidente della regione Sicilia Raffaele Lombardo, ha pronunziato nell’assise del Parlamento siculo il 13 aprile u.s. (per chi sa del significato de’ Tarocchi, il tredici è numero di morte, ma anche di rinascita), rappresenta invero un autentico spartiacque per la politica regionale. Mai in sessantaquattro anni, dacché la maestà del Re ‘maggiolino’ Umberto II, dopo la lotta per l’indipendenza sicula culminata còlla infausta battaglia di Randazzo del 1945, e l’onda popolare trionfante del MIS, concesse lo Statuto che proclamava, finalmente dopo secoli, l’autonomìa nazionale del popolo siciliano (facendo seguito alla Costituzione ‘inglese’ del 1812 ed a quella ‘francese’ del 1848), un Presidente di regione si spinse a tal punto da non solo difendere il suo operato ed attaccare i propri nemici –atti del resto comprensibili-, ma anche, e ci pare il dato trascurato dai più, identificare le proprie sorti con quelle medesime della gente che, volente o nolente, egli rappresenta. Sòrta di ‘cesarismo’ regionale: dimostrazione di potenza secondo gli avversari, o piena consapevolezza delle proprie forze e del particolare frangente politico e sociale nel quale si vive? La certezza è che Raffaele Lombardo, di cui da queste colonne circa un settennio fa precisammo che è uomo di carattere (anche per i baffi… dato da non trascurare…), ha tracciato un solco profondo fra sé, la sua figura ed il suo partito, attuale e nascente in altre forme, e le vecchie logiche di potere, da lui stigmatizzate con particolare coloritura dei "pupi dei pupi dei pupi": metafora precipuamente chiara ai siciliani, affondante le radici in un linguaggio simbolico immediatamente comprensibile a tutti.
Vero è che il Presidente Lombardo, come ha detto, si confronta de visu con chiunque: impenetrabile può apparire, a chi d’improvviso intenda contattare lui od i maggiorenti del suo partito. Ma come dell’oro il fuoco scopre le impure masse, svelatasi la Luce autentica dietro il volto atteggiato al sorriso, così l’interlocutore, ove abbia la necessaria capacità, può scorgere oltre il velo ed i segni, l’autentico pensiero di quest’uomo affatto necessario, alla Sicilia del secolo XXI. Egli ha evidentemente chiaro il frangente cruciale della attuale fase politica nazionale ed internazionale: il futuro è nel federalismo delle ‘piccole patrie’ e, se il Presidente baffuto e dall’eloquio affabulante e modulato nei toni, rammentante il prorompente Giovanni Grasso, il più grande attore tragico italiano del XX secolo del teatro di prosa, vuole essere già da oggi e nel futuro, il padre vero’ della Sicilia risorta al concetto antico e nuovo della autonomìa –che, per coloro i quali lo sanno intendere e, meglio, gestire, diventa indipendenza de facto se non de jure, dallo stato centrale- deve agire nel modo che ha dimostrato nel rispondere, con veemenza e passione, ad un attacco invero assurdo e vile, posto in essere da settori che sarà compito della Magistratura accertare quali siano. Ed ove allignino delle ombre, ma assolutamente accertate, sul suo personale operato, si potrà ridiscutere. E’ comunque un fatto distruttivo della personalità di chiunque, come si è notato in altri casi, ricevere accuse ‘sì gravi come quelle di concorso esterno in associazione mafiosa, senza aver neppure, sino a quel giorno, ricevuto un avviso di garanzia. Gli avversari potranno discettare all’infinito: ma questi son fatti, e vanno accolti per ciò che significano.
Riguardo ai due anni trascorsi al governo della Sicilia, da molte parti giungono, e raccogliamo, voci di critiche e dissenso all’operato della giunta presieduta da Lombardo: per molti le scaturigini sono livori e rancori che hanno riscontri personali: l’opera di risparmio del governo ha ‘tagliato’ fondi nel modo più deciso, ad associazioni varie, mietendo ‘vittime’ laddove aveva prima interessati sostenitori. E’ comunque scandaloso, come apparve dalla stampa, che taluni funzionari regionali vadano in pensione con appannaggi favolosi, i cui proventi sarebbe bene destinare ad opere di utilità e giustizia sociale (qui il governo regionale deve per forza agire per sanare codesta piaga). Però Raffaele Lombardo bene ha fatto a sgomberare l’orizzonte dai falsi amici, dai finti sostenitori (ed anche dai finti, e ce ne sono, sicilianisti) che, laddove privati delle prebende, si tramutano da colombe in jene, da sodali in fierissimi nemici. Gente che si vende per denaro e non ha niuna idea che quella di Mammòna, è affatto meglio gettarla nella Geènna infernale.
