lunedì 20 settembre 2010

Mostra e Seminario su Colera e rivoluzioni in Sicilia all'Archivio Storico Comunale di Catania, 25-26 settembre 2010




Nell'ambito delle Giornate Europee del Patrimonio 2010 "Italia tesoro d'Europa" a cui partecipa il Comune di Catania, l'Archivio Storico Comunale di Catania organizza una mostra ed un seminario su "Colera e Rivoluzioni in Sicilia: due sciagure dentro e fuori i monasteri nelle lettere dei Verga (1854-1866)".E' una laudevole iniziativa di cui è artefice primiera la Dott.ssa Marcella Minissale, direttrice dell'Archivio, affiancata dai solerti collaboratori. Inaugurerà l'Assessore alla Cultura Marella Ferrera.


Con questi eventi la Luce intramontabile della Cultura splenderà sempre oscurando le tenebre dell'ignoranza.


Qui riportiamo la locandina dell'evento.


Relatori:Prof. Antonio Di Silvestro, della Facoltà di Lettere dell'Università di Catania, sul tema "Momenti e temi della religiosità della famiglia Verga"


Dott. Francesco Giordano, giornalista pubblicista studioso di storia patria, sul tema: "Aspetti politico sociali del colera del 1837"


Dott. Giovanni Verga, giornalista pubblicista, pronipote dello scrittore


Leggerà alcuni brani delle lettere in esposizione l' attrice Agata Tarso, della compagnia "Amici del Teatro" di Nicolosi.




Ulteriori informazioni sull'iniziativa possono essere ottenute al seguente indirizzo:www.comune.catania.it/informazioni/news/cultura/musei/archivio-storico/default.aspx?news=16097, ove è la scheda storico tecnica della mostra.

lunedì 2 agosto 2010

Salvatore Gristina, da otto anni Metropolita di Catania


Da otto anni regge la diocesi etnea


Salvatore Gristina, un Vescovo di valore

Dotto e fermo nella applicazione della dottrina, fedele al Concilio, applica i precetti dell’umiltà e della carità – Un Arcivescovo verso il popolo -


Dominus regit me, et nihil mihi déerit", ‘il Signore mi governa, e nulla mi mancherà’: il meraviglioso inizio del Salmo 22 può a nostro parere essere un ottimo augurio, per gli otto anni che in questi dì si compiono, dacché alla guida dell’Arcidiocesi di Catania è Monsignor Salvatore Gristina, Vescovo Titolare di Musti in Numidia e dal prestigioso passato nella diplomazia vaticana, autorevole coadiutore della Diocesi di Palermo, nonché Vescovo di Acireale. Il pastore delle anime di Catania, lo rammentiamo, nominato dal Santo Padre Giovanni Paolo II il 7 giugno 2002, si insediò nell’agosto di quell’anno, accolto dalla festante popolazione. Succedeva a Luigi Bommarito, che sin dal 1988 aveva con mano sapiente guidato il Vescovato di Euplo e di Leone il taumaturgo: uomo estremamente comunicativo, impresse il suo stile peculiare ed al passo con i tempi che mutavano. Con lui la diocesi di Catania conobbe rinnovato vigore, e fu elevata a Metropolìa.
Mutatis mutandis, come è naturale nell’ordine dei fatti umani, che tuttavia hanno il beneplacito dello Spirito Santo, in questi otto anni di governo dell’Eccellenza l’Arcivescovo Gristina, si è assistiti ad un tono di rettorìa della diocesi differente dalle precedenti abitudini, con alcune, importanti, peculiarità. E’ innegabile nel popolo minuto adagiarsi ad inutili paragoni: certo è che Mons. Gristina, palermitano di Sciara (ove nacque nel giugno del 1946), uomo estremamente còlto, sobrio, che non ama apparire e mostrarsi sovente ma nella sostanza definire il "de sensu rerum", ha voluto e continua a desiderare di lanciare, alle masse dei fedeli come ai più fini orecchi, un messaggio sottile e preciso, importante e non scevro da profonde sollecitazioni. Egli –lo si nota dalle prediche- a volte sfiora argomenti fondamentali, in altri casi li scevera con vasta mèsse di argomentazioni eloquenti e brillanti, tanto da non far dimenticare, a coloro che hanno il dono della memoria e porte aperte ai carismi della spiritualità, il crisma della sua ordinazione sacerdotale.
Egli è stato infatti consacrato sacerdote il 17 maggio 1970 (simbolismo dènso di significati: il diciassette, giorno della stella, ed il mese mariano di maggio, "in spe resurrectionis") in Roma dalle venerabili mani di quell’illuminato Pontefice che fu Papa Paolo VI: egli, lo schiuditore del Concilio che copia di umanità fraterna ha prodotto nella Chiesa e fuori dalla Chiesa, così esprimevasi a riguardo della fede: "La fede, si dice, non è il dogma verbalmente considerato; questo consiste in formule fisse che tentano di definire e di racchiudere verità immense, ineffabili e inesauribili. E sta bene: anche San Tommaso c’insegna che l’atto di fede non termina alle formule che la espongono, ma alla realtà a cui esse si riferiscono; non senza però una visione integrale di questa dottrina… per rendersi conto dell’essenziale importanza che il Concilio, coerente con la tradizione dottrinale della Chiesa, attribuisce alla fede, alla vera fede, quella che ha per sorgente Cristo e per canale il magistero della Chiesa" (8 marzo 1967, in Oss.Rom.). Sotto l’augusta guida di cotal dottissimo Papa, il nostro Arcivescovo non poteva che essere anch’egli sapientemente illuminato dal cammino della Vera Fede e –come egli medesimo ha affermato nel giugno scorso, durante l’allocuzione finale del Corpus Domini, in piazza del Duomo- disposto ogni giorno ad insegnarla e spargerla, come i cinque pani e due pesci dell’evangelica novella, ai cari suoi fedeli catanesi. In verità in quella occasione, come in altre, il Vescovo Salvatore ha mostrato l’umiltà tutta cristiana di sentirsi in ambasce, quasi in difficoltà, nello spezzare il pane della mensa santa: ma dalle pagine del Sacro Libro egli coglie, precisamente nella lavanda dei piedi che come altri quadri, è uno dei simboli più forti del ministero di Cristo, la forza della umiltà e della coerenza, nella fraterna comunione dei consacrati in Gesù e del popolo. Verso il cui popolo, molti in questi otto anni (il cui numero è precisamente quello delle evangeliche beatitudini: nulla accade per caso, nelle superiori volontà…) sono stati gli affettuosi, paterni accenti dell’Arcivescovo: egli è uno di loro, e specialmente dei più bisognosi, dei più sofferenti, dei diseredati, di coloro che hanno bisogno –come insegnò il Beato Papa Giovanni- di "qualche lacrima da asciugare". Lo abbiamo veduto e udito, possiamo testimoniarlo: egli non si sottrae financo a ruoli che potrebbero non competergli (un giorno di anni fa, innanzi Sant’Agata la Vetere, primiera cattedrale, lo osservammo scendere dall’auto blu e spostare, come un qualunque perpetuo, i pesanti vasi di fiori onde permettere più largo spazio innanzi al sagrato…) e neppure risparmia parole dure e chiare a chi quasi le sollecita (in un recente incontro coi giovani imprenditori del Kiwanis, ad una dissertazione sul lavoro, chiedeva: "Tra di voi c’è qualcuno che non lavora? Ed allora", con un sorriso sornione, "come potete comprendere i problemi di chi il lavoro non l’ha?", facendo rimanere basito l’uditorio: ma compiendo il precetto divino). Interpreta la missione commessagli con santa umiltà e divina carità. Comprensivo con tutti: anche nel caso della applicazione del Motu Proprio del Sovrano Pontefice Benedetto XVI, che apertamente lascia la libertà accanto alle funzioni secondo il rito nelle lingue nazionali, di celebrare la S.Messa seguendo il Messale in lingua latina preconciliare, Monsignor Gristina ha accolto con fraterna benevolenza la richiesta di molti fedeli, e consentito che anche a Catania, come in molte altre diocesi, un sacerdote preparato ed entusiasta della dottrina tradizionale come di quella conciliare, pòssa officiare il sacro rito in un tempio di secoli càrco ove le lodi di Dio siano intonate con magniloquenza. E del resto egli medesimo non è estraneo a parteciparne i sentimenti: lo vedemmo alla chiusura del mese mariano in S.Maria dell’Aiuto, intonare con perfezione e saggezza il "Pange lingua". Un Arcivescovo a nostro parere completo, dunque: fermo nel messaggio di Luce che scaturisce come gemma preziosa dal Concilio Vaticano II, vicino alle molte forme della incrollabile Tradizione della Chiesa, che ne formano un prisma unico ed inscindibile. E’ un uomo di valore, che l’Altissimo lo serbi con felicità alla catinense diocesi per lungo tempo ancora. Con la chiusa del citato Salmo 22, "Et ut inhàbitem in domo Domini in longitùdinem diérum", ‘affinché per lunghi giorni io abiti nella casa del Signore’.

