lunedì 10 ottobre 2011

La Biblioteca Universitaria di Catania ricorda il direttore Salvatore Mirone ad un anno dalla scomparsa














La Biblioteca Universitaria di Catania ricorda il direttore Salvatore Mirone ad un anno dalla scomparsa
 
Con una cerimonia più affettuosa ed informale che strutturata nei canoni dell'ufficialità, si è ricordato la mattina del 7 ottobre, nella sala di lettura della Biblioteca Regionale Universitaria di Catania sita nel palazzo centrale, il compianto direttore della medesima Salvatore Mirone, ad un anno dalla sua scomparsa ed a sedici anni dalla sua quiescenza. Convennero a ricordare l'amico, l'uomo buono e gentile e dai tratti affatto sensibili con tutti, molti che gli vollero bene: fu questa anzi la mòlla che spinse a organizzarne il ricordo.
Relazionarono sulla figura di Salvatore Mirone insigne e brillante bibliotecario e capo della gloriosa biblioteca, nucleo rampollato dalla donazione del Vescovo Ventimiglia nel '700, il prof. Antonino Blandini, che narrò con dovizia di particolari le vicissitudini degli anni del XX secolo in cui Mirone fu al vertice della struttura, la loro intensa amicizia e collaborazione ed il fatto che alla sua tenacia si deve l'acquisizione delle carte Verga e De Roberto; il prof. Silvano Salvatore Nigro, ordinario di Letteratura italiana all'Università di Milano, ha voluto ricordare il Mirone sempre disponibilissimo con gli studiosi, ed alcuni personali aneddoti che ne fecero emergere l'umanità; il dott.Francesco Giordano, giornalista letterario, ha scelto di illuminare la figura di Mirone poeta discreto ma di grande levatura, leggendo alcuni versi di sue liriche tratte dagli "Appunti di Viaggio" pubblicati sulla rivista "Incidenza" (vedi la nota http://letterecatinensi.blogspot.com/2010/03/il-tempo-ritrovato-ovvero-due.html, che la direzione attuale della Biblioteca ha voluto affiggere all'ingresso della sala in ricordo del Mirone), così manifestando quel tratto peculiare dell'uomo, denso di grande nobiltà. Infine la dott.ssa Elena Migneco della Sovrintendenza ne ha ricordato la estrema affezione verso coloro che vedevano la Biblioteca come un luogo di pura ricerca; il Direttore attuale dott.Giovanni Viglianisi, allievo di Mirone, precisando l'approvazione di questi alla nascita della sezione musicale ed al corpus fotografico, ha concluso con l'auspicio che se non la Biblioteca (intitolata al palermitano G.Caruso), almeno la sala di lettura possano essere dedicate al nome dell'illustre estinto. L'uditorio intervenuto apprezzò molto il ricordo dell'amico, particolarmente la vedova prof.ssa Maria Salmeri, che di Mirone fu compagna di vita e d'arte, se così si può dire, avendo anch'ella diretto per trent'anni l'altra grande istituzione della città di Catania, la Biblioteca Civica ex benedettina, nel monastero omonimo. L'amico involato verso le eterne luci dell'Oriente, siamo convinti, del ricordo che in terra ancor si ha delle sue rimpiante qualità, avrà delicatamente sorriso.


F.Gio.


Nelle foto: momenti della celebrazione, e Salvatore Mirone in una foto di alcuni lustri fa.

giovedì 15 settembre 2011

Si discute sulla piazza Duomo chiusa al traffico: ma le palme secolari di piazza Stesicoro sono state abbattute... nella generale indifferenza!