A questo proposito, importantissima apparve l’affermazione che il Presidente nonché capo dell’MPA fece l’undici aprile, nell’intervento suo conclusivo di un convegno su "Giovani donne e autonomia" tenutosi all’albergo catanese Excelsior: "chiunque percepisca la sua quota, da amministratore, deve versarla nelle casse del partito", ha egli còlla solita enfasi dichiarato. E’ una visione riorganizzativa del suo movimento che rammenta i primi tempi, quelli detti ‘eroici’, dei partiti di massa, popolari, come la nascita della DC, od anche altri e piccoli movimenti fideistici il cui unico obiettivo è l’ideale, a cui primariamente si sacrificano tempo ("dovete venire in sede il sabato pomeriggio", egli ha detto ai dirigenti) e denaro: anzi il pubblico denaro percepito dagli appannaggi, che deve confluire nella cassa comune. Non forse codesta affermazione avrà fatto felici alcuni, ma l’opinione di Raffaele Lombardo, in quel consesso testè citato, fu chiara: "chi ci sta, bene, chi non ci sta, può andare alla porta". Non appaiono codeste le parole di un uomo accomodante, bensì decise di piglio e di tenore. Tuttavolta, dal mutamento dell’indirizzo politico della Regione, a dicembre, ipotizzammo alla giunta Lombardo alcuni mesi di garanzie: questo tempo, che è prezioso come non mai oggi, sta per scadere nell’interesse dei siciliani, sempre più impoveriti dalla crisi economica (anche se in giro se ne mistificano i segnali, essendo la nostra una economìa ‘drogata’ dall’illegalità): per cui non saranno le movimentazioni della finanziaria dell’ARS (che costa sempre più cara a noi tutti, quattro milioni di Euro in più del 2009 nel recentemente pubblicato bilancio di quest’anno) a salvare la fallimentare gestione della politica sicula degli ultimi tempi. Attendiamo quindi, e con estrema rapidità, che dalle parole si passi ai fatti. In primis, nel settore della giustizia sociale, versus lavoro (e non sono i ‘voucher’ od altre amenità sino a qui strombettate, a risolvere il grande problema). E’ questione, appunto, d’onore.
Proprio il concetto dell’onore, che Raffaele Lombardo ha miscelato coll’onore di tutti i siciliani, il quale è assolutamente infangato dalle vicende ‘mafiose’, è importantissimo per ben comprendere la chiave, diremmo quasi psicologica e sociale, del nostro comune futuro come collettività regionale.
"Sicilia, la terra ove germoglia la pianta dell’onore", cantava circa novecento anni fa il grande poeta siculo-arabo Ibn Hamdis: questa visione del mondo, poiché tale è, incrostata e travisata da interpretazioni malandrine e delinquenziali che nulla hanno a che vedere col suo vero significato, appare ammantata di nobiltà, dal più alto scranno della politica sicula, attraverso le parole del Presidente Lombardo. Il quale chiama i siciliani ad una correità aperta: o si cambia mentalità, processo profondo che richiede decenni e deve essere affidato alle giovani generazioni di uomini e sopra tutto di donne, codeste figure indispensabili della nostra società, poiché madri e genitrici delle mèssi allegoriche e reali del futuro, nell’intendere l’autonomìa e quindi il progresso tutto dei siciliani: o si sarà ancora una volta, come per secoli, preda dei conquistatori. Del nord, o ascari, o barbari che siano, non importa: sempre conquistatori co’ loro scherani, essi risultano. Ma (ed è dunque un chiaro monito che si staglia adamantino all’orizzonte, dati i grandi poteri che anche la nuova coalizione col PD e forze collaterali del PDL manifestano) è proprio il Presidente Lombardo che deve dare in prima persona l’apporto fondamentale alla svolta: incominciando dall’atavico e quasi mai risolto problema del lavoro dei siciliani.
Nel turbine dell’ultimo conflitto mondiale, un autorevole personaggio quale Andrea Finocchiaro Aprile, si erse a simbolo della sicura resurrezione dal potere centrale dello Stato, e tentò, invano, di plasmare de facto una moderna forma di autonomismo, anche sociale ed imprenditoriale. Figura che il Presidente Lombardo ben conosce: dalle cui ispirazioni illuminate, è da trarre il necessario. Tuttavia, andando ben indietro tra le pagine della Storia, egli può comportarsi come il corinzio Timoleonte il quale, venuto in Sicilia, nel 345 a.C. liberò le città stato dalla soggezione cartaginese ed impose a Siracusa una costituzione democratica; depose il potere, e visse cieco ed onorato sino a morte; ma può anche far ripetere a’ siciliani l’adagio di ‘Ntoni, "ora che so ogni cosa, per questo devo andarmene", nella tragica chiusa del verghiano romanzo dei "Malavoglia". Raramente delle così immense e dènse di storia possibilità, sono nelle mani di un uomo, di un mortale che crede nel Vangelo: "Siamo servi inutili, abbiamo fatto quello che dovevamo fare" (Lc.17,10). Rendere liberi e rispettati i siciliani in casa propria: con la collaborazione di molti, se non è un sublime inganno, ci si può riescire.