Bar.Sea. (Francesco Giordano)
Pubblicato su Sicilia Sera n° 331 del 1 agosto 2010

Raffaele Lombardo: è tempo delle scelte


Le analisi che propongono significati


Timoleonte o ‘Ntoni Malavoglia: la scelta di Raffaele Lombardo


Carattere ferreo, il Presidente della Regione ha inteso avviare un percorso
di orgogliosa identità autonomistica – Col concorso di molti: ma il tempo stringe -


Il discorso che il Presidente della regione Sicilia Raffaele Lombardo, ha pronunziato nell’assise del Parlamento siculo il 13 aprile u.s. (per chi sa del significato de’ Tarocchi, il tredici è numero di morte, ma anche di rinascita), rappresenta invero un autentico spartiacque per la politica regionale. Mai in sessantaquattro anni, dacché la maestà del Re ‘maggiolino’ Umberto II, dopo la lotta per l’indipendenza sicula culminata còlla infausta battaglia di Randazzo del 1945, e l’onda popolare trionfante del MIS, concesse lo Statuto che proclamava, finalmente dopo secoli, l’autonomìa nazionale del popolo siciliano (facendo seguito alla Costituzione ‘inglese’ del 1812 ed a quella ‘francese’ del 1848), un Presidente di regione si spinse a tal punto da non solo difendere il suo operato ed attaccare i propri nemici –atti del resto comprensibili-, ma anche, e ci pare il dato trascurato dai più, identificare le proprie sorti con quelle medesime della gente che, volente o nolente, egli rappresenta. Sòrta di ‘cesarismo’ regionale: dimostrazione di potenza secondo gli avversari, o piena consapevolezza delle proprie forze e del particolare frangente politico e sociale nel quale si vive? La certezza è che Raffaele Lombardo, di cui da queste colonne circa un settennio fa precisammo che è uomo di carattere (anche per i baffi… dato da non trascurare…), ha tracciato un solco profondo fra sé, la sua figura ed il suo partito, attuale e nascente in altre forme, e le vecchie logiche di potere, da lui stigmatizzate con particolare coloritura dei "pupi dei pupi dei pupi": metafora precipuamente chiara ai siciliani, affondante le radici in un linguaggio simbolico immediatamente comprensibile a tutti.
Vero è che il Presidente Lombardo, come ha detto, si confronta de visu con chiunque: impenetrabile può apparire, a chi d’improvviso intenda contattare lui od i maggiorenti del suo partito. Ma come dell’oro il fuoco scopre le impure masse, svelatasi la Luce autentica dietro il volto atteggiato al sorriso, così l’interlocutore, ove abbia la necessaria capacità, può scorgere oltre il velo ed i segni, l’autentico pensiero di quest’uomo affatto necessario, alla Sicilia del secolo XXI. Egli ha evidentemente chiaro il frangente cruciale della attuale fase politica nazionale ed internazionale: il futuro è nel federalismo delle ‘piccole patrie’ e, se il Presidente baffuto e dall’eloquio affabulante e modulato nei toni, rammentante il prorompente Giovanni Grasso, il più grande attore tragico italiano del XX secolo del teatro di prosa, vuole essere già da oggi e nel futuro, il padre vero’ della Sicilia risorta al concetto antico e nuovo della autonomìa –che, per coloro i quali lo sanno intendere e, meglio, gestire, diventa indipendenza de facto se non de jure, dallo stato centrale- deve agire nel modo che ha dimostrato nel rispondere, con veemenza e passione, ad un attacco invero assurdo e vile, posto in essere da settori che sarà compito della Magistratura accertare quali siano. Ed ove allignino delle ombre, ma assolutamente accertate, sul suo personale operato, si potrà ridiscutere. E’ comunque un fatto distruttivo della personalità di chiunque, come si è notato in altri casi, ricevere accuse ‘sì gravi come quelle di concorso esterno in associazione mafiosa, senza aver neppure, sino a quel giorno, ricevuto un avviso di garanzia. Gli avversari potranno discettare all’infinito: ma questi son fatti, e vanno accolti per ciò che significano.
Riguardo ai due anni trascorsi al governo della Sicilia, da molte parti giungono, e raccogliamo, voci di critiche e dissenso all’operato della giunta presieduta da Lombardo: per molti le scaturigini sono livori e rancori che hanno riscontri personali: l’opera di risparmio del governo ha ‘tagliato’ fondi nel modo più deciso, ad associazioni varie, mietendo ‘vittime’ laddove aveva prima interessati sostenitori. E’ comunque scandaloso, come apparve dalla stampa, che taluni funzionari regionali vadano in pensione con appannaggi favolosi, i cui proventi sarebbe bene destinare ad opere di utilità e giustizia sociale (qui il governo regionale deve per forza agire per sanare codesta piaga). Però Raffaele Lombardo bene ha fatto a sgomberare l’orizzonte dai falsi amici, dai finti sostenitori (ed anche dai finti, e ce ne sono, sicilianisti) che, laddove privati delle prebende, si tramutano da colombe in jene, da sodali in fierissimi nemici. Gente che si vende per denaro e non ha niuna idea che quella di Mammòna, è affatto meglio gettarla nella Geènna infernale.