Mentre fa in questi giorni discutere, in una città sonnacchiosa ed indolente come Catania (un vecchio detto, rammentato dall'ei fu professor S.Correnti, dice: "Pedi arsi sù li catanisi... forse per codesta ragione, amano muoversi in auto più che deambulando...), la chiusura al traffico, non del 'centro storico' (il concetto ed il perimetro di questo è ben vasto, e discutibile) ma della piazza del Duomo e di un breve tratto di via Vittorio Emanuele, col conseguente snodo viario deviato in strade adiacenti -e sarebbe stato molto meglio, da parte della pur solerte per altri versi (vedi aumento della TARSU assaj consistente) amministrazione comunale, vietare perennemente al traffico automobilistico sia tutta la via Vittorio Emanuele, da 'sardo' (ossia l'incrocio con via Plebiscito) alla 'statua' (piazza dei martiri), che via Garibaldi sino alle 'chianche' (incrocio con via Plebiscito : tali denominazioni popolari, ben note alla gens che frequenta il centro, non appajono sui fogli locali, vergati da inepte et indocte della storia civica... purtroppo...); mentre si attende dunque tale provvedimento il quale, lungi dal danneggiare la già inesistente poiché morta o moribonda, struttura dei commercianti di codeste vie -a parte i cinesi e gli indiani e mauriziani, che han mezzi diversi di mobilità- renderebbe il vero centro storico di Catania, finalmente libero dallo strangolamento quotidiano delle auto, e vivibile, segnaliamo con la foto qui acclusa, da noi scattata il 25 agosto, la situazione di piazza Stesicoro.
Sin dall'Ottocento, lo documentano le cartoline dell'epoca (chi si reca nella Biblioteca comunale, a parte chi lo possiede, può verificarlo nei bei volumi "Vecchie foto di Catania" del compianto giornalista e storico Salvatore Nicolosi), il lato ovest della piazza fu ornato di palme, che la abbellivano ai lati; rimasero solo quelle antistanti l'ingresso dell'anfiteatro romano, i cui discavi iniziati nel 1904, si conclusero nel 1906: opera meravigliosa di alta cultura, merito del Sindaco illuminato dell'epoca Giuseppe De Felice Giuffrida, socialista 'del cuore' alla De Amicis (sull'anfiteatro, cfr.F.Giordano, "l'Anfiteatro romano di Catania", Boemi 2002). Orbene quelle palme che da almeno cento e più anni ornavano la piazza non ci sono più, tranne una: le antiche phenix canariensis che hanno osservato la nostra storia del XX secolo, sono state tagliate, uccise.... dai giardinieri del Comune.
La 'giustificazione', se tale termine si può usare, ce la diede un Vigile Urbano ivi transitante: erano ammalate del noto parassita che da un pezzo le infestava. Ma non è logico. Molte altre palme del giardino Bellini soffrono dello stesso 'male', eppure continuano a vivere. Inoltre, tale morbo non era talmente nefasto da provocarne il taglio netto: cosa del resto già accaduta anni fa, nel più assoluto silenzio, nella parte sud del piano di S.Nicola, o piazza Dante, davanti l'ex monastero sede delle facoltà umanistiche. Inoltre anche un incompetente, in tempi di crisi, si rende conto della impossibilità di sostituire, per la secolarità delle radici inestirpabili, le vecchie palme con altre, se mai si fosse postulata tale eventualità. Troppo costoso, per le casse comunali. Ma era quindi necessario abbattere le vecchie, e secolari? Proprio indispensabile? Davano forse fastidio a qualcosa o qualcuno, dopo tantissimi anni? Vi è davvero da essere maliziosi...
Il dramma è che nessuno se ne lagna, quasi nessuno se ne accorge. I cittadini, la cui etnìa è mista e non allogena, sono abulici come non mai; i politici di qualunque bandiera -vil razza dannata, i politici, si diceva un tempo- pensano al proprio 'particulare'. Ma tutti, ahinoi tutti, imprecano per quel brevissimo tratto di 'centro storico' (che poi è un sessantesimo del centro storico vero!...), che si è osato chiudere alle automobili. E' proprio il caso di dire che si è come a Costantinopoli assediata dai Turchi nel 1453, durante il cui assalto i teologi discettavano sul sesso degli angeli... mentre la città moriva. Infatti le nostre palme sono morte, e non torneranno più, se non nelle cartoline, ad abbellire piazza Stesicoro innanzi l'anfiteatro. In altri tempi, per fatti del genere sarebbe bastata l'autorevole parola di illustri catanesi, da Mario Rapisardi a Salvatore Santangelo (per citare due nomi fra i tanti), per impedire codesto scempio. Chi uccide una pianta, affonda il coltello infatti nel cuore della Natura. Che, come giustamente afferma il motto agatino NOPAQUIE, non ha pietà per chi impunemente la offende. E se i veri catanesi sono oramai molto pochi, come gli indiani nelle riserve dopo la cattura dei grandi capi ribelli, ogni violenza allo spirito, come le offese allo Spirito Santo, non è perdonata.
F.Gio.