Barone di Sealand (Francesco Giordano)


Pubblicato su Sicilia Sera n° 331 del 1 agosto 2010

venerdì 9 luglio 2010

Stagione estiva 2010 Teatro E.Piscator di Catania




Segnalata dall'amico Carmelo Failla, responsabile della struttura, pubblichiamo la locandina della stagione estiva del Teatro E.Piscator di Catania, che si svolge alla terrazza Ulisse nel mese di luglio.

martedì 6 luglio 2010

Giornata della Bicicletta, a Catania adesione parziale


Voluta con decreto dal Ministero dell’Ambiente

Giornata della Bicicletta, a Catania adesione parziale

Vasta area del centro chiusa al traffico automobilistico e dedicata ai ciclisti, ma
pochi velocipedi si son visti – Ripetere ogni domenica la chiusura del centro-
 
Fra le attività dell’attuale governo nazionale, meritevoli di plauso (non molte a nostro avviso: ma nocesse est l’obiettività) è la Giornata Nazionale della Bicicletta, istituita da poco con decreto dal Ministero dell’Ambiente, anche al fine di adeguarsi alle direttive di legge della Comunità Europea. In questo ambito, lo scorso 9 maggio anche nella nostra Catania, avendo l’amministrazione comunale aderito, si è svolta la manifestazione, concretizzatasi nella chiusura di quasi tutto il perimetro urbano del centro della città (una vasta aera che va dal porto ai viali Regina Margherita e XX settembre, dalle vie Ventimiglia a via Plebiscito, inglobando le arterie massime di via Vittorio Emanuele, da Sardo alla Statua, e Garibaldi) al traffico veicolare- esclusi i movimenti dei residenti- nella prima parte della domenica, onde consentire il transito dei velocipedi.
Da queste colonne scriviamo già da molto tempo a favore dell’uso ragionato, consapevole e felice della bicicletta, la quale a nostro avviso, siccome avviene nelle grandi città del nord Italia ed Europa, andrebbe sempre più usata e destinata a sostituire l’oramai insopportabile uso smodato della automobile. Pertanto non si può che plaudire a qualunque iniziativa, come codesta, che –anche se sporadicamente- restituisce il centro di una città notoriamente caotica e preda dell’automobilismo selvaggio, come Catania, a quella che adesso usa appellarsi (con terminologia stravagante) ‘mobilità sostenibile’, ed è invero voglia di libertà e di correttezza, negli spostamenti in centro, con l’uso nobile del velocipede. Pertanto abbiamo personalmente partecipato all’evento, in sella alla nostra "vecchia" ed azzurregiante macchina a due ruote Touring della gloriosa fabbrica Bianchi. Cronaca, pertanto, di prima mano, dalle 10,30 alle 12 circa.
Fu, ad onta degli strombazzamenti dell’amministrazione comunale etnea, una partecipazione assaj parziale, quella dei catanesi in bicicletta, alla giornata al biciclo appositamente dedicata. Avrà avuto successo al nord: ma la mentalità del catanese, ancora del tutto refrattaria all’uso intelligente della bici, complice una bella giornata di sole e di caldo, ha preferito le località marine o di montagna: e coloro i quali scesero in centro affollavano i marciapiedi, mentre in via Etnea, nelle vie Vittorio Emanuele, Teatro Massimo, ed adiacenti (per non parlare delle strade secondarie) numeràmmo circa e non più, dozzina oscillante o meno, una cinquantina o sessantina, ad esser larghi nel novero, di ciclisti che si aggiravano nel deserto, di autoveicoli, centro storico, i cui ingressi erano presidiati da transenne vigilate dalla Polizia Municipale.