A questo proposito, importantissima apparve l’affermazione che il Presidente nonché capo dell’MPA fece l’undici aprile, nell’intervento suo conclusivo di un convegno su "Giovani donne e autonomia" tenutosi all’albergo catanese Excelsior: "chiunque percepisca la sua quota, da amministratore, deve versarla nelle casse del partito", ha egli còlla solita enfasi dichiarato. E’ una visione riorganizzativa del suo movimento che rammenta i primi tempi, quelli detti ‘eroici’, dei partiti di massa, popolari, come la nascita della DC, od anche altri e piccoli movimenti fideistici il cui unico obiettivo è l’ideale, a cui primariamente si sacrificano tempo ("dovete venire in sede il sabato pomeriggio", egli ha detto ai dirigenti) e denaro: anzi il pubblico denaro percepito dagli appannaggi, che deve confluire nella cassa comune. Non forse codesta affermazione avrà fatto felici alcuni, ma l’opinione di Raffaele Lombardo, in quel consesso testè citato, fu chiara: "chi ci sta, bene, chi non ci sta, può andare alla porta". Non appaiono codeste le parole di un uomo accomodante, bensì decise di piglio e di tenore. Tuttavolta, dal mutamento dell’indirizzo politico della Regione, a dicembre, ipotizzammo alla giunta Lombardo alcuni mesi di garanzie: questo tempo, che è prezioso come non mai oggi, sta per scadere nell’interesse dei siciliani, sempre più impoveriti dalla crisi economica (anche se in giro se ne mistificano i segnali, essendo la nostra una economìa ‘drogata’ dall’illegalità): per cui non saranno le movimentazioni della finanziaria dell’ARS (che costa sempre più cara a noi tutti, quattro milioni di Euro in più del 2009 nel recentemente pubblicato bilancio di quest’anno) a salvare la fallimentare gestione della politica sicula degli ultimi tempi. Attendiamo quindi, e con estrema rapidità, che dalle parole si passi ai fatti. In primis, nel settore della giustizia sociale, versus lavoro (e non sono i ‘voucher’ od altre amenità sino a qui strombettate, a risolvere il grande problema). E’ questione, appunto, d’onore.
Proprio il concetto dell’onore, che Raffaele Lombardo ha miscelato coll’onore di tutti i siciliani, il quale è assolutamente infangato dalle vicende ‘mafiose’, è importantissimo per ben comprendere la chiave, diremmo quasi psicologica e sociale, del nostro comune futuro come collettività regionale.
"Sicilia, la terra ove germoglia la pianta dell’onore", cantava circa novecento anni fa il grande poeta siculo-arabo Ibn Hamdis: questa visione del mondo, poiché tale è, incrostata e travisata da interpretazioni malandrine e delinquenziali che nulla hanno a che vedere col suo vero significato, appare ammantata di nobiltà, dal più alto scranno della politica sicula, attraverso le parole del Presidente Lombardo. Il quale chiama i siciliani ad una correità aperta: o si cambia mentalità, processo profondo che richiede decenni e deve essere affidato alle giovani generazioni di uomini e sopra tutto di donne, codeste figure indispensabili della nostra società, poiché madri e genitrici delle mèssi allegoriche e reali del futuro, nell’intendere l’autonomìa e quindi il progresso tutto dei siciliani: o si sarà ancora una volta, come per secoli, preda dei conquistatori. Del nord, o ascari, o barbari che siano, non importa: sempre conquistatori co’ loro scherani, essi risultano. Ma (ed è dunque un chiaro monito che si staglia adamantino all’orizzonte, dati i grandi poteri che anche la nuova coalizione col PD e forze collaterali del PDL manifestano) è proprio il Presidente Lombardo che deve dare in prima persona l’apporto fondamentale alla svolta: incominciando dall’atavico e quasi mai risolto problema del lavoro dei siciliani.
Nel turbine dell’ultimo conflitto mondiale, un autorevole personaggio quale Andrea Finocchiaro Aprile, si erse a simbolo della sicura resurrezione dal potere centrale dello Stato, e tentò, invano, di plasmare de facto una moderna forma di autonomismo, anche sociale ed imprenditoriale. Figura che il Presidente Lombardo ben conosce: dalle cui ispirazioni illuminate, è da trarre il necessario. Tuttavia, andando ben indietro tra le pagine della Storia, egli può comportarsi come il corinzio Timoleonte il quale, venuto in Sicilia, nel 345 a.C. liberò le città stato dalla soggezione cartaginese ed impose a Siracusa una costituzione democratica; depose il potere, e visse cieco ed onorato sino a morte; ma può anche far ripetere a’ siciliani l’adagio di ‘Ntoni, "ora che so ogni cosa, per questo devo andarmene", nella tragica chiusa del verghiano romanzo dei "Malavoglia". Raramente delle così immense e dènse di storia possibilità, sono nelle mani di un uomo, di un mortale che crede nel Vangelo: "Siamo servi inutili, abbiamo fatto quello che dovevamo fare" (Lc.17,10). Rendere liberi e rispettati i siciliani in casa propria: con la collaborazione di molti, se non è un sublime inganno, ci si può riescire.