giovedì 11 agosto 2011

Cesare Cellini ricordato da Sergio Collura alla libreria Trinacria di Catania




Nell’ambito del festival mondiale della Poesia



Cesare Cellini ricordato da Sergio Collura alla libreria Trinacria



"La Parola nel Mondo", incontri poetici svoltisi a Catania a cura di Akkuaria, han dato risalto alla
figura del giovane artista prematuramente scomparso – Significato della Parola -
 
Si è svolto nei giorni scorsi, nei locali della libreria Trinacria in Catania –la quale sta continuando a rappresentare il punto d’incontro di poeti, studiosi, letterati: e non è sempre così stato, del resto?- il Festival internazionale di Poesia "Parola nel mondo", iniziativa svoltasi in contemporanea in 65 nazioni, inneggiante alla Pace mondiale attraverso l’opera catartica, insostituibile, della Letteratura in versione lirica. L’interrogativo, che è di Ungaretti, "la poesia può salvare l’Uomo?", appare quanto mai attuale, mentre nel Mediterraneo fioccano bombe per novelli conflitti, i quali lasceranno quel "tutto perduto" (secondo le parole del grande Papa Pio XII), terreno perennemente incolto che ogni conflitto genera.
Ne scriviamo perché tra gli incontri organizzati, mercé la solita e insostituibile vulcanica iniziativa dell’Associazione culturale Akkuaria presieduta dalla scrittrice Vera Ambra (che nella città dell’elefante, ha dato l’impulso alla manifestazione, collegandola alle iniziative mondiali attraverso l’attivismo dei collegamenti Internet), ve ne fu uno a parer nostro di rara e squisita sensibilità: l’incontro e la voce di Sergio Collura, docente di sottile e preziosa preparazione intellettuale, artista critico e poeta come pochi, il quale seguendo il tema della pace mondiale, ha inteso rammentare all’uditorio l’opera poetica di Cesare Cellini, straordinaria figura di aquilotto, "aiglòn", poeta e scrittore involatosi giovane (a soli 28 anni, nel maggio 1993) nel mondo di là, per chi crede, ma lasciando un segno indelebile nella lirica contemporanea. E prima di precisare l’excursus della poesia di Cellini, è necessario colmare una lacuna che Sergio Collura, da quell’uomo raffinato e signore che è, non ha voluto per umiltà prettamente cristiana (anche ciò è sua nota distintiva: una fede vera, silenziosa, non urlata e per questo più forte, possente nella sua intensità) quella sera precisare: egli è un valorosissimo Poeta, un artista anche pittore, noto dappoiché, nel deserto della memoria che oggi alligna (massime a’ piedi del vulcano etnèo e nella città sempre rifiorente), negli anni Ottanta e primissimi Novanta del trascorso secolo XX, se vi fu una figura eminente e luminosa che a Catania riusciva a catalizzare l’attenzione dei giovani (e tra coloro, last but not least, chi scrive) nelle iniziative di classe che organizzava, attraverso le edizioni Tifeo, il Movimento Giovani per un Nuovo Umanesimo, il far intervenire critici come Pampaloni, Spagnoletti, Sanguineti, nelle affollate assemblee, sempre in compagnìa dell’amico ed allievo Cesare Cellini: se vi fu un uomo cosiffatto, questi era ed è Sergio Collura. E fu un onore per lo scrittore e giornalista Francesco Giordano, intervenuto all’incontro, proferire brevissime parole nel presentare al pubblico la sua figura, rievocando il periodo su accennato.