Fece infatti, a noi del resto cònsci della situazione, un certo effetto vedere le vie Santa Maddalena, piazza Dante o di San Nicola –tanto per citare delle strade normalmente invase da decine di automobili, con il conseguente inquinamento atmosferico ed acustico che ciò comporta ogni dì- giojosamente libere da auto ma anche affatto deserte, laddove proprio in virtù dell’invito delle autorità, avrebbero dovuto esser prese d’assalto da tòrme di ciclisti. Gli è che anche la diffusione dell’evento, pure avvenuta attraverso il quotidiano locale e le TV, non si dotò di manifesti che informassero quanti non usufruiscono delle informazioni attraverso i mezzi anzidetti: e del resto anche il Comune, attraverso il punto informativo istituito in piazza Università, vi fece una a nostro avviso grama figura. Infatti ivi stazionava l'allora Assessore all’Ambiente Scalia (con una fiammante veste sportiva da ciclista d’occasione…) sfoderando lo scilinguàgnolo che gli è consueto, stigmatizzato per l’assenza di concretezza proprio quel giorno, in una lettera assai eloquente pubblicata dal quotidiano locale riguardo il nulla di fatto delle intenzioni annunziate nei cosiddetti ‘stati generali della città’, svoltisi mesi fa, a proposito del miglioramento della qualità della vita rispetto alla mobilità, in centro. Già adusi alle chiacchiere, sovente infruttuose, dei nostri politici (nessuno comunque di costoro, tanto per dare il buon esempio, vedemmo inforcare, come un qualunque cittadino, il velocipede: peccato, avrebbero avuto occasione di rendersi conto di vivere autenticamente in una città diversa da quella che immaginano nelle loro chimere…), notammo comunque che il punto informativo del Comune era "corredato" da numerose bici elettriche, di cui l’Ufficio Traffico Urbano desidera istigare all’uso. Qui occorrono alcune precisazioni: non è infatti invenzione di questa amministrazione l’incentivo che il Comune assegna a chi acquista una bici elettrica: fu infatti l’Assessore all’Ambiente Orazio D’Antoni che nel 2007 promosse concretamente il fondo con gli sgravi fiscali per gli acquirenti del biciclo a batteria. Inoltre, vi è da dire che il costo di una bici elettrica non scende al di sotto (quelle regolarmente omologate) dei cinquecento Euro: cifra assolutamente eccessiva per una famiglia di medio o basso reddito –accettabile invece pe’ redditi alti-, configurandosi pertanto il possesso di un tal mezzo come bene di lusso: specie in piena crisi economica, quale è oggi. Bene di lusso non deve essere la bicicletta, come si sa: anzi trionfo del popolo e dell’uso popolare, come è nella nostra tradizione, magari povera di mezzi ma ricca di umanità, del secondo dopoguerra (rammentisi la nota pellicola "Ladri di biciclette" di De Sica). Raffrontando con il costo di una bicicletta meccanica (in un qualunque ipermercato, per chi le vuol nuove, si vendono circa ad ottanta Euro), non vi è paragone: ma quest’ultima non ha praticamente costi di manutenzione, mentre la bici elettrica ne comporta parecchi –che fanno comodo alle aziende venditrici di componentistica-: da qui la maliziosa riflessione che, forse, suggerire l’uso del mezzo elettrico può essere economicamente conveniente a qualcuno, che poco o punto è interessato alla vivibilità urbana dei centri storici.
Catania ha comunque quel giorno –anche se il Sindaco, constatato l’indubbio vantaggio anche ambientale della chiusura dell’ampio spazio del centro, dovrebbe ripetere l’ordinanza tutte le domeniche, di là dall’occasione contingente delle biciclette: solo così si potrebbe creare una continuità senza la quale ogni fiammella isolata è destinata a spegnersi- goduto di un raro silenzio mattutino e di una serenità, che solo i radi colpi di pedale di quelli che il buon manualista Grioni, in un celebre volumetto della Hoepli del 1910, appellava "ciclisti gentiluomini", hanno dolcemente infranto, come una carezza su un manto di aristocratica signora: doni il Cielo ancòr di tali ore, nella fattiva collaborazione di sempre più cittadini, avviati ad un miglioramento che solo il ritorno alle sane consuetudini di un tempo mai trascorso, ma che può dirsi ritrovato, permette di donare: laddove si è davvero intenzionati alla via di perfezione, senza infingimenti, senza schermi, soprattutto senza bugìe, di cui presto o tardi si dovrà, qui o di là, rendere conto.


Bar.Sea.


Pubblicato su Sicilia Sera n° 330 del 4 luglio 2010