Barone di Sealand (Francesco Giordano)


Pubblicato su Sicilia Sera n° 331 del 1 agosto 2010

venerdì 9 luglio 2010

Stagione estiva 2010 Teatro E.Piscator di Catania




Segnalata dall'amico Carmelo Failla, responsabile della struttura, pubblichiamo la locandina della stagione estiva del Teatro E.Piscator di Catania, che si svolge alla terrazza Ulisse nel mese di luglio.

martedì 6 luglio 2010

Giornata della Bicicletta, a Catania adesione parziale


Voluta con decreto dal Ministero dell’Ambiente

Giornata della Bicicletta, a Catania adesione parziale

Vasta area del centro chiusa al traffico automobilistico e dedicata ai ciclisti, ma
pochi velocipedi si son visti – Ripetere ogni domenica la chiusura del centro-
 
Fra le attività dell’attuale governo nazionale, meritevoli di plauso (non molte a nostro avviso: ma nocesse est l’obiettività) è la Giornata Nazionale della Bicicletta, istituita da poco con decreto dal Ministero dell’Ambiente, anche al fine di adeguarsi alle direttive di legge della Comunità Europea. In questo ambito, lo scorso 9 maggio anche nella nostra Catania, avendo l’amministrazione comunale aderito, si è svolta la manifestazione, concretizzatasi nella chiusura di quasi tutto il perimetro urbano del centro della città (una vasta aera che va dal porto ai viali Regina Margherita e XX settembre, dalle vie Ventimiglia a via Plebiscito, inglobando le arterie massime di via Vittorio Emanuele, da Sardo alla Statua, e Garibaldi) al traffico veicolare- esclusi i movimenti dei residenti- nella prima parte della domenica, onde consentire il transito dei velocipedi.
Da queste colonne scriviamo già da molto tempo a favore dell’uso ragionato, consapevole e felice della bicicletta, la quale a nostro avviso, siccome avviene nelle grandi città del nord Italia ed Europa, andrebbe sempre più usata e destinata a sostituire l’oramai insopportabile uso smodato della automobile. Pertanto non si può che plaudire a qualunque iniziativa, come codesta, che –anche se sporadicamente- restituisce il centro di una città notoriamente caotica e preda dell’automobilismo selvaggio, come Catania, a quella che adesso usa appellarsi (con terminologia stravagante) ‘mobilità sostenibile’, ed è invero voglia di libertà e di correttezza, negli spostamenti in centro, con l’uso nobile del velocipede. Pertanto abbiamo personalmente partecipato all’evento, in sella alla nostra "vecchia" ed azzurregiante macchina a due ruote Touring della gloriosa fabbrica Bianchi. Cronaca, pertanto, di prima mano, dalle 10,30 alle 12 circa.
Fu, ad onta degli strombazzamenti dell’amministrazione comunale etnea, una partecipazione assaj parziale, quella dei catanesi in bicicletta, alla giornata al biciclo appositamente dedicata. Avrà avuto successo al nord: ma la mentalità del catanese, ancora del tutto refrattaria all’uso intelligente della bici, complice una bella giornata di sole e di caldo, ha preferito le località marine o di montagna: e coloro i quali scesero in centro affollavano i marciapiedi, mentre in via Etnea, nelle vie Vittorio Emanuele, Teatro Massimo, ed adiacenti (per non parlare delle strade secondarie) numeràmmo circa e non più, dozzina oscillante o meno, una cinquantina o sessantina, ad esser larghi nel novero, di ciclisti che si aggiravano nel deserto, di autoveicoli, centro storico, i cui ingressi erano presidiati da transenne vigilate dalla Polizia Municipale.
Fece infatti, a noi del resto cònsci della situazione, un certo effetto vedere le vie Santa Maddalena, piazza Dante o di San Nicola –tanto per citare delle strade normalmente invase da decine di automobili, con il conseguente inquinamento atmosferico ed acustico che ciò comporta ogni dì- giojosamente libere da auto ma anche affatto deserte, laddove proprio in virtù dell’invito delle autorità, avrebbero dovuto esser prese d’assalto da tòrme di ciclisti. Gli è che anche la diffusione dell’evento, pure avvenuta attraverso il quotidiano locale e le TV, non si dotò di manifesti che informassero quanti non usufruiscono delle informazioni attraverso i mezzi anzidetti: e del resto anche il Comune, attraverso il punto informativo istituito in piazza Università, vi fece una a nostro avviso grama figura. Infatti ivi stazionava l'allora Assessore all’Ambiente Scalia (con una fiammante veste sportiva da ciclista d’occasione…) sfoderando lo scilinguàgnolo che gli è consueto, stigmatizzato per l’assenza di concretezza proprio quel giorno, in una lettera assai eloquente pubblicata dal quotidiano locale riguardo il nulla di fatto delle intenzioni annunziate nei cosiddetti ‘stati generali della città’, svoltisi mesi fa, a proposito del miglioramento della qualità della vita rispetto alla mobilità, in centro. Già adusi alle chiacchiere, sovente infruttuose, dei nostri politici (nessuno comunque di costoro, tanto per dare il buon esempio, vedemmo inforcare, come un qualunque cittadino, il velocipede: peccato, avrebbero avuto occasione di rendersi conto di vivere autenticamente in una città diversa da quella che immaginano nelle loro chimere…), notammo comunque che il punto informativo del Comune era "corredato" da numerose bici elettriche, di cui l’Ufficio Traffico Urbano desidera istigare all’uso. Qui occorrono alcune precisazioni: non è infatti invenzione di questa amministrazione l’incentivo che il Comune assegna a chi acquista una bici elettrica: fu infatti l’Assessore all’Ambiente Orazio D’Antoni che nel 2007 promosse concretamente il fondo con gli sgravi fiscali per gli acquirenti del biciclo a batteria. Inoltre, vi è da dire che il costo di una bici elettrica non scende al di sotto (quelle regolarmente omologate) dei cinquecento Euro: cifra assolutamente eccessiva per una famiglia di medio o basso reddito –accettabile invece pe’ redditi alti-, configurandosi pertanto il possesso di un tal mezzo come bene di lusso: specie in piena crisi economica, quale è oggi. Bene di lusso non deve essere la bicicletta, come si sa: anzi trionfo del popolo e dell’uso popolare, come è nella nostra tradizione, magari povera di mezzi ma ricca di umanità, del secondo dopoguerra (rammentisi la nota pellicola "Ladri di biciclette" di De Sica). Raffrontando con il costo di una bicicletta meccanica (in un qualunque ipermercato, per chi le vuol nuove, si vendono circa ad ottanta Euro), non vi è paragone: ma quest’ultima non ha praticamente costi di manutenzione, mentre la bici elettrica ne comporta parecchi –che fanno comodo alle aziende venditrici di componentistica-: da qui la maliziosa riflessione che, forse, suggerire l’uso del mezzo elettrico può essere economicamente conveniente a qualcuno, che poco o punto è interessato alla vivibilità urbana dei centri storici.
Catania ha comunque quel giorno –anche se il Sindaco, constatato l’indubbio vantaggio anche ambientale della chiusura dell’ampio spazio del centro, dovrebbe ripetere l’ordinanza tutte le domeniche, di là dall’occasione contingente delle biciclette: solo così si potrebbe creare una continuità senza la quale ogni fiammella isolata è destinata a spegnersi- goduto di un raro silenzio mattutino e di una serenità, che solo i radi colpi di pedale di quelli che il buon manualista Grioni, in un celebre volumetto della Hoepli del 1910, appellava "ciclisti gentiluomini", hanno dolcemente infranto, come una carezza su un manto di aristocratica signora: doni il Cielo ancòr di tali ore, nella fattiva collaborazione di sempre più cittadini, avviati ad un miglioramento che solo il ritorno alle sane consuetudini di un tempo mai trascorso, ma che può dirsi ritrovato, permette di donare: laddove si è davvero intenzionati alla via di perfezione, senza infingimenti, senza schermi, soprattutto senza bugìe, di cui presto o tardi si dovrà, qui o di là, rendere conto.