Ma Collura (gà Pierre Ananou in arte…) scelse, rendendo felici coloro che lo conobbero e ne apprezzarono e delicate qualità intellettuali e lo stile, di ricordare Cesare Cellini, la sua arte, la sua traccia importante nella Poesia: intensa, macerata, struggente come ognuno dei versi che si sono letti, ciascuno secondo una cadenza ben precisa ma anche franta, in quell’endecasillabo –ha spiegato Collura, conscio della indecifrabilità della vera Poesia, ma con l’abbrìvio passionale del docente di antica razza, il quale mai dimentica per ciò di essere anche allievo: "homines dum docent, discunt"- che l’artista prima plasmava con attenzione, poi destrutturata al fine di intendere la ricostruzione del pensiero, della cosmicità di esso, in unità inscindibile di microcosmo e macrocosmo. Sul filone dell’Estetica (materia oggi insegnata dall’oratore), Sergio Collura ha poi indugiato nelle letture celliniane di poesie ispirate al desiderio, anelito infinito, di Assoluto, nell’ottica di una ricerca dell’abbraccio finale resasi più densa, insopprimibile negli ultimi giorni, allorché la sentenza spietata dei medici gli dava pochi mesi di vita.
"E nell’arcano silenzio \della mia intimità \ sfamato e dissetato \ dalla Parola \ ho lungamente goduto \ della mia \ pur breve sosta \ nella vita", in "Pronto è il mio cuore": tale riflessione dona conforto, e precisa il senso della poesia, che è Parola. Egli infatti scriveva: "Credo che la Poesia sia essenzialmente parola, "la Parola"… in essa colgo il mistero di me stesso e il mistero di Dio, e i due misteri, uniti nella Parola, nella Poesia cioè, diventano un tutt’uno: capacità creativa, nonostante il tempo e la morte", Ed ancora, in un pensiero definito ai limiti dell’eresia da qualcuno: "Amare la poesia, amare cioè la Parola, è amare la creazione. Credo infatti che il primo poeta in assoluto sia stato ed è Dio. Ritengo la Poesia, "la parola dell’uomo", e riconosco ad essa la stessa dignità della "parola di Dio": ambedue salvano. Se non fosse così, l’incarnazione perderebbe tutto il suo valore, tutta la sua forza". Sono pensieri frammentati dal "Journal intime", degli ultimi giorni di vita, Pasqua 1993: ed è già il poeta illuminato da quel visus non più oscurabile, che lo avrebbe condotto, seguendo il "lancio del ponte verso il tempo" (come in altro verso), a quel "silenzio dell’Eterno", laddove tuttavia "il canto esploderà \ come aurora al suo tramonto" (da Exodus, inediti).
Fra due anni, nel ventennio dalla morte, auspichiamo sia con la giusta ampiezza rammentata la figura straordinariamente attuale, eterea, densa di vera fede di Cesare Cellini: la cui anima sarà stata certamente felice, del piccolo fatto, della grande realtà di un cenacolo di amici i quali, in quel maggio che ne vide la prima fiamma e l’ultimo moccolo, fenice rifiorente dalle spazzate ceneri del tempo, nella città sua lo rammentano, lo rendono vivo in continuo. Questa è la funzione della Poesia, la parola, l’immortalità.



F.Gio


Nella foto, Vera Ambra e Sergio Collura

Premio letterario Fortunato Pasqualino e Akkuaria, Butera 2011







Il Comune del nisseno celebra un suo figlio


Il Premio letterario Fortunato Pasqualino e Akkuaria a Butera, grande successo


Afflusso notevole da ogni parte d’Italia e dall’estero per una importante manifestazione nel ricordo dello scrittore siciliano – Fecondità della Letteratura e speranza nel futuro -  