Bar.Sea.


Pubblicato su Sicilia Sera n° 330 del 4 luglio 2010

Solenni celebrazioni per la Madonna dell'Aiuto di Catania


Anno giubilare per il tempio mariano


Solenni celebrazioni per la Madonna dell’Aiuto, storica devozione catanese


Suggestiva processione e solenni celebrazioni eucaristiche nella chiesa retta da Mons.Smedila – Alcune precisazioni fra storia e simbolismo sul significato del quadro antico e miracoloso -
 
Il mese di maggio ha veduto le belle ed intense celebrazioni di Maria Santissima dell’Aiuto, una Madonna tanto amata a Catania, nel cui centro storico alberga da secoli, mercè il cinquecentesco quadro noto "per la frequenza delli miracoli" (così il cronista coevo Privitera), il quale dal 1641 si conserva nell’omonima chiesa, Santuario dal 1960 (sita quasi a mezzo di via Garibaldi): per cui quest’anno, che è per volontà del Santo Padre anche Sacerdotale, si è degnamente celebrato il cinquantenario della elevazione del medesimo, che ingloba la settecentesca riproduzione della Santa Casa di Loreto. Fra l'altro, come precisò in una dotta conferenza il teologo Mons.Zito, fu il Beato Cardinale Dusmet ad inserire il tempio dell'Aiuto quale tappa obbligata per il pellegrinaggio dell'anno giubilare 1875. Tutto il popolo unanime concorse alle celebrazioni eucaristiche svoltesi nel tempio, per amore a Maria Nostra Signora dell’Aiuto, nonché per lucrare la indulgenza plenaria concessa appositamente dalla Sacra Penitenzieria Apostolica per il fausto evento: vedemmo l’Arcivescovo di Loreto, altri presuli e moltissima devozione stringersi intorno al noto rettore del Santuario, quel Monsignor Carmelo Smedila il quale, da quarantotto anni è il genius loci del tempio, e lo fa proseguire con gioja e mariana letizia, sui sentieri dell’avvenire.
La suggestiva processione notturna del 30 maggio, accompagnata dal concorso dei fedeli, tra balconi addobbati a festa (uno ebbe anche il tricolore con lo scudo di Savoja…) e lancio di petali di rose, fuochi artificiali e canti mariani (da "Noi vogliam Dio" a "Andrò a vederla un dì", senza dimenticare il glorioso, e da riprendere, inno dei tempo di Pio XII, "Bianco Padre che da Roma…"), girò le antiche vie del centro, da via Garibaldi a via Vittorio Emanuele a San Cosimo, da via Abate Ferrara a via Di Giacomo a via Naumachia a via Trinità, per tornare festosamente in chiesa (tra coloro che ressero il quadro, si notò Orazio D’Antoni già assessore e deputato regionale, grazie al quale presto si avrà, finanziato dalla Regione, l’ingresso in chiesa per i disabili, ed altri restauri; il collegio liturgico Cardinal Nava capitanato da Piersanti Serrano ottimamente gestì l’evento, con il circolo di S.Maria dell’Aiuto; il Maestro Paolo Cipolla eseguì la Missa solennis scritta per l'occasione), e vide anche momenti di commozione còlla sosta della Vergine Madre presso alcuni malati, fu l’atto culminante di una devozione intensa, di stile affatto fedele alla Tradizione della Chiesa Cattolica Romana e molto partecipata. In tempi non lieti, sono constatazioni felici.
Sulla tela della Vergine Madre e del Divin Figlio detta appunto dell’Aiuto, ci sia permessa qualche precisazione storica e simbolica. Le fonti ne parlano dal XVII secolo, ma è evidente, da una analisi anche superficiale senza scendere ne’ meandri della storia dell’Arte moderna, che le fattezze delle due figure, lo stile ed i colori sfumati, la collocano cronologicamente attorno alla metà del secolo XVI: tempi di grande tribolazione per Catania, anni di pestilenze, carestie e sommovimenti guerreschi. La zona detta della Giudecca era già dai secoli precedenti in buona parte proprietà del gran condottiero Artale Alagona e del di lui padre Don Blasco, Gran Cancelliere del Regno di Trinacria (nei secoli XIV e XV i Re di Sicilia dimoravano in Catania, e la loro sede era il castello Ursino). Fra l’altro Artale Alagona aveva una particolare predilezione per la Madre di Dio (cfr. F.Giordano, "La Rotonda…", Catania 1997), per cui si può supporre con un certo margine di approssimazione ragionevole, che la committenza la quale vòlle la realizzazione della tela, assecondando anche la pietà popolare, sia stata della famiglia magniloquente e benemerita della città, degli ultimi Alagona, grandi di Sicilia e d’Ispagna. In ogni caso, ad una analisi mistico-esoterica del quadro, saltano all’indagatore che si avventura "oltre il velame de li versi strani", secondo l’adagio del gran Poeta, alcune considerazioni.
La Madonna "auxilium Christianorum" è evidentemente bruna: non nera come quella della Santa Casa di Loreto (altra coincidenza non casuale: il Santuario Mariano dell’Ajuto custodisce, come è noto, la riproduzione della Santa Casa Lauretana, eseguita nel XVIII secolo in modo pressoché perfetto), e però secondante il verso del Cantico: "nigra sunt sed formosa". Si sa che il culto delle Madonne nere, come assevera la storia oramai acclarata, ha le radici nell’antica devozione isiaca che i popoli d’Oriente e di Occidente tributarono, prima del Cristianesimo, alla Magna Mater: da Chartres alle Vergini nere de’ Templari, da Tindari a Chestokowa sino alla Madonna nera del villaggio bavarese di Altòtting (molto cara all’attuale Santo Padre Benedetto XVI), il patrimonio mistico e storico della Chiesa ha nel bimillennio di feconda vitalità, tramandato un culto perenne e sempiterno di poesia arcana e di intenso, indistruttibile amore. La luna a’ piedi ideali della Gran Madre, rappresenta la Chiesa, secondo la lectio di San Bernardo di Clairvaux (colui che fu tra l’altro il ‘fondatore’ dei Templari e il redattore della Regola loro), il massimo studioso di mariologìa dell’evo antico: le stelle in numero di dodici che la attorniano, simbolicamente rammentano il collegio Apostolico. E tuttavia, il numero delle punte delle stelle è otto: l’otto è numero dell’equilibrio cosmico, della rigenerazione e della purificazione risuscitatrice (le fonti battesimali medievali hanno forma ottagona: lì l’iniziato sorge a nuova aurora); l’otto è mediatore fra quadrato e cerchio, e quale mediazione più perfetta della Vergine Madre, fra il Figlio suo ed il popolo di coloro che la vòcano, con estrema semplicità e sincero afflato?
Le mani della Madre di Dio sostengono il Bambino Gesù in modo preciso: la destra tiene la spalla, la sinistra poggia sulla coscia. Significato simbolico della spalla, è la potenza: secondo Ireneo, "la potenza " di Cristo "è sulle sue spalle"; mentre Dionigi l’Areopagita aggiunge: "le spalle rappresentano il potere di fare, di agire, di operare". La coscia è invece la rappresentazione della forza; secondo la Cabala, essa è analoga per importanza alla colonna. Forza e potenza di Cristo bimbo quindi, possiamo affermare, coadiuvate gestite e mediate dalla Grande Vergine Madre, nel nostro antico quadro.
V’ha infine un riferimento a nostro parere, nascosto, che l’autore –o la committenza- suggerirono nel pìngere le stelle ad otto punte: il Salmo numero otto -secondo la antica numerazione- ad una attenta lettura, laddove narra di stelle, della luna e del resto, si adatta mirabilmente ad una precipua meditazione in senso mistico intorno alla sacra immagine: Dòmine, Dòminus noster, quam admiràbile est \nomen tuum in univèrsa terra!… (Signore, Signore nostro, quanto è ammirabile il tuo nome nell’universa terra! Poiché la tua magnificenza si leva al di sopra de’ cieli. Dalla bocca dei bimbi e dei lattanti ti procacciasti lode, ad onta dei nemici, per distruggere il nemico e l’avversario. Poiché contemplo i tuoi cieli, opera delle tue dita: la luna e le stelle che vi disponesti. Che è l’uomo, che memoria di lui? O il figlio dell’uomo, perché tu lo visiti? Lo facesti di poco inferiore agli Angeli, di gloria e di onore lo incoronasti: e lo costituisti alle opere delle tue mani. Tutto facesti soggiacere ai suoi piedi, pecore e buoi tutti: e le bestie della campagna. Gli uccelli del cielo ed i pesci del mare, che nei flutti marini guizzano. Signore, nostro Signore: quanto è ammirabile il tuo nome nella terra universa!) Inno alla Natura alma Mater, alla terra universa creatrice di concezione divina e pertanto immacolata, il Salmo (che echeggia reminiscenze egizie: confrontisi coll’inno ad Aton del faraone ‘monoteista’ Akhenaton, ovvero Amenonfi IV) parrebbe mirabile corona alle dodici stelle che fan da ideale raggiera alla Vergine: è una ogdoade che si ripete indefinitamente nella ideale concatenazione degli specchi (le otto punte per il numero di dodici fan novantasei, che è il tre ripetuto tre volte e due, ovvero la perfezione celeste che racchiude il pentalfa, l’Uomo perfetto e sempiterno, l’Adamo immortale, Gesù Alfa ed Omega), laddove si vince la Morte (nove più sei crea il quindici, che negli Arcani maggiori è il Diavolo: distruzione) con la Vita universa, nel più profondo mysterium fidei, arcana arcanorum della mistica di Colui il quale, spezzato il pane, disse: "Prendete, questo è il mio corpo" (Mc. 14, 22) ; ed anche "Un poco e non mi vedrete più e ancora un poco e mi vedrete" (Gv. 16,16).
Su l’altar maggiore del tempio della Madonna dell’Ajuto, affacciato graziosamente sulla strada Ferdinanda oggi via Garibaldi, sfolgorante delle dieci colonne barocche (anche l’incompiuta facciata della chiesa maestosa de’ Benedettini di San Nicolò la Rena ha dieci colonne: seppure moltissimi studiosi dicono -a torto poiché sovente non si ha l’umiltà di transìre lento pede ed osservare silenter- che siano otto), incastonate nella facciata di Antonino Battaglia, cèppo della famiglia di maestri costruttori della Catania post terremoto, Dio Padre adagia la mano sinistra sul mondo -la destra va verso l’alto- : il Delta trinitario è dietro il capo suo; un superbo compasso, simbolo della creazione perfetta ab origine, della Aequitas come della fraternità universale delle genti, sovrasta la terracquea sfera , nella certa consapevolezza che l’amore de’ puri, spalanca le porte del Regno a chi ha occhi per vedere, ed orecchie per sentire.
 