Nella consapevolezza che l’amore per la Letteratura deve essere universale, non già confinato entro limiti angusti e distruttivi; nel sole indorante l’unicità del tramonto delle terre sicule; in codesto clima del mite nostro maggio, si svolse nei giorni scorsi la terza edizione del Premio internazionale di poesia e narrativa dedicato a Fortunato Pasqualino, scrittore nativo di Butera (poi trasferitosi a Roma, dove è morto nel 2008), città che ha fortemente voluto il ricordo del suo illustre figlio, ospitando affettuosamente la manifestazione. Iniziativa che, come molte altre le quali ultimamente si registrano, nasce per impulso volontà vulcanica e ferrea di una donna, anzi di un cenacolo formato prevalentemente da donne, secondo l’antica Tradizione della Magna Mater che –in particolare nell’antica Trinacria- era venerata quale datrice di mèssi, fons honoris di luce, zòlla ultima cui aggrapparsi nel misterioso cammino della vita. Vera Ambra, anima e fulcro dell’Associazione "Akkuaria" che ha fornito l’essenziale moto organizzativo alla cerimonia, con Angela Agnello di Gela ed i componenti della giurìa (Gabriella Rossitto, Mariella Sudano) e coloro i quali intervennero per contribuire all’evento (la regista e scrittrice Sara Aguiari, lo studioso e giornalista Francesco Giordano), fecero sì che il residence "Le Viole" di Butera, comune ridente e principesco (i principi buteresi erano i primi del Parlamento siciliano in età normanna), pullulante di intervenuti, abbia registrato una iniziativa fresca e simpatica, giovane e brillante, soprattutto feconda di sviluppi futuri. Tale infatti si caratterizzava la presenza del Sindaco di Butera Luigi Casisi, eccellente anfitrione che con gentilezza ha ospitato i numerosi intervenuti i quali da ogni parte d’Italia, sino alla lontana Croazia, discesero in territorio buterese per l’incontro intitolato a Fortunao Pasqualino, impreziosito dalla presenza della vedova dello scrittore signora Barbara Olson; il presidente del Consiglio comunale buterese Carmelo Labbate ha precisato la continuità e conservazione storica della memoria buterese nel mondo, unita dalla poesia; così l’excursus intenso dello studioso Francesco Giordano ha voluto individuare nella "custodia delle carte, ovvero l’archivio Pasqualino" un punto nodale da perseguire: istituire in Butera un centro studi al letterato dedicato, ove si conservino le sue testimonianze. Vera Ambra ha tenuto le fila della brillante manifestazione, col solito stile scevro da fronzoli e denso di passione, di entusiasmo e di verità imprescindibili: quelle verità che si è donati, col riconoscimento dei disegni, alla classe elementare della scuola buterese che ha ricevuto il giusto riconoscimento: dalla gioja dello sguardo dei piccoli, dalla loro innocenza, scaturisce il futuro per tutti, la purezza del percorso letterario, che mai deve arrestarsi. Con l’attenta lettura dell’attore Emanuele Puglia (nonché gli interventi del cantastorie Barbera), la serata ha avuto degli aspetti artistici notevoli. Segnaliamo le opere, edite nel volume antologico delle edizioni Akkuaria, di Marta Lìmoli, attrice che alla bellezza unisce rara aristocraticità di stile e vena letteraria da incoraggiare e secondàre, il racconto-frammento "La sola cosa" ("Cosa fare della propria vita era un interrogativo soltanto suo, presente