Barone di Sealand


Pubblicato su Sicilia Sera n° 330 del 4 luglio 2010
 
 
 
 

mercoledì 30 giugno 2010

Nuova giunta comunale di Catania: tra il vuoto ed il nulla


Amministratori cambiati, problemi vecchi


La nuova giunta comunale del vuoto, avviata sulla via del nulla


Senza programmazione che non sia il risparmio a tutti i costi, tranne quelli degli emolumenti
di chi di dovere, parte il gruppo novello di Stancanelli – Assenti le opposizioni -

Alle scuole che un tempo si appellavano medie, ci si insegnava che il vuoto torricelliano è quello spazio d’aria che sovrasta la colonna barometrica. In altri termini, un luogo ove non vi è nulla, ma che sovrintende al movimento pulsante dell’essenza: esattamente quel che accade a Catania, leggendo in controluce, senza trionfalismi o false ipotesi, la composizione della nuova giunta comunale del Sindaco (e senatore…) Raffaele Stancanelli. Ha egli affermato di non gradire "pregiudiziali ideologiche", ma di essere aperto al confronto con la città. Quali pregiudiziali ideologiche invero può avere il cittadino, che si trova a leggere le brevi note dei curricula degli otto assessori –il Sindaco tiene la delega di altri quattro assessorati-, se non constatarne, come affermato, l’esistenza del vuoto di torricelliana memoria?
L’esempio più evidente, e forse più chiacchierato ma non unico, è quello della neo ‘assessora’ alla "Cultura e grandi eventi" (già la definizione sa di ridicolo…), signora Marella Ferrera, nota quale stilista à la page, in città ed oltre: "promotrice della riapertura  del Museo Biscari - promotrice della manifestazione "Civita in Fiore" - ha curato l'allestimento degli Acroliti di Morgantina rientrati dal Paul Getty Museum", queste le ‘medagliette’ sul petto che ella comunica alla città, onde giustificare la decisione del Sindaco. Pare molto poco, considerato che il cosiddetto museo Biscari, fra l’altro in un palazzo privato, non esiste –quello del castello Ursino, di proprietà comunale, non è stato, come si sa, inventato da lei- , la cosiddetta manifestazione di piazza Duca di Genova, di proprietà pubblica, altro non è stata –chi vi è passato- se non un negozio all’aperto per vendita di piante e pianticelle di vari commercianti, e l’allestimento di Morgantina non pertiene alle civiche attività. L’abbiamo udita, la signora Ferrera, in occasione di un concerto di musica greco-cipriota, sabato 29 maggio, nel cortile Platamone, intervenire per i consueti saluti, dopo il Sindaco: ad una precisa domanda di chi la intervistava, sulla programmazione estiva, quale che sia, ha ella risposto: "non abbiamo una lira, ma abbiamo il cuore!" Se tale è l’inizio, si può davvero affermare, come si dice in città da molti, che siamo caduti dalla padella nella brace.
Non da meno l’ingegnere Alberto Pasqua, già ‘scoperto’ dal Sindaco in occasione di quel caravanserraglio che sono stati i cosiddetti ‘stati generali della città’, coacervo di parole in libertà –avrebbe sentenziato Marinetti- volate nell’aire senza costrutto veruno. Egli è, sempre la nota biografica diramata, "estensore del primo  piano del traffico presentato al  Comune di Catania - già consulente AMT , della Provincia Regionale e di numerosi altri Comuni": senza scendere nei dettagli della applicazione, da molti vivacemente contestata nei fatti, del suddetto piano per il traffico, sarebbe bene che il Sindaco spiegasse alla città perché giubilare come assessore un ex consulente di quella azienda, l’AMT, che è per ammissione concorde la causa prima dei guai finanziari dell’amministrazione comunale, ed al cui fallimento gestionale han contribuito tutti coloro, dirigenti, che vi hanno partecipato: quindi anche il medesimo ingegnere, come si può dedurre.
"Prof. in Storia dello Spettacolo Acc. Belle Arti (Reggio Calabria) - Drammaturgo -  Produttrice Cinematografica (ha collaborato per anni con il regista Michelangelo Antonioni)- Vice Presidente Consiglio d'Amministrazione Teatro Massimo Bellini - si  è occupata di promozione turistica attraverso l'organizzazione di grandi eventi culturali e spettacolari": così la biografia della professoressa Cinquegrana: però chi la identificava sino a jeri, firma del quotidiano locale, era aduso registrarla come Rita Gari, il cognome del marito: qui ha usato il cognome suo, e passim. A parte che non si conoscono i grandi eventi a cui si fa riferimento, anche la gestione del Teatro Bellini, negli ultimi tempi, non ha lasciato molo spazio ai lati positivi, per costituire un merito tale da spingere all’assessorato: inoltre, quale criterio avrebbe portato la ex collaboratrice di Antonioni a tali lidi, trattandosi del noto regista (già stella di prima grandezza del GUF, all’epoca, poi idolo della sinistra) dell’incomunicabilità, può essere spiegato con la indubbia vena poetico cinematografica del predetto.