come un ritornello pari a quelle gocce sull’asfalto, che scoppiavano disintegrandosi in gocce sempre più piccole… gli sguardi rapidi della pioggia notavano soltanto l’incarnato tenue, strapazzato dalle intemperie…"); la poesia "Tic tac" di Giuseppe Lucca, artista musicale dalle finissime sensibilità ("Allorché sprovvisti di competenti abilità \ d’ingegno e d’azione \ ciondolanti creduli entusiasmi \ acconcerebbero ad un modo … l’umana condizione e l’eterna natura di Dio"), nonché la poesia "La nota rotta" di Giovanni Coppola, che all’impegno sociale associa con garbo intensi voli poetici ("Tutto sembra immobile \ nei giorni di Adamo \ solo l’offerta della materia sottratta \ all’ordine cosmico degli elementi… nulla è stabile \ nelle dipendenze del dolore \ la vita è apparizione di ombre \ che indicano il sobborgo dell’inutile ricerca"). Per quel che concerne la figura di Fortunato Pasqualino scrittore, questo irregolare della letteratura come qualche autorità nel campo lo ha definito, la linea mediana è tra saggezza e sapienza. E’ una consapevolezza che parte dalla sua solitudine intellettuale di ‘zingaro’, come amava definisi, unitamente all’afflato assolutamente cristiano, cattolico anzi seppure in modo anche qui fuori dagli schemi però entro l’ambito di una fede vera, schietta, sincera, quasi pànica, al limite del boschivo, di contro al mondo roboante del sapiente: di colui cioè che ha studiato molto e sfoggia come una catena di gemme, i grani del proprio scibile. Questo non mancava, anzi ne era ben provvisto, al nostro autore: il quale tuttavia –fors’anche in virtù della lontananza con la terra siciliana, con il nucleo antico e nobile di Butera dalle prestigiose origini normanne e principesche- sentiva meglio rispondente al proprio animo la saggezza del contadino, della gente primigenia, assai meglio della sapienza di colui che, tronfio, crede di più non apprendere e, come i sofisti che Socrate si divertiva a far cadere in aspra contraddizione, si crogiola nel proprio nulla. La Sicilia di Pasqualino è già negli anni Settanta una terra disgiunta dalla sua anima bimillenaria, che è nei campi: egli visse primariamente il distacco del dopoguerra, l’emigrazione e le connesse umiliazioni dell’esule e allorquando tornava, s’accorgeva della cràsi insanabile tra urbanizzazione ed abbandono della sana e tenace vita contadina. Quel percorso che oggi i maggiorenti della politica, in modi e forme adatte al XXI secolo, cercano necessariamente di invertire e sempre più si dovrebbe, puntando sulle coltivazioni indispensabili, egli lo intravvide e nel mentre notava che era attorno "terra bruciata", da profeta invocava il ritorno alla Natura, come novello Virgilio, il ricongiungimento alla terra madre. Solo quel ritorno, vieppiù in tempi di accelerata decadenza delle economìe, potrà salvare l’isola nostra, il cui destino scritto dalla storia è sul mare e tra le terre feconde. A tale anima feconda di letterato, Vera Ambra artista, poetessa e scrittrice ha voluto èrgere attraverso il premio letterario che molti riunisce nell’afflato di umanità e solidarietà, il monumento autentico che né vento né acque né fuochi possono scalfire, poiché edificato nei cuori: solo tale costruzione può osare di sfidare l’impietosità del tempo e sperare di valicare le porte Scee, di ciò che non tramonta.


Barone di Sealand


(Pubblicato su Sicilia Sera n° 339 del 31 luglio 2011)

Nelle immagini, alcuni momenti della manifestazione

venerdì 1 luglio 2011

Santa Messa in latino a San Giuseppe al Transito

Il 25 giugno u.s., nel tempio dedicato al transito del patriarca San Giuseppe sito nel centro antico, di matrice settecentesca come tutte le costruzioni di Catania, città fenice sette volte distrutta e sette ricostruita, celebràvasi la Santa Messa secondo la forma straordinaria del rito Romano, ovvero seguendo il motu proprio "Summorum Pontificum" del Santo Padre Benedetto XVI, il quale ordina la celebrazione della funzione sacra in lingua latina, nel solco della Tradizione bimillenaria della Chiesa Cattolica Apostolica Romana.
Alla funzione, tenuta in occasione dei vespri della solennità del Corpus Domini, alle 19,30 (iniziata invero col quarto d'ora accademico di ritardo...) convennero numerosi ed interessati fedeli. Celebrò Monsignor Carmelo Smedila rettore della chiesa e del vicinissimo santuario mariano-parrocchia di Santa Maria dell'Aiuto, da cui il movimento s'irradia; il coro si prodigò con molta passione; la funzione è stata coadiuvata dal collegio liturgico Cardinal Nava diretto da Piersanti Serrano, con Fabio Adernò ed i bravi e volenterosi ragazzi del gruppo.
Ciò posto, e felicitandoci -dopo tante silenti battaglie da parte di alcuni, pochi ma decisi, volenterosi, tra cui anche chi scrive...- poiché finalmente anche nella città di Agata protomartire si è iniziata la celebrazione delle Sante Messe in lingua latina (ad Acireale, come si sa, è prassi consolidata da tempo, ogni domenica), ci permettiamo di fare alcune segnalazioni, utili e circolanti fra i fedeli dopo la funzione: manca un calendario preciso, almeno per i prossimi sei mesi, delle Messe (molti han chiesto, invano); il foglietto che laudevolmente era stato fotocopiato e lasciato sui banchi, se riportava i passaggi salienti della Messa ed i momenti ove ci si deve inginocchiare, tralasciava aspetti normali dell'Ordinario (il "et cum spiritu tuo", ad es.) che son naturali per chi ha il retroterra classico, ma lasciarono imbarazzati quanti, almeno un quaranta per cento, erano -come è noto, non per loro colpa...- digiuni della abitudine antica.
Inoltre, e ciò sia detto senza polemica veruna, nell'omelia il caro Monsignor Smedila si è soffermato sulla figura di Giovanni Paolo II (??..), sull'importanza del Concilio Vaticano II (???...), mentre nessuna parola, neppure alla lontana, ha speso sulla bellezza, sulla gioja, sulla importanza del celebrare egli stesso insieme ai convenuti la sacra funzione in lingua latina ottemperando agli ordini del Pontefice, per giunta in una solennità così importante come la festa del Corpo di Cristo. Chi vuol comprendere, comprenda.
In ogni caso, come usa dirsi, il primo passo è fatto. Qui un nostro video ne documenta alcuni momenti salienti. Speriamo che si proceda per passione e per volontà (e non per costrizione agli ordini superiori giunti da alto loco...), come insegna la sequenza: "Quod non capis, quod non vides, animòsa firmat fides, praeter rerum òrdinem", ciò che non vedi, non comprendi, te lo conferma la fede oltre la natura. Laus Deo.
(FGio)

giovedì 16 giugno 2011

Sabato 25 giugno ore 19,30 S.Messa in rito Romano antico a S.Giuseppe al Transito in Catania



Comunichiamo che sabato 25 giugno, alle ore 19,30, nella chiesa di San Giuseppe al Transito (piazza Maravigna), sita nel centro storico di Catania, dietro via Garibaldi, verrà (finalmente.... dopo tanta attesa....) celebrata la S.Messa secondo il rito Romano antico, ovvero in lingua latina, ottemperando agli ordini del Santo Padre Benedetto XVI espressi nel motu proprio "Summorum Pontificum". L'occasione sono i primi vespri della solennità del Corpus Domini. Celebra il rettore del tempio e del santuario mariano dell'Aiuto, Monsignor Carmelo Smedila, parteciperà il collegio liturgico Cardinal Nava, diretto da Piersanti Serrano.
Invitiamo tutti i catanesi a partecipare numerosi alla funzione (ed a munirsi di Messale adeguato... magari scovato in qualche vecchio cassetto!) la quale vede la città di Agata di nuovo invocare l'Onnipotente nella lingua della Tradizione. Deo gratias!
(F.G.)

martedì 14 giugno 2011

Successo di "Commedianti" del Gruppo d'Arte Sicilia Teatro, che continua a fine luglio con "Miseria e Nobiltà" a Nicolosi



























Al Teatro Don Bosco

Conclusa la XX stagione del Gruppo d’Arte Sicilia Teatro, si continua a Nicolosi
con "Miseria e Nobiltà"


Lo spettacolo "Commedianti" è l’ennesimo successo di Tino Pasqualino e Turi Killer –
Prossima la 21° stagione con opere di Verga, Martoglio e Plauto -
 