Accenno particolare merita Franz Cannizzo, "Consulente di Direzione Aziendale - Responsabile Nuova Impresa - Dirigente Confcommercio": è l’inventore in senso pratico della espansione, a volte sconnessa da logiche, delle pensioncine con acclusa abitazione a Catania, le quali hanno un buon successo, che all’inglese vengono denominate "bed and breakfast". E’ un giovane che conosciamo personalmente, preparato ed intelligente: pertanto ci ha (quasi) stupito vederlo in tale sgangherata compagine, poiché siamo convinti, nonostante gli espressi buoni propositi, che nulla di concreto, a parte riordinare qualche bancarella abusiva che subito dopo, ed egli lo sa, tornerà ad esercitare illegalmente come prima, gli sarà permesso di fare. Non citiamo gli altri assessori, per non dilungarci troppo. E’ anche chiaro che questi professionisti, o tecnici "di natura politica" (la definizione è del Sindaco Stancanelli, bravissimo a coniare terminologie astruse e non necessarie), godono dell’appannaggio, o stipendio mensile, di qualche migliajo di euro, ci pare, dovuto per legge agli assessori: mentre nessuno di loro ha dichiarato, stante il loro essere apparentemente estranei ai ‘giri’ della politica militante, di rinunziare in tutto (forse alcuni in parte, come prevede la normativa, se dichiarano di svolgere altre attività) a tale non indifferente emolumento, a favore delle esangui casse comunali, o di qualche pia opera di beneficenza –come da parte nostra, da queste colonne, tempo fa si era proposto da parte degli amministratori comunali-. Anzi, se si solleva per puro fatto di cronaca, la questione degli stipendi, v’ha chi scatta come mòlla, nel difendere i privilegi dei politici o di coloro che, insediatisi, immediatamente lo divengono. In barba a quella "giustizia sociale" invocata già nel lontano 1949 dall’augusto Pontefice Pio XII in uno dei tanti messaggi, molti protestano vivacemente, difendendo inconcepibili privilegi: del resto, chi sin dai tempi della giunta di Umberto Scapagnini, percepiva ben novantasei milioni l’anno di diaria per consulenza di Ufficio Stampa, o chi oggi (il direttore generale del Comune Lanza ed il Segretario generale Nicotri: citiamo dal sito del Comune di Catania, pagina ‘operazione trasparenza’, compensi dei dirigenti) riscuote in lordo oltre cento cinquantadue mila euro e circa cento undici mila euro l’anno, senza che queste cifre abnormi vengano messe in discussione da nessuno, alimentate anche dalle tasse (ICI, Tosap, Tarsu, ed altre) che i cittadini catanesi sono costretti a pagare, deve in ogni caso farsi araldo di tali incredibili ingiustizie.
E lo sconcio maggiore risalta quando si constata che in città non esiste una opposizione che possa definirsi tale: se si escludono infatti gli interventi del Senatore ed ex Sindaco Bianco, giustamente indignato per lo scempio del giardino Bellini e di piazza Europa, niun esponente del cosiddetto PD –i motivi si sanno: la connivenza con il ‘potere gestionale del sottobosco’, per usare un eufemismo- alza la voce contro gli assurdi sprechi di denaro ed i risparmi che questa amministrazione potrebbe avviare, senza piangere miseria in alcuni settori, mentre se ne impinguano, a spese delle tasche dei cittadini, degli altri.
Che Sant’Agata illumini e protegga sempre più i catanesi, verrebbe da concludere: se non rammentassimo, per nostra fortuna, come è scritto nella frase che corona la facciata del Duomo, che ella non deve essere offesa, poiché di tali misfatti è fiera vendicatrice. Una certezza che conforta tutto il popolo, avvilito ma senza dubbio non piegato dalle avversità degli uomini.
F.Gio.
Nota: l'istantanea fotografica è di questa mattina 30 giugno, alle 9,40: in piazza Roma gli operaj del Comune, evidentemente a causa del famigerato punteruolo rosso che le ha investite, abbattevano alcune storiche, ed antiche -almeno un centennio- palme che ivi allignavano. Ogni riferimento è puramente casuale...
Nota 2: è stato pubblicato il programma della Estate in città, a cura dell'Assessorato alla Cultura (???): strombazzzato come contenitore di eventi, leggendolo ci si accorge che è assente, tranne in un appuntamento dedicato alla Balistrieri, il teatro dialettale e quindi la cultura tipica siciliana nel suo insieme; mentre v'è... la sagra del cous cous, ove meglio sarebbe la festa dell'arancino catanese... In quanto alla riapertura del giardino Bellini, staremo a vedere... Infine alcuni dei protagonisti degli appuntamenti (da Guglielmo Ferro a Roberto Zappalà, ed altri) hanno incarichi plurimi: assessori, docenti con contratto alla Facoltà di Lettere, et similia... Godi popolo!!!