Si è conclusa nei giorni scorsi la XX stagione teatrale del Gruppo d’Arte Sicilia Teatro, diretto con attenzione e maestrìa da Tino Pasqualino, compagnìa che da qualche tempo ha come base operativa l’ampia sede del teatro Don Bosco, in viale Rapisardi a Catania. Bisogna dire che reggere venti stagioni, per lo più imperniate sul teatro di tradizione siciliana quindi dialettale (o vernacolare o meglio ancora, in lingua siciliana), con vasto concorso di pubblico, con numerosissimi abbonati e partecipazioni speciali, con diversi spettacoli fuori abbonamento e numerose presenze extra stagionali, è già una vittoria, nel frangente attuale che vede la debàcle inarrestabile del teatro inteso in senso onnicomprensivo. La bravura degli attori, tra cui spicca l’innata comicità venata dal drammatìsmo del mitico Turi Killer, nonché la facondia di Gaetano Di Benedetto, han fatto sì che la stagione sia stata partecipata e abbia riscosso concreti consensi.
"Commedianti", lo spettacolo in due atti dello scrittore belpassese Pippo Spampinato (presente in sala) che ha chiuso metaforicamente il sipario della stagione, altro non è che una commedia dell’arte inserita nel classico filone degli equivoci, ma innovata da alcune situazioni specifiche del Novecento (il patronato di beneficenza, il furbo che ne approfitta per lucrare la somma che si intende elargire), con echi neppur tanto velati delle ‘pièces’ scarpettiane ed eduardiane, trasposte nella tradizione che fu degli indimenticabili Grasso e Musco. A questo riguardo, ci preme aggiungere che, mentre da parte di altre compagnìe e filoni i quali pensano e si reputano, per il fatto di snobbare o quantomeno di purgare la lingua siciliana da incisioni e popolarismi innestati nella quotidianità più viva, ad altezze superiori, il pregio indiscutibile e che rende affatto benemerito il Gruppo d’Arte Sicilia Teatro di Tino Pasqualino, è proprio quello di percorrere la strada opposta: rimanere vicino cioè e massimamente far risaltare, attraverso forme esplicate in modi differenti, l’anima antica e nuova, il genio sublime del popolo rendendolo come una eco che non si spegne nel silenzio dell’indifferenza, ma si ripercuote nella memoria degli spettatori mercé la mediazione del palcoscenico, per giungere al suo vero obiettivo, la perpetuazione dell’autentico percorso, il fiume nascosto delle genti.
Non si dimentichi che l’inimitabile Giovanni Grasso, il più grande attore tragico che l’Italia ebbe tra il XIX ed il XX secolo, autore financo dei primi films –allora muti-, dopo aver recitato alle corti di Re e Tzar, non si crogiolò sugli allori della bòria, ma tornò silente nel cuore dei quartieri popolari della sua Catania, dònde nacque e laddove prima di morire poté ritrovar se stesso. E la gente di ogni condizione sociale lo ha ben compreso, poiché l’interclassismo, se ancora codesto termine è lecito adoprare, è pure caratteristica del numeroso e composito pubblico richiamato dalla compagnìa del Sicilia Teatro: per cui l’ennesimo apprezzamento di "Commedianti", laddove ha furoreggiato quale prim’attore Turi Killer, le cui qualità dialettiche e gestuali rimembrano la più pura tradizione degli attori comico-drammatici della Sicilia, altro non è che l’ennesimo tassello di un cammino brillante e mirato non già e solo a far ridere, come con modestia asserisce Tino Pasqualino, ma a far da catarsi innanzi alle situazioni del quotidiano.
L’estate non vedrà frenare l’impegno della compagnìa: mentre infatti si aprirà ad ottobre la XXI stagione teatrale, sempre al Don Bosco (in programma i classici "Cavalleria rusticana" e "Civitoti in Pretura", nonché l’interessante "Miles gloriosus" di Plauto, e l’immancabile operetta), il 29 luglio alla villa di Nicolosi alle 21,15 la compagnìa darà lo spettacolo "Miseria e Nobiltà", divenuto oramai repertorio consolidato, con protagonisti affiatati e collaudati Turi Killer e Gaetano Di Benedetto, sempre per la regìa di Tino Pasqualino. Risate quindi nella classica farsa di Scarpetta, ma anche anello d’unione tra le stagioni teatrali: percorso apprezzato, e senza alcun dubbio benefico.
Francesco Giordano



Nota: il video e le immagini sono dell'autore dell'